Università Milano Bicocca

A dieci anni dalla sua introduzione, il congedo di paternità rivela ancora tutti i suoi limiti. Limiti non solo temporali, con dieci giorni appena lasciati ai padri per passare del tempo con i figli dopo la nascita, ma concettuali. Il congedo continua infatti a dimostrare il modello stereotipico di mascolinità e femminilità tradizionali che guida le politiche di welfare della politica italiana.


Dieci giorni è il tempo che un padre può prendersi dal lavoro per la nascita dei figli. 

Dieci anni sono trascorsi dall’istituzione del congedo di paternità obbligatorio, avvenuta con la Legge 92 del 28 giugno 2012.

Inizialmente in via sperimentale, da un giorno più due (se d’accordo con la madre e in sostituzione di questa), i giorni sono passati a cinque, per raddoppiare come previsto dalla legge di bilancio 2021, confermato e stabilizzato dalla legge di bilancio del 2022 (ai sensi dell’art. 1, co. 134, L. 234/2021). Il congedo di paternità è così divenuto un diritto autonomo del padre, indipendentemente dalla posizione lavorativa della madre.

Proprio nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri, nella seduta del 22 giugno, ha approvato gli schemi dei decreti legislativi che danno (ulteriore) attuazione alle Direttive UE: la 1158/2019 sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e la 1152/2019, relativa alle condizioni di lavoro. La normativa prevederà, fra le altre novità, anche incentivi per i datori di lavoro che favoriranno il congedo obbligatorio e sanzioni per chi ne ostacolerà la fruizione. 

La finalità della Direttiva, ricorda con un comunicato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, “sono essenzialmente quelle di promuovere il miglioramento della conciliazione tra i tempi della vita lavorativa e quelli dedicati alla vita familiare per tutti i lavoratori che abbiano compiti di cura in qualità di genitori e/o di prestatori di assistenza, i cosiddetti caregivers, al fine di conseguire una più equa condivisione delle responsabilità tra uomini e donne e di promuovere un’effettiva parità di genere sia in ambito lavorativo, sia familiare”.

Ci chiediamo se sia possibile oggi, anche alla luce della sperimentazione avvenuta in questi dieci anni, e dalla scarsa fruizione del congedo, ritenere sufficiente un numero così ridotto di giorni di astensione. Inoltre, è lecito domandarsi se tale obbligo ha la forza di incidere sulla ridefinizione dei ruoli genitoriali per una più equa distribuzione delle responsabilità di cura. 

Ci si chiede inoltre se, nel 2022, nel pieno delle rivendicazioni del Pride che chiedono a gran voce (tra le tante istanze) un maggiore riconoscimento dei legami genitoriali e familiari, a prescindere dall’orientamento sessuale e di genere, sia possibile attuare una più ampia ridefinizione generale dei rapporti di genere, dell’affettività, dei compiti di cura, del modo di fare e rifare famiglia. 

La prima considerazione riguarda ciò che si intende per famiglia: parlare di famiglia significa, oggi, dare per scontato che ogni unione affettiva è famiglia, indipendentemente dalle persone che formano questa unione.

La seconda considerazione, collegata direttamente alla precedente, è che l’ordinamento giuridico non può e non deve porre limiti all’affettività e all’amore delle persone, se non per evitare fenomeni di discriminazione, di violenza (sia fisica sia psicologica) e di sfruttamento e se non per tutelare quel principio cardine del nostro ordinamento, nazionale e sovrannazionale, che è l’interesse prevalente della persona di minore età.

In questi anni, la domanda di riconoscimento giuridico delle famiglie same-sex e la domanda di tutela dei diritti dell’omogenitorialità sono pretese a gran voce sia nelle piazze che nelle aule giudiziarie. La domanda di riconoscimento dell’omogenitorialità non si coniuga solamente nella pretesa di essere riconosciuti genitori indipendentemente dal tipo di famiglia in cui si vive, ma soprattutto nella pretesa che i figli (soprattutto minori) siano riconosciuti come figli indipendentemente dal tipo di famiglia in cui vivono.

Non solo si chiede che il genitore cosiddetto d’intenzione (si pensi alla madre che non ha partorito o al padre che nella coppia non ha legame genetico con il figlio) sia riconosciuto genitore e possa, anzi debba, esercitare il proprio dovere nei confronti dei/delle figli/e, ma si chiede anche che i figli abbiano dei genitori che, come tali, siano riconosciuti dall’ordinamento in modo che possa essere tutelato il diritto dei primi a essere cresciuti, educati e mantenuti, protetti i loro legami genitoriali e parentali, i loro affetti

Ma quali sono gli interventi normativi che possono tutelare in misura maggiore l’interesse dei figli e delle figlie?

