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Il caso della RecHouse di via del Porto Fluviale di Roma. Immobile occupato a scopo abitativo dal 2003 e punto di riferimento per la vita culturale e associativa del suo quartiere, ora passa a una nuova fase grazie a un bando del ministero dei Trasporti vinto dal Comune di Roma con la collaborazione di diverse università della capitale. L’obiettivo degli investimenti è rendere gli occupanti degli assegnatari di nuovi alloggi pubblici, valorizzando la loro esperienza ventennale come comunità di abitanti e realtà locale.

 

In Europa, sin dalla fine anni Sessanta, le occupazioni a scopi abitativi di patrimoni immobiliari dismessi e abbandonati sono state, nel quadro dell’emergenza abitativa delle grandi aree metropolitane, una pratica per contrastare le disuguaglianze dal basso, sempre rimanendo, però, in un contesto di precarietà, informalità e illegalità, in opposizione alle politiche di investimento immobiliare cosiddette neoliberiste.

 

A Roma, la crisi nell’immobiliare del 2008 ha prodotto una discontinuità nell’applicazione dei tradizionali processi di valorizzazione urbana. Le politiche immobiliari, pubbliche e private, basate sul mercato dell’offerta, ne sono state temporaneamente indebolite, lasciando disattesi numerosi processi di valorizzazione nelle città.

 

In questa sospensione, le forme di mobilitazione dal basso hanno acquisito una maggiore consapevolezza e negli spazi occupati sono state sperimentate forme di socialità segnate da una maggiore capacità di muoversi in maniera strategica, oltre che tattica.

 

In questi spazi sono state create economie, reti di cooperazione sociale, piccole centralità, nonché comunità che, seppur caratterizzate da dinamiche conflittuali, hanno acquisito una compattezza in grado di esprimere una propria posizione critica attorno alle trasformazioni urbane in atto.

 

Il valore dell’esperienza di Porto Fluviale

 

Nonostante ciò, la recente crisi pandemica ha fatto riemergere con forza la natura precaria e vulnerabile delle occupazioni abitative, che per definizione sono costantemente in bilico. È in questo contesto che si colloca l’occupazione dell’immobile abbandonato in via del Porto Fluviale a Roma. L’edificio, occupato a scopo abitativo nel 2003 dal Movimento per il Diritto all’Abitare, era di proprietà dell’Aeronautica Militare, e per il suo valore storico architettonico è stato vincolato dal Mibact. L’immobile si trova in un fazzoletto di città in cui storicamente hanno trovato spazio molte occupazioni illegali che hanno contributo a connotare l’area rendendola una zona di produzione culturale underground molto attiva, facendola diventare negli anni uno degli hotspot della vita notturna della città.

 

Porto Fluviale è un’occupazione tra le più longeve a Roma ed è composta da una comunità di 56 famiglie di 13 nazionalità differenti. Oltre alle abitazioni, l’immobile ospita un laboratorio di oreficeria, una ciclofficina, una sala da tè e altre attività culturali che intrattengono un’intensa relazione con il quartiere.

 

Oggi, per l’occupazione del Porto Fluviale è in atto un processo di formalizzazione e stabilizzazione della comunità residente. Una novità nel rapporto tra occupazioni e istituzioni che potrebbe rappresentare un banco di prova di un nuovo modello di gestione dell’emergenza abitativa, ma anche di riqualificazione di immobili pubblici dismessi.

 

Il Comune di Roma, con il supporto tecnico scientifico della  Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Architettura, dell’Università di Roma Tre e della Luiss, ha risposto nel 2020 a un bando PINQuA (acronimo di Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare) del ministero delle Infrastrutture e Trasporti sulla rigenerazione urbana e di innovazione sulla qualità dell’abitare. Nel 2021 il Ministero ha finanziato con undici milioni di euro del Pnrr il progetto di “Porto Fluviale RecHouse” recupero partecipato del patrimonio artistico e sociale dell’immobile vincolato e occupato denominato “Ex – Direzione Magazzini del Commissariato” a Roma.

