Le pratiche deliberative sbarcano in Italia con le Assemblee dei cittadini
“Sulle pratiche di democrazia deliberativa l’Italia è in ritardo, ma con questa normativa faremmo uno scatto avanti raggiungendo un primato, quello cioè di essere il primo Stato a istituire con legge a livello nazionale uno strumento di questo tipo”. Si esprimono così Stefano Sotgiu e Samuele Nannoni, rispettivamente Presidente e Vicepresidente della APS Prossima Democrazia che, insieme al Comitato Politici Per Caso – Informáti per decidere di cui è parte, ha presentato una proposta di legge per introdurre nel nostro ordinamento le Assemblee dei Cittadini, un istituto che permette il coinvolgimento attivo di cittadine e cittadini nelle decisioni pubbliche. A partire da temi di fondamentale urgenza come il cambiamento climatico e la transizione energetica.
In che cosa consiste e che caratteristiche ha un’Assemblea dei Cittadini?
L’Assemblea dei Cittadini è un istituto di democrazia deliberativa codificato nei primi anni duemila, ma che si richiama a forme messe in pratica negli Stati Uniti già dagli anni ‘80 e che affonda le sue radici nella concezione di partecipazione democratica dell’Antica Grecia. Gli elementi che caratterizzano l’Assemblea dei Cittadini sono sostanzialmente due. Il primo è la selezione dei partecipanti. I membri delle Assemblee sono cittadini scelti con un campionamento casuale statistico, ossia un sorteggio che mira a ricreare un microcosmo rappresentativo della società in termini di bilanciamento tra generi, classi di età, zone di residenza, livelli d’istruzione, fasce di reddito. Il secondo elemento è la deliberazione. Le Assemblee dei Cittadini sono istituti complessi, con fasi e momenti altamente strutturati. Tutto il processo è all’insegna dell’ascolto reciproco tra i partecipanti, così come di persone esterne all’Assemblea, tra cui esperti della materia in oggetto e gruppi d’interesse che vengono chiamati a presentare le loro posizioni e proposte. Alle fasi di ascolto e confronto seguono le discussioni, agevolate da facilitatori professionisti. Il tutto è finalizzato a deliberare, nel senso etimologico di produrre, porre a confronto, “mettere sulla bilancia” idee, proposte e soluzioni differenti. L’obiettivo ultimo delle Assemblee dei Cittadini è quello di produrre raccomandazioni sul tema affrontato, prediligendo il metodo del consenso.
Da diversi anni stiamo assistendo ad una crisi delle democrazie elettive, caratterizzata da una generale disillusione dei cittadini nei confronti delle istituzioni, della politica e delle pratiche di voto. A quali condizioni l’introduzione delle Assemblee potrebbe essere anche la soluzione per aiutare i cittadini a riconoscere nuovamente il valore del voto e, di conseguenza, per combattere l’astensionismo diffuso e migliorare la salute della nostra democrazia?
È innegabile che un rinvigorimento del senso di responsabilità ed affezione alla cosa pubblica non può che avere ricadute positive anche sulla partecipazione dei cittadini al voto. Nella nostra ottica, tuttavia, le Assemblee dei Cittadini non si prefigurano come uno strumento per rafforzare la fiducia delle persone verso la pratica del voto, ma verso la democrazia stessa. Queste istituzioni, cioè, non devono essere intese come una cura temporanea o una terapia passeggera, bensì come un’innovazione capace di diventare parte integrante del nostro sistema democratico. Cosa che per altro è già successa in alcune regioni, Stati federati e metropoli europee e mondiali, tra cui la Regione di Bruxelles e la Regione germanofona Ostbelgien, in Belgio, lo Stato austriaco del Voralberg e le città di Parigi, Lisbona, Aquisgrana, Bogotà e Toronto. Qui, le istituzioni elettive, ovvero i Parlamenti statali e regionali e i Consigli municipali, sono stati affiancati da organi di natura permanente composti da comuni cittadini che cambiano composizione ogni sei, dodici o diciotto mesi.
Avete citato alcuni dei Paesi nel mondo in cui le pratiche deliberative sono ormai prassi consolidata. Perché in Italia questi processi sono ancora poco conosciuti?
L’arretratezza del nostro Paese su questi temi è imputabile a diversi motivi. Primo tra tutti, il fatto che i partiti politici siano portatori dell’idea che solo le élite elette abbiano il mandato, la responsabilità e gli elementi conoscitivi per poter decidere. Queste affermazioni, almeno per quanto riguarda la conoscenza e la responsabilità, sono molto distanti dalla realtà. La politica ha spesso dimostrato di essere lontana dal conoscere la condizione del Paese e i bisogni di chi lo abita, apparendo di frequente guidata dall’esigenza di massimizzare la sua permanenza nella sfera del potere. D’altro canto, la partecipazione istituzionalizzata in Italia è stata relegata a processi, come nel caso delle politiche del territorio e delle infrastrutture, che fanno riscontrare bassissimi livelli di influenza nelle decisioni anche a causa di un costante mandato che impone di “sbrigare” rapidamente queste pratiche, togliendo di fatto il tempo necessario per la produzione e la valutazione dei pro e dei contro delle diverse proposte. Infine, va detto che in Italia oggi prevalgono metodi che hanno notevoli limiti, primo tra tutti l’autoselezione di chi partecipa. Uno strumento che finisce per attirare solo persone che per interessi, passione, risorse economiche e di tempo, già di fatto partecipano, e che risulta invece incapace di coinvolgere il resto della cittadinanza.
