Università degli Studi di Genova

L’inflazione avrà, già nel breve periodo, un impatto particolarmente negativo sui giovani. Generazioni già fiaccate da condizioni lavorative precarie, mancanza di prospettive e fragilità finanziaria dovranno fare i conti con l’impatto di questo fenomeno, che rischia di peggiorare la già bassa percentuale di laureati, la scarsa natalità e le difficoltà di uscita dalla famiglia di origine dei giovani italiani

È questo l’humus sul quale è piombata la notizia dell’aumento dei tassi di interesse da parte della BCE. E a farne le spese sono, ancora una volta, soprattutto (ma certamente non soltanto) i giovani. In particolare, questo è dovuto agli effetti che un’elevata inflazione ha sulla distribuzione del reddito, sui risparmi, sul deficit (dunque sul debito) e sul PIL, oltre che sulla creazione di un clima generale di incertezza e di sfiducia verso il futuro. Inoltre, la decisione presa dalla BCE per frenare l’inflazione ha anche un effetto diretto sull’aumento dei tassi di interesse, con ripercussioni sul costo del mutuo per l’acquisto della casa, che per definizione riguarda soprattutto i giovani, ovvero i nuovi sottoscrittori.

 

In primis, va ricordato che l’inflazione è una sorta di tassa regressiva che dunque penalizza soprattutto le famiglie più povere. Infatti, uno dei principali aspetti che rende l’inflazione particolarmente fastidiosa soprattutto per i ceti più svantaggiati è che questi destinano la maggior parte del proprio reddito all’acquisto di beni di prima necessità, rispetto ai più abbienti. In questa definizione rientrano a pieno titolo i giovani che, come abbiamo visto, sono più spesso lavoratori precari, con scarse tutele e salari bassi.

 

Il loro “paniere di consumo”, ovvero i beni e i servizi rappresentativi dei loro consumi (generi alimentari, gas, benzina, etc.), risulta essere più colpito dall’inflazione rispetto al paniere di consumo dei più facoltosi. Il perché di questa sfasatura è chiaro nelle parole del Presidente del Consiglio Draghi, pronunciate alla cerimonia di apertura della recente riunione ministeriale dell’OCSE. In quell’occasione, Draghi ha spiegato come, escludendo voci quali l’energia e i generi alimentari, l’aumento dell’inflazione in Europa sia pari a circa la metà rispetto a quello segnalato.

 

Addirittura in Italia l’“inflazione core” (ovvero, al netto dei beni tipicamente soggetti a forte volatilità dei prezzi come energia e generi alimentari) sarebbe ancora più bassa, attestandosi attorno al 2,9%. Ecco dunque che coloro che destinano la maggior parte del proprio reddito in consumi su beni volatili sono più colpiti rispetto agli altri. 

 

È evidente che una riduzione del potere d’acquisto da parte dei giovani, i quali hanno risparmi molto bassi se non nulli, ha un impatto forte sui loro comportamenti comuni e quotidiani, e può spingere al rinvio di spese mediche non urgenti (seppur necessarie), oltre che a intaccare la qualità del tempo libero e dunque a ridurre le uscite con gli amici, le serate al cinema, a teatro, le vacanze.  Tutte attività che, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia Covid-19, non è stato possibile svolgere per molto tempo.

 

Anche per quanto riguarda l’erosione del risparmio che, come abbiamo visto, risulta essere meno colpito dall’inflazione rispetto ai consumi in beni di prima necessità, ci sono differenze fra più o meno agiati. Infatti, chi ha un salario più basso è obbligato di fatto a mantenere una percentuale maggiore dei propri risparmi in forma liquida (depositi su conto corrente), in quanto deve essere pronto ad affrontare spese impreviste. In questo modo, quel timido e sudato risparmio, non essendo investito in titoli finanziari capaci di battere l’inflazione, viene eroso. E questo è valido anche per quei pochi risparmi che i giovani, quantomeno quelli più fortunati, riescono a mettere da parte.

 

Tale fenomeno è ulteriormente amplificato da un altro problema, ovvero la scarsa educazione finanziaria rilevata dall’ultimo report della Banca d’Italia, la quale evidenzia gli under 35 come la classe di età con la più scarsa alfabetizzazione finanziaria. Fra di loro ci sono molti fan delle criptovalute: questi, che spesso le acquistano via app dallo smartphone, ne ignorano o sottovalutano il rischio, evidenziato dall’esplosione della bolla avvenuta nelle settimane scorse.

