Università Sapienza di Roma

A fronte di un limitato impatto sull’economia e l’inflazione, la decisione della Bce rischia di impoverire ulteriormente le fasce più deboli della popolazione. Per questo abbiamo bisogno di politiche di controllo dei prezzi e maggiore tutele dei lavoratori


L’inflazione può avere, e di norma ha, rilevanti conseguenze di carattere distributivo perché incide  diversamente sul benessere e sul tenore di vita delle persone diventando causa di disuguaglianze.  Soprattutto, aggrava le disuguaglianze  pre-esistenti perché a essere più danneggiati sono coloro che già si trovavano in basso nella scala dei redditi e del benessere economico.

L’attenzione per questa conseguenza dell’inflazione è decisamente inferiore a quella riservata alle sue conseguenze macroeconomiche, in primo luogo rispetto a crescita economica e occupazione. Si tratta, però, di una conseguenza molto rilevante da tenere presente anche nel decidere con quali politiche contrastare l’inflazione e i suoi impatti negativi.

Le principali ragioni per le quali l’inflazione incide sulla disuguaglianza sono essenzialmente due. La prima scaturisce dal fatto che il tasso di inflazione è un valore percentuale che sintetizza le variazioni nei prezzi di un paniere estremamente numeroso di beni e servizi: l’Istat ne considera più di 1700. In quel semplice valore percentuale sono quindi sintetizzate variazioni di prezzo che possono essere, e spessissimo sono, molto diverse tra loro.

Secondo l’Istat, a maggio 2022 l’indice dei prezzi al consumo (NIC) è cresciuto del 6,8% rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente. Ma le dinamiche dei prezzi relative alle varie tipologie di prodotto sono state molto diverse. Il prezzo dei beni energetici è cresciuto enormemente: 42,6%. Rilevante è stato anche l’aumento di prezzo dei beni alimentari (superiore al 7%) e dei trasporti (6%). Per tutte le altre tipologie l’incremento risulta inferiore (spesso di molto) al 5%. In conseguenza di ciò, il tasso di inflazione, al netto del costo dell’energia e degli alimentari freschi, è stato di poco superiore al 3%.

Questi dati implicano, tra l’altro, che chi dispone di un reddito così basso da essere largamente assorbito dai consumi energetici e alimentari potrà facilmente essere costretto dall’aumento dei prezzi di questi due beni a dover rinunciare ad altri consumi, e quindi a  ridurre il  proprio tenore di vita. Chi avesse redditi più alti potrebbe limitarsi a una molto meno penosa riduzione del risparmio, senza conseguenze sul tenore di vita nell’immediato. Naturalmente, se aumentassero soprattutto i prezzi dei beni di lusso, l’inflazione avrebbe effetti distributivi diversi.

La seconda ragione per la quale l’inflazione si ripercuote sulla disuguaglianza è che il suo rapporto con i redditi è molto eterogeneo. Al riguardo è decisivo quello che potremmo chiamare il contesto istituzionale economico. Da quest’ultimo dipende la diversa capacità di modificare i propri redditi al crescere dell’inflazione. Alcuni sono privi di tale capacità e, di conseguenza, l’aumento dei prezzi provocherà un peggioramento del loro tenore di vita. Altri, invece, possono proteggere il proprio tenore di vita dall’inflazione e in alcuni casi possono addirittura migliorarlo, grazie a un aumento del reddito che eccede il tasso di inflazione.

Di questo problema si parla soprattutto con riferimento ai salari e ai profitti complessivi, cioè a quella che viene detta distribuzione funzionale del reddito. In assenza di adeguate istituzioni (sindacati ‘forti’, meccanismi di automatico collegamento tra prezzi e salari, come l’antica scala mobile) i salari restano fermi e i profitti crescono. E tanto più crescono quanto più diffusi sono i mercati non concorrenziali, dove si possono accrescere i margini di profitto senza troppo timore di perdere domanda e clienti. L’inflazione che abbiamo davanti offre diversi esempi al riguardo.

Se questo accade, anche la disuguaglianza personale ne risente. La ragione è che i profitti sono più concentrati dei salari e quindi, se cresce la quota di reddito distribuita in modo più diseguale, la disuguaglianza nei redditi personali cresce di conseguenza. Ma il problema non si manifesta soltanto a livello di salari complessivi e profitti complessivi; vi sono rilevanti differenze tra i percettori di salario e tra i percettori di profitti o, più in generale, di redditi da capitale e da patrimonio.

Alcuni esempi possono chiarire il problema. I lavoratori più deboli, quelli che alimentano il gruppo sempre più numeroso dei working poor, non hanno praticamente alcuna possibilità di difendere il potere d’acquisto del proprio reddito; qualche chance in più la hanno i lavoratori regolari e sindacalizzati del pubblico e del privato. Le condizioni concorrenziali sono diverse in diversi mercati; così, la capacità di proteggere e accrescere i margini di profitto, di cui si è detto prima, è assai diversa. Inoltre, i possessori di piccoli patrimoni spesso non riescono ad accedere a forme di investimento che assicurano rendimenti (inclusi i guadagni in conto capitale) superiori al tasso di inflazione, ed è ancora peggio per coloro che non possono disporre d’altro che di esigui conti correnti.

Dunque, se – come appare indiscutibile – coloro che sono più in basso nella scala dei redditi destinano un’elevata quota del loro reddito al consumo di beni e servizi i cui prezzi crescono di più e, allo stesso tempo, sono coloro che nel contesto istituzionale non dispongono del potere di adeguare i redditi l’esito sarà che l’impatto diseguale dell’inflazione aggraverà le disuguaglianze pre-esistenti.

Da questa analisi si possono trarre alcune sintetiche riflessioni rilevanti per le politiche da adottare.

Contrastare l’inflazione con l’aumento dei tassi di interesse rischia di essere ben poco efficace, se non proprio dannoso, dal punto di vista delle disuguaglianze. L’impatto sull’inflazione rischia di essere debole e ritardato, di non concentrarsi sui beni e servizi più rilevanti per i ’poveri’ e in più potrebbe aversi aumento della disoccupazione che aggraverebbe le cose.

Più appropriate appaiono politiche selettive di controllo dei prezzi (in particolare dei beni energetici e alimentari) che nell’attuale contingenza avrebbero anche una valenza geopolitica. Ma occorre molta cura nell’attuazione del controllo dei prezzi  e qui non è possibile approfondire la questione. Un’ulteriore considerazione riguarda il contesto istituzionale: indebolire il lavoro ha anche l’implicazione di esporre molte persone e famiglie a impoverimento. Tra le altre considerazioni, ne avanzo solo una: nei Paesi in cui è in vigore un salario minimo legale è più agevole adeguare rapidamente il livello di quest’ultimo all’inflazione limitando il rischio di un estremamente ingiusto impoverimento da inflazione.

 


 

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