La vostra proposta intende mostrare la rilevanza e praticità delle Assemblee dei cittadini fin da subito, prevedendo anche l’istituzione di una specifica Assemblea sul tema della crisi climatica e ambientale, della transizione energetica e della sostenibilità. Perché è necessario partire da qui?
La crisi climatico-ambientale rappresenta la sfida dei nostri tempi. Si tratta di una sfida di lungo periodo, che deve essere affrontata con sguardo lungimirante e rivolto ad un futuro non immediato. Questa necessità si scontra con il limite più palese della democrazia elettorale, ossia la ricerca continua e costante del consenso da parte della politica, che la schiaccia su orizzonti di breve o al massimo medio periodo. Proporre misure di contrasto ai cambiamenti climatici nella direzione di una transizione energetica e della sostenibilità ecologica dell’economia significa chiedere ai cittadini di modificare, almeno in parte, alcune delle loro abitudini quotidiane. Misure che, in buona sostanza, quasi certamente determinerebbero una perdita di consensi per coloro che le propongono. Ecco perché, pur sapendo quale dovrebbe essere la strada da seguire, pressoché nessun governo la intraprende. Le Assemblee dei Cittadini rappresentano lo strumento attraverso il quale i diretti interessati dalla grande sfida del futuro, posti nelle adeguate condizioni di formazione, informazione, dibattito libero e rispettoso, possono progettare il mondo di domani.
In quest’ottica, può l’esistenza di una Assemblea dei Cittadini favorire anche una complessiva percezione di maggiore legittimità delle decisioni su temi che, inevitabilmente, avranno importanti impatti sulla vita quotidiana delle persone?
La risposta è sì. Le Assemblee dei Cittadini sono in grado di produrre quell’accettabilità sociale delle soluzioni che la politica elettorale non riesce più a garantire. Ciò è dovuto al fatto che la grande maggioranza dei cittadini è più portata a fidarsi e a fornire legittimità a proposte avanzate da loro pari piuttosto che da élite politiche. Specialmente se, al termine dei lavori dell’Assemblea dei Cittadini, ai suoi membri sono date la possibilità, il tempo e le risorse per spiegare e presentare adeguatamente ai propri concittadini le ragioni che li hanno portati all’elaborazione di tali raccomandazioni.
La vostra proposta è al passo con diverse iniziative a livello europeo. Si pensi ad esempio a PHOENIX, un progetto finanziato dall’Unione Europea che coinvolge 15 partner internazionali per sperimentare pratiche deliberative sui temi dello European Green Deal. Come può il coinvolgimento dei cittadini migliorare anche la coesione tra i diversi Paesi europei, aiutando le persone a sentirsi parte di un più ampio progetto transnazionale?
Basti pensare a quanto avvenuto con la Conferenza sul Futuro dell’Europa. Quell’occasione ha dimostrato che la partecipazione deliberativa svolge esattamente la funzione di porre le basi per il progetto della nuova Unione, aiutando la politica a superare lo stallo su annose questioni legate alle modifiche dei trattati, prima fra tutte quella delle regole di voto, che vincola il Consiglio all’unanimità per decisioni di capitale importanza. In quel caso, 800 cittadine e cittadini estratti a sorte da tutti gli Stati membri, suddivisi in quattro gruppi tematici da 200 cittadini l’uno, hanno discusso in modo informato i temi cruciali per il futuro del continente: dall’economia, al cambiamento climatico, dalla difesa, al ruolo dell’Europa nel mondo. Un approccio, questo, che verrà ora istituzionalizzato. È stato dimostrato che le persone che hanno preso parte alla Conferenza si sono sentite parte di un progetto comune di rilievo storico, che ha prodotto, sta producendo e produrrà cambiamenti fondamentali sia sul piano delle istituzioni, sia su quello della cittadinanza.
Se la vostra proposta dovesse passare e le Assemblee dei Cittadini diventassero pratiche comuni, come vi immaginate la politica del futuro?
Senz’altro la comunità politica ne uscirebbe rinvigorita, maggiormente responsabile e coscienziosa. Si andrebbe definendo un nuovo patto tra cittadini e istituzioni, tra eletti ed elettori, tra governati e governanti. E perché le Assemblee dei Cittadini avrebbero questo potenziale di rinnovamento? Rispondeva già due secoli fa Alexis de Tocqueville quando sosteneva che «obbligando gli uomini ad occuparsi di cose estranee ai propri affari si combatte l’egoismo individuale, che è la ruggine della società». È chiaro che qui non si tratta di obbligare a partecipare alla vita politica, né tanto meno si chiede di occuparsi di cose completamente estranee ai propri interessi. Al contrario, l’obiettivo è incentivare la partecipazione responsabile anche di persone che fino a quel momento erano disinteressate alla cosa pubblica, mostrando loro che possono contribuire alle decisioni su tematiche che sono direttamente rilevanti per loro.