 

Inoltre, come è stato già accennato, per i giovani, essendo sovra-rappresentati nella parte debole del mercato del lavoro, è ancora più difficile ambire ad aumenti salariali, anche quando il mercato del lavoro si restringe e l’inflazione sale. È invece più facile che, in periodi in cui l’economia incontra particolari difficoltà, perdano il posto di lavoro. I giovani sono anche i lavoratori mediamente meno sindacalizzati: recenti dati dell’Inps evidenziano come il 40% degli iscritti a un sindacato sia pensionato, dato esemplificativo del rapporto complicato che intercorre fra i sindacati e i giovani e del necessario ripensamento delle modalità di dialogo.

 

In aggiunta a queste dinamiche, l’aumento dei tassi di interesse e il loro effetto diretto sul costo di un mutuo potrebbero essere un ulteriore freno alle già preoccupanti difficoltà che affrontano i giovani italiani per lasciare la famiglia di origine. Gli italiani, infatti, sono il fanalino di coda in Europa, insieme ai Paesi Balcanici, per l’età di uscita dalla famiglia di origine (30,1 anni); mediamente gli svedesi vivono già da soli da 12 anni quando gli italiani escono di casa. In aggiunta, l’aumento del costo della vita potrebbe avere ulteriori contraccolpi negativi anche per quanto riguarda la fertilità. Anche questo è un capitolo in cui gli italiani non brillano particolarmente, piazzandosi al terzultimo posto in Europa per tasso di fertilità totale,  davanti solo a Malta e Spagna (1,24 nati per donna).

 

C’è anche un canale attraverso il quale l’inflazione colpisce indirettamente i giovani e i giovanissimi, ed è quello relativo alla perdita di potere d’acquisto da parte delle famiglie del ceto medio basso. Un esempio su tutti è dato dal ruolo dell’istruzione come ascensore sociale. Mentre, anche in questo periodo particolarmente negativo, ai figli dei ricchi gli studi continueranno a essere pagati dai genitori, diversamente, i figli dei meno facoltosi che vogliano continuare a studiare – avendo salari reali più bassi e colpiti maggiormente dall’inflazione come evidenziato sopra – avranno sempre maggiori difficoltà a indebitarsi (e a pagare); probabilmente l’affiancamento allo studio di “lavoretti” non sarà più sufficiente.

 

Diventa più probabile – se non in alcuni casi inevitabile – che questi, nella morsa della necessità, entrino direttamente nel mercato del lavoro. A maggior ragione alla luce del fatto che, già nel periodo pre-pandemia, fra coloro che conciliano studio e lavoro sembra concentrarsi la maggior quota di situazioni connesse a esperienze di povertà.

 

L’Italia, con il 28% di giovani laureati, è tutt’ora al penultimo posto in Europa per quanto riguarda l’istruzione terziaria (supera solo la Romania), ben al di sotto della media europea e molto lontana dai Paesi più virtuosi, Lussemburgo e Irlanda, che registrano rispettivamente il 63 e il 62%. Quasi la metà degli Stati membri (13, per l’esattezza) ha già raggiunto l’obiettivo prefissato al 2030 di aumentare al 45% la quota della popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni che abbia completato l’istruzione terziaria.

 

Questa situazione rischia di creare un cortocircuito negativo: se si guarda alla distribuzione della povertà rispetto ai livelli di istruzione e alla condizione professionale, si nota come la diffusione della povertà diminuisca al crescere del livello di istruzione e al crescere della qualità occupazionale.

 

Inoltre, maggiori difficoltà del ceto medio-basso significano anche maggiori disparità dei punti di partenza, fenomeno che svilisce il concetto di meritocrazia, e porta anche a una più alta  corrispondenza fra disuguaglianza dei punti di partenza e disuguaglianza dei punti di arrivo. Questa situazione, oltre ad avere rilievi in termini di equità, ha anche un impatto negativo per la società nel suo complesso, che perde il potenziale dei meno fortunati.

Leggi anche l’articolo precedente del ciclo: La condizione giovanile ai tempi della stretta monetaria

 

Fotografia: Jesús Rodríguez
Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 132454\