Università degli Studi di Genova

Prosegue dalla prima parte

La fiammata inflazionistica

L’aumento delle quotazioni delle materie prime (energetiche in primis) avvenuto nel corso del 2021 ha spinto verso l’alto i costi di produzione, portando a un’ondata inflazionistica che in Europa non si vedeva da quarant’anni. Stime di giugno suggeriscono una crescita in Italia dell’Iapc (Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo per i Paesi dell’Unione europea) pari all’8,5%, spinto anche dalle incertezze geopolitiche dovute all’invasione russa in Ucraina, con la seguente instabilità in tema di forniture energetiche.

 

I prezzi di petrolio e gas naturale nei primi mesi del 2022 sono stati circa 1,6 e 6,8 volte superiori rispetto al livello medio del 2019. Rispetto al periodo pre-pandemia, il prezzo del grano è raddoppiato, quello dei fertilizzanti triplicato e i beni alimentari costano il 9% in più. L’Italia presenta un livello di dipendenza dalle forniture estere di prodotti energetici pari al 75% del proprio fabbisogno, e anche il comparto agroalimentare (che rappresenta il 10% dell’export italiano) dipende per più del 20% da input produttivi esteri.

 

Siccome le tensioni geopolitiche impattano anche sulla stabilità delle catene di fornitura, è possibile che oltre allo shock sui prezzi ce ne sarà uno sull’offerta, con contraccolpi sulla ripresa. Inoltre, il già citato impatto degli shock sui prezzi risulta molto forte a monte delle filiere, e questo genera effetti di trasmissione estesi. In mancanza di rinnovi o di meccanismi di adeguamento, si stima che le retribuzioni contrattuali diminuiranno in maniera forte in termini reali, ritornando a fine 2022 ai livelli del 2009.

 

L’impatto differenziato sui diversi settori produttivi

La ripresa è stata molto eterogenea tra i diversi settori produttivi. Se da un lato l’industria e le costruzioni (trainate dagli incentivi fiscali) evidenziano un trend positivo, nei servizi la situazione è molto più diversificata. Particolarmente critica è la situazione dell’agricoltura, settore che evidenzia un calo di valore aggiunto sia nel 2020 che nel 2021 e che negli ultimi 38 anni ha visto scomparire 2 aziende su 3. Oltre agli shock dovuti alla pandemia e alla situazione geopolitica, questo settore è falcidiato sempre di più anche dagli effetti dei cambiamenti climatici (in primis, la drammatica siccità di questi mesi).

 

La ripresa dell’occupazione 

L’Italia ha evidenziato la più marcata riduzione degli occupati tra il 2019 e il 2020. Tuttavia, nel 2021 la situazione è migliorata e a marzo 2022 il tasso di occupazione ha segnato il valore più elevato da quando è disponibile la serie storica (2004). Allo stesso tempo, la quota degli attivi è tornata a livelli pre-pandemia. Questo trend è stato però guidato prevalentemente dall’occupazione a tempo determinato, la più colpita durante la pandemia. I giovani, le donne e le persone con basso titolo di studio sembrano aver pagato più degli altri le conseguenze della pandemia. Giovani che, nonostante timidi segnali di ripresa, non hanno ancora recuperato il tasso di occupazione del 2007 e donne che rimangono agli ultimi posti della graduatoria europea. 

 

Disuguaglianze nelle forme lavorative

Nel 2021 diminuiscono i dipendenti a tempo indeterminato e gli autonomi con dipendenti, così come diminuisce il lavoro indipendente (meno imprenditori) e il lavoro in proprio (meno agricoltori, artigiani e commercianti). Ad aumentare è soprattutto il lavoro a tempo determinato, in particolare con contratti di breve durata, e cresce anche il part-time involontario.

 

I lavoratori non standard (a tempo determinato, collaboratori o part-time) toccano il 20% del totale e si concentrano soprattutto fra coloro che abitano al sud, che hanno bassi livelli di istruzione, così come fra i giovani, gli stranieri e le donne. Sono concentrati prevalentemente nei settori degli alloggi, della ristorazione, dell’agricoltura e dei servizi alle famiglie. In espansione anche il lavoro somministrato e intermittente e il lavoro tramite piattaforma digitale.

 

Disuguaglianze retributive

Forme di lavoro non standard che comportano una bassa retribuzione oraria, contratti brevi e di bassa intensità sono sinonimo di livelli retributivi annui più bassi. Un lavoratore su tre guadagna meno di 12mila euro annui lordi. Anche in questa dinamica, con poca fantasia, i più penalizzati risultano essere i giovani, i meno istruiti, gli stranieri, le donne e coloro che risiedono nel Mezzogiorno. Le imprese che assicurano le condizioni retributive migliori sono quelle dove prevalgono le posizioni lavorative a tempo pieno e indeterminato.