 

Il progetto prevede il passaggio della proprietà al Comune di Roma, il censimento degli attuali occupanti e la verifica dei requisiti di accesso all’Edilizia Residenziale Pubblica, ovvero il passaggio dell’attuale comunità da occupanti ad assegnatari di alloggi pubblici, il restauro dell’immobile attraverso un processo di suddivisioni in fasi del cantiere per permettere la turnazione degli abitanti e non allontanarli dalle loro abitazioni.

I passaggi per formalizzare l’occupazione

 

Gli elementi che hanno permesso di arrivare alla formalizzazione dell’occupazione sono molti e complessi. Quelli sostanziali sono quattro:

 

  • la messa in crisi dei modelli di valorizzazione immobiliare tradizionali basati sull’offerta, la stagnazione degli investimenti e l’esistenza di un capitale spaziale fisso pubblico inutilizzato di difficile ricollocazione sul mercato;

 

  • la capacità di alcune esperienze di occupazione di ribaltare, da un punto di vista del valore, il loro carattere di esternalità negativa e di produrre, nonostante le conflittualità esistenti, valori urbani. L’area in cui si situa il Porto Fluviale è stata interessata da numerose e diversificate forme di occupazione sia a scopo abitativo che a scopo ricreativo, molte delle quali stabili, non temporanee (basti pensare tra le altre al Villaggio Globale e al centro Ararat). Esperienze che hanno contribuito a costruire una forte coesione con l’obiettivo della difesa dei territori e in cui sono state sperimentate e promosse nuove forme di socialità, modalità meticce di vivere insieme, produzione di reddito e sostegno al lavoro, autoformazione, laboratori e piccole industrie culturali, modelli di riuso urbano. Nel solco di queste esperienze, quello che l’occupazione del Porto Fluviale ha prodotto è una sorta di microsocietà che lavora e abita la città in modo diverso da ciò che la circonda, ma allo stesso tempo vi lascia la sua impronta, la connota e la arricchisce di valori simbolici;

 

  • la capacità di aprirsi e collaborare con le istituzioni. In questo ambito, il laboratorio didattico C.I.R.C.O., del Dipartimento di Architettura di Roma Tre, ha permesso nel corso degli anni di sistematizzare le esperienze stratificate all’interno dell’edificio, mappare le attività, promuovere la progettazione partecipata, e di far atterrare l’insieme di queste parti nella definizione di un modello economico-gestionale che permetta la sostenibilità di tutta l’operazione;

 

  • la capacità di attivare e attrarre investimenti di partnership pubblico-privato. La rilevanza del lavoro fatto dal laboratorio C.I.R.C.O. ha ricucito il piano informale con quello formale portando alla collaborazione tra Enti territoriali, Università e occupanti fino ad approdare al Bando PINQuA, ma non solo. Una novità è l’ingresso nel processo di una fondazione privata, la Fondazione Charlemagne, con il programma periferiacapitale, che nel 2022 ha deciso di supportare il processo di riqualificazione finanziandolo in alcuni aspetti non coperti dal bando PINQuA. In particolare, la Fondazione sosterrà l’accompagnamento sociale delle attività commerciali e produttive di Porto Fluviale, sia nella formazione che nell’apertura delle attività e dell’edificio verso il quartiere, un aspetto fondamentale per il rafforzamento della comunità di occupanti sia internamente che nel rapporto con il suo intorno. Un’altra porzione di finanziamento andrà a supportare l’Università nel proseguire le ricerche su Porto Fluviale nell’ottica di promuovere il ruolo delle istituzioni universitarie nelle attività di terza missione sul territorio.

 

Ci piace pensare che Porto Fluviale non sia solo una scommessa, ma un’occasione di indagare e consolidare nuovi modelli di risposta alle diseguaglianze economiche e spaziali, e al contempo un’occasione di sperimentare nuovi modelli di riuso del patrimonio immobiliare pubblico.

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