di Alessandro Macchia per l’approfondimento Note patrie. La nazione in musica.
Con la Grande Guerra l’antico genere della battaglia musicale giunge per davvero al tramonto. Tradizionalmente imparentato al tipo della caccia musicale, esso perde, sotto i colpi delle terribili armi moderne, i connotati del divertissement e si carica di contenuti ideologici. Nel 1915 Claude Debussy lo ripropone con il secondo numero di En blanc et noir per pianoforte a quattro mani.
Ne scaturisce una contrapposizione espressiva fra la cultura latina e il militarismo prussiano. In particolare, nella sezione centrale del capriccio Debussy introduce la melodia di “Ein Feste Burg ist unser Gott” (“Una forte rocca è il nostro Dio”). La citazione di questo inno luterano soggiace a un’accentuata pressione ritmica e a ricercati effetti onomatopeici, che sono la figura essenziale del genere musicale della battaglia. Per Debussy, piuttosto che il significato in sé del canto protestante, contava il senso che esso aveva assunto nel corso della Grande Guerra. L’attacco alla Kultur germanica si realizza alla fine attraverso un confronto stilistico, talché guadagna pertinenza l’assalto di abbellimenti francesi al corale di Martin Lutero. A questo episodio marziale è giustapposto un tessuto musicale di qualità eterea, una melodia smaterializzata da cui traspare l’archetipo della Marseillaise. L’inno nazionale francese così concepito vuole riportarci all’età prerivoluzionaria, quasi a rifiutare quella modernità nata con gli eventi del 1789, quando erano stati istituiti i primi eserciti cittadini, e le guerre dei popoli, per dirla con Winston Churchill, avevano rimpiazzato le guerre dei re. La Marseillaise diventa perciò figura delle antiche battaglie cavalleresche. In una lettera del 22 luglio 1915 all’editore Durand, Debussy scrive:
Vedrete ciò che può acquistare l’inno di Lutero per essersi imprudentemente messo fuori strada in un caprice alla francese. Verso la fine un modesto carillon suona una pre-Marseillaise; mi scuso di questo anacronismo che è pur ammissibile in un’epoca in cui i lastricati delle strade, gli alberi delle foreste vibrano tutti di questo canto.
Sulla lunghezza d’onda della rappresentazione dello scontro di civiltà si pose lo stesso Vincent d’Indy. La sua Sinfonia brevis (De bello gallico) del 1916-’18 ambiva nelle intenzioni dell’autore ad essere l’“Eroica” della Grande Guerra. Il titolo latino sottende la rappresentazione di guerre d’altri tempi. Ufficialmente non possiede lo statuto di sinfonia a programma, ma in una lettera l’autore indica i titoli dei singoli movimenti in termini descrittivi. Il primo tempo è “La Mobilisation – la Marne”: in riferimento a esso d’Indy definisce il secondo tema d’ispirazione “boche” (come erano chiamati da Belgi e Francesi i soldati tedeschi) per via della strumentazione di carattere marziale con fiati e tamburi. Nel secondo movimento (“La gaieté au front”) una fanfara bitonale individua la “degenerazione” della musica austriaca del primo Novecento. Il terzo tempo espone in maniera più chiara l’antitesi di fondo della sinfonia. Difatti, esso si intitola “L’art latin et l’art boche”: il secondo episodio, con le marcette “alla Moulin Rouge”, è inteso quale parodia degli innesti di triviale delle sinfonie di Gustav Mahler. Con il movimento conclusivo (Finale: la victoire avec l’hymne de Saint Michel comme péroraison) e il trionfo di dimensioni escatologiche della Francia si determina in maniera definitiva la funzione ideologica della sinfonia.
La battaglia musicale risuonerà un’ultima volta nel quarto movimento (Dance of Death) di Our Hunting Fathers di Benjamin Britten. Si era nel 1936 e, sotto i picchi di brutalità delle dittature fasciste, il mondo precipitava in una ancor peggiore tragedia.
Alessandro Macchia