 

Povertà assoluta sempre più alta

La povertà assoluta è progressivamente aumentata nell’ultimo decennio e nel biennio 2020-2021 oltre cinque milioni e mezzo di italiani si trovavano a essere in condizioni di povertà. Per quanto riguarda la connotazione della povertà assoluta, questa è diminuita fra gli anziani, è rimasta stabile fra le coppie di anziani ed è fortemente cresciuta fra le coppie con figli e fra i nuclei monogenitoriali e le famiglie di altra tipologia. Sempre più famiglie di occupati versano in questa condizione, e cresce la stratificazione territoriale, per età e per cittadinanza della povertà, che risulta in forte aumento fra i minori e i giovani.

 

Il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza nel 2020 hanno evitato che un altro milione di individui si trovasse in condizioni di povertà assoluta, e hanno altresì garantito la diminuzione dell’intensità della povertà di una buona fetta di coloro che versano in questa condizione. L’inflazione rischia di peggiorare la situazione, sia per l’impatto sul potere d’acquisto sia perché le tempistiche dei rinnovi contrattuali sono più lunghe per i settori caratterizzati da bassi livelli di retribuzioni, ovvero i settori dove lavorano i più poveri.

 

Disuguaglianza e DAD

Fra i più giovani, complice l’effetto della pandemia, c’è una riduzione delle competenze e dello sviluppo di attività relazionali. Le prove Invalsi 2020/2021 evidenziano una perdita generalizzata degli apprendimenti sia in italiano sia in matematica, più evidente al crescere del grado di istruzione. La didattica a distanza ha portato a ulteriori differenze tra territori e ordini scolastici. Inoltre, solo 8 ragazzi su 10 delle scuole secondarie hanno potuto seguire le lezioni con continuità fin da subito, mentre 156mila non hanno ricevuto formazione fino alla fine dell’anno scolastico 2020 e 700mila hanno partecipato alla DAD solo saltuariamente. Dati allarmanti che sono rientrati nel 2021, ma che non sono privi di conseguenze.

 

Disuguaglianze nel mondo delle imprese

Fra le imprese, i dati evidenziano maggiori difficoltà nel processo di recupero per quelle di piccole dimensioni e per i settori dei servizi, più colpiti da misure di contenimento associato alla pandemia (turismo, ristorazione e servizi alla persona). Viceversa, le imprese medio-grandi e attive in settori quali industria e Information communication technology hanno avuto meno problemi e hanno altresì beneficiato di maggiori stimoli per la ripresa. Nel complesso, le circostanze legate alla pandemia hanno spinto la diffusione delle tecnologie digitali, portando le imprese a recuperare ritardi strutturali e a sperimentare  nuovi modelli organizzativi.

 

La sfida della PA

Con la crisi pandemica sono venuti al pettine vari nodi irrisolti per la PA italiana, quali la transizione green e la modernizzazione (fra le altre, la digitalizzazione, l’innovazione di processo e la formazione di capitale umano). Il piano di riforma al vaglio del governo va in questa direzione, ma ci sono vari ostacoli, quali l’invecchiamento dei dipendenti pubblici sperimentato negli ultimi vent’anni e il basso numero di dipendenti pubblici per abitante. Tuttavia, il 42,5% dei dipendenti pubblici ha un titolo di studio universitario. Una buona notizia arriva dall’accesso ai servizi digitali, il quale ha evidenziato un ottimo incremento: basti pensare che dal 2019 a oggi le amministrazioni che adottano lo SPID sono triplicate e le utenze individuali sono quintuplicate negli ultimi 2 anni.

 

La fotografia che si ricava dalla lettura del trentesimo rapporto annuale Istat è uno strumento prezioso per capire e valutare le strade che dovrà imboccare il sistema Paese. Molti dati tracciano traiettorie obbligate, per la riduzione delle disuguaglianze, la crescita dell’occupazione per i giovani e le donne e, con particolare enfasi al Sud Italia, lo sviluppo di una riflessione sulla questione delle tipologie di contratto, i primi passi verso la transizione ecologica, le risposte in termini di assistenza di fronte alle trasformazioni delle forme familiari e il cambio di passo per la modernizzazione della Pubblica amministrazione. La risposta a queste domande plasmerà l’Italia di domani.

 

Fotografia: Nick van den Berg
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