Si moltiplicano i paragoni tra la crisi per l’inflazione di questi mesi e quella scatenata negli anni Settanta da alcune misure dell’OPEC. Anche nel 1973 tra gli elementi contingenti dell’impennata dei prezzi c’erano una guerra e i prezzi delle risorse energetiche, ma non solo. Conoscerli serve per evitare banalizzazioni che non aiutano né la nostra comprensione di quegli eventi né quella del presente.
I venti inflazionistici che spirano nell’economia mondiale stanno generando sulla stampa un moltiplicarsi di paragoni con gli anni Settanta. In particolare, il fatto che l’inflazione di oggi si accompagni alla guerra tra Russia e Ucraina e a tensioni evidenti nei mercati delle materie prime energetiche rende irresistibile la tentazione di un parallelismo con il 1973, quando le tendenze inflazionistiche si accompagnarono al conflitto tra Israele, Egitto e Siria e al quadruplicarsi dei prezzi del petrolio da parte dell’OPEC (l’organizzazione dei principali Paesi esportatori di greggio).
Non è detto che dai paragoni con il passato si possano sempre trarre insegnamenti utili per il presente. Nella misura in cui si ritiene, però, che il richiamo alle vicende degli anni Settanta possa dare qualche beneficio oggi, osservo che i rapporti di causa ed effetto tra inflazione, guerra e andamento dei prezzi energetici negli anni Settanta, così come questi ci vengono generalmente presentati, hanno poco a che vedere con le dinamiche reali di quel decennio.
Il tipico racconto giornalistico delle vicende di quell’epoca vede una situazione di partenza relativamente stabile, turbata dallo scoppio della guerra in Medio Oriente nell’ottobre 1973 e, a seguire, dall’appoggio “dato dall’OPEC” ai due Stati arabi con il cosiddetto “embargo petrolifero” contro gli alleati di Israele, con il conseguente aumento dei prezzi del greggio e l’avvio di un’ondata inflazionistica negli anni successivi.
Come tutti i miti, ovviamente, anche questo ha un fondo di verità: nell’ottobre 1973 vi fu effettivamente una guerra in Medio Oriente; alcuni Paesi arabi decretarono un “embargo” contro gli Stati Uniti; i prezzi del greggio aumentarono; infine, nei mesi successivi, l’economia internazionale risentì in senso inflazionistico dell’aumento del prezzo della materia prima che alimentava il 50% dei consumi mondiali di energia. Per il resto, però, questa ricostruzione è piena di errori, fattuali e interpretativi.
Anzitutto, l’inflazione “degli anni Settanta” nacque ben prima del 1973: nel 1969 l’aumento dei prezzi su base annua negli Stati Uniti era già calcolato intorno al 5%. Una guerra c’entra anche qui, ma non si tratta di niente che abbia a che vedere con il Medio Oriente: si tratta della ben più lunga, devastante ed economicamente destabilizzante guerra statunitense in Vietnam, spesa “improduttiva” come poche (per non entrare in giudizi morali), condotta peraltro mentre la conflittualità sociale interna spingeva il Presidente Lyndon Johnson a promuovere politiche economiche di pieno impiego nel nome del binomio “burro e cannoni”. Per effetto di quello che il Generale De Gaulle chiamava con invidia il “privilegio esorbitante” del dollaro, valuta centrale nel sistema internazionale, dollari inflazionati si riversarono a lungo in Europa occidentale, Giappone e resto del mondo, talvolta intrecciandosi con spinte inflazionistiche locali di natura diversa.
Tra chi ebbe modo di lamentarsi dell’inflazione così importata vi erano anche i Paesi dell’OPEC, la cui situazione divenne ancora più problematica tra il 1971 e il 1973, quando il Presidente Richard Nixon abolì la parità aurea del dollaro, al contempo svalutandolo di circa il 20%. Come ha mostrato Giuliano Garavini, da questo punto di vista, l’aumento dei prezzi del greggio decretato dall’OPEC alla fine del 1973 derivò da una necessità “difensiva” di governi che per anni avevano accumulato pezzi di carta “buoni come l’oro” e che cercavano adesso di tutelare il valore del proprio export. Nella misura in cui, invece, le decisioni dell’OPEC ebbero anche un carattere “offensivo”, questo non aveva virtualmente niente a che vedere con la guerra arabo-israeliana ma, se mai, con le parole d’ordine terzomondiste sull’affermazione di una piena sovranità economica contro l’eredità “neocoloniale” del dominio delle “Sette sorelle” nella filiera del petrolio.
Giusto per chiarire il punto: nelle discussioni interne all’OPEC dei primi anni Settanta, il “falco” che pretendeva prezzi sempre più alti era lo Shah dell’Iran Mohamed Reza Pahlavi, che non aveva nessun coinvolgimento nel conflitto arabo-israeliano, così come non avevano nessun coinvolgimento in esso altri membri fondamentali dell’OPEC come Venezuela, Nigeria e Indonesia. Il massimo che si può dire della relazione tra la decisione dell’OPEC sui prezzi del greggio e la guerra mediorientale è che i membri arabi dell’OPEC, come l’Arabia Saudita, potevano trovare nella guerra un motivo addizionale per allinearsi alle decisioni dell’Organizzazione (che però, per statuto, non avrebbe potuto decretare “embarghi” nemmeno se avesse voluto).
Sono importanti queste puntualizzazioni? Sì, perché servono a chiarire che i prezzi del greggio aumentarono nel 1973 per ragioni economico-politiche strutturali, non politico-militari congiunturali.
Aumentarono perché un gruppo di esportatori, che allora godeva virtualmente di un monopolio collettivo su una risorsa esportata, decise di farsela pagare quattro volte di più. E aumentarono perché l’OPEC aveva una posizione dominante sul mercato dal lato dell’offerta, non perché l’offerta sia stata tagliata: al contrario, il cosiddetto “embargo petrolifero”, decretato in autonomia dall’Arabia Saudita e da pochi altri Paesi arabi (non l’Iraq, per esempio), ridusse l’offerta mondiale di petrolio solo per tre mesi e solo del 5% (secondo le stime più plausibili), con effetti complessivamente trascurabili nell’economia della vicenda. Se è vero che l’inflazione odierna deriva, almeno in una certa misura, dalle “strozzature” determinate in vari mercati da pandemia e guerra, la differenza sembra sostanziale.
Nel frattempo, il mondo è cambiato: non ci sono più le politiche di pieno impiego, non ci sono più le parole d’ordine terzomondiste e non c’è più il monopolio collettivo dell’OPEC su una quota così rilevante dell’energia consumata nel mondo. Proprio a seguito degli shock degli anni Settanta, inoltre, l’intensità energetica dei prodotti è diminuita. In queste condizioni, dire oggi che “è come negli anni Settanta”, senza sapere esattamente cosa è successo negli anni Settanta, può anche essere un errore privo di conseguenze. Nel peggiore dei casi, però, affidarsi a ricostruzioni semplicistiche del passato rischia di dare la pericolosa illusione che, oggi come ieri, anche il fenomeno più complesso possa sempre essere spiegato con qualche banalità sulla “geopolitica”.
Foto di Dominik Lückmann.