Sicuramente possono rientrare in questo elenco le norme che, in maniera tempestiva ed efficace, possano dare riconoscimento al legame tra i figli e i loro genitori che, a giudizio di chi scrive, devono consentire la possibilità rivolta alle persone, indipendentemente se in coppia o meno, da loro genere o orientamento sessuale, e dal tipo di famiglia di cui fa parte, di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e all’istituto dell’adozione.

Non meno importanti sono le norme che supportano la maternità e la paternità, come quella sul congedo di paternità. Il congedo di paternità, infatti, consente alla persona di minore età di poter avere delle relazioni nel primo periodo della sua vita non solo con la madre, ma anche con il padre.

Come si diceva all’inizio, è però necessario porre alcuni interrogativi.

Il primo riguarda il fatto che il periodo previsto dalla normativa appare molto limitato. Quale relazione stabile e matura può instaurarsi in dieci giorni? In qualche misura, il fatto di aver definito un tempo così breve non fa che ribadire il concetto che la madre sia la principale titolare dei compiti di cura e dei doveri riguardanti la prole. 

Il secondo interrogativo riguarda la reale effettività dell’opportunità offerta. Quanti sono i padri che ricorrono a questo diritto? E quanti sono i padri disposti a lottare per aumentare il periodo di congedo? 

Il terzo interrogativo, ma sicuramente non ultimo per importanza, riguarda il motivo per cui ancora oggi tale strumento è chiamato congedo di paternità e resta fino a ora rivolto esclusivamente ai padri. Come a dire che il congedo di paternità sia sussidiario rispetto a quello di maternità e soprattutto spetti solo all’interno delle relazioni tra due persone di sesso diverso.

A ben vedere, mentre la Direttiva 1158/2019, a cui la normativa lavoristica nazionale da attuazione, intende per “congedo di paternità: un congedo dal lavoro per il padre o, laddove e nella misura in cui riconosciuto dal diritto nazionale, per un secondo genitore equivalente, da fruirsi in occasione della nascita di un figlio allo scopo di fornire assistenza”, la normativa italiana ha rivolto l’attenzione unicamente al padre lavoratore dipendente

Quindi, mentre la norma europea si rivolge più in generale al genitore riconosciuto (secondo la normativa nazionale) e non esclusivamente al padre, quella italiana non recepisce la parte relativa al secondo genitore equivalente e restringe il campo d’azione. 

Di fatto, le ultime recenti conquiste delle madri lavoratrici all’interno di una coppia same – sex e del padre lavoratore, unico titolare della responsabilità genitoriale, sono avvenute tramite ricorso ai tribunali, i quali hanno saputo punire il comportamento discriminatorio del datore di lavoro e interpretare le normative nazionali ed europee per estendere i diritti al genitore riconosciuto, a prescindere dalla formazione della famiglia, con la finalità principale di garantire ai figli assistenza e cura.

Indicativi in questo senso sono i casi dei riposi giornalieri, del congedo parentale e di malattia negati – Tribunale Ordinario di Milano, ordinanza del 12.11.2020, all’indennità di maternità rifiutata al padre unico genitore – Tribunale Ordinario di Milano, Sez. Lavoro G. Dott. Lombardi n. 2890 del 7.1.2017). 

Non ci resta che augurarci, quindi, che le norme giuridiche vengano modificate svelando i codici eteronormativi che informano la nostra coscienza sociale e giuridica, e ripensate in modo più aderente a tutte le realtà sociali in cui viviamo (si vedranno i futuri interventi governativi richiesti dalla Legge delega n. 32 /2022 per il sostegno e la valorizzazione della famiglia – cosiddetto Family Act). 

Riteniamo che degli interventi normativi e delle politiche di welfare improntate a una costruzione più simmetrica e paritaria del ménage familiare possa favorire una ridefinizione generale dei compiti di cura, degli stili relazionali e di affettività, e quindi dei ruoli di genere e genitoriali ancora pressoché improntati su un modello stereotipico di mascolinità e femminilità tradizionali.

In particolar modo dobbiamo ripensare ai congedi di paternità, come a dei congedi parentali (o familiari) che possano essere goduti all’interno di ogni relazione indipendentemente dal fatto che sia composta da una donna e un uomo, da due donne, da due uomini: l’ordinamento giuridico ha il compito di valorizzare la creatività e i modi in cui le persone decidono di volersi bene, di amarsi e di creare una famiglia.

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