L’idea di un Europa distante – temporalmente e geograficamente – dalla violenza, continente che si credeva ormai parte di una storia pacifica, viene infranta dalla forza storica di eventi che credevamo facessero parte del passato: la guerra illegittima di occupazione russa in Ucraina.
Ci eravamo illusi in un futuro irenico e ignoravamo un presente violento.
Siamo rimasti disorientati dalla riscoperta della violenza e del conflitto dopo che per anni nel discorso pubblico in Italia ed Europa avevamo utilizzato parole e neologismi che evitassero di menzionare la guerra e l’uso della forza, sebbene fossimo diretti attori – anche di violenza – in contesti di guerra. La cumulata assenza di una cultura e conoscenza del conflitto in politica – e la relativa debolezza degli strumenti per capire e ragionare della gestione dei conflitti – ci ha portato ad una analisi scomposta. Scompostezza analitica che ha declinato il dibattito con analogie storiche fallaci, un’ubriacatura collettiva per la geopolitica deterministica, e un atteggiamento militaristico – “con l’elmetto in testa” – per la difesa dei valori di un ordine globale democratico liberale. Valori come la difesa del diritto internazionale, la centralità dei consessi multilaterali, il rispetto dei diritti umani e della sacralità della vita dei civili. Valori che nell’ ultimo ventennio – che può essere definito storicamente dalla occupazione dell’Afghanistan (2001-2021) – sono stati violentati dagli stessi propugnatori di quell’ordine globale, che ordine non era. Si noti che la risoluzione in sede dell’assemblea generale Onu contro l’invasione Russa (24 marzo 2022) ha definito non solo due blocchi, coloro che hanno votato a favore (140 paesi) e coloro che hanno votato contro (5 paesi), ma anche un terzo blocco: gli astenuti. Infatti, 38 paesi si sono astenuti. Questo blocco di astenuti, usando diversi dati e definizioni di democrazia, appare tendenzialmente meno democratico. Tuttavia, questo blocco di astenuti – sempre guardando i dati – rappresenta i paesi che mediamente offrono più “caschi blu” nelle operazioni di pace dell’Onu e ospitano anche mediamente un maggior numero di rifugiati fuggiti dai conflitti.
Conflitti che oggi hanno portato 1 cittadino su 100 nel mondo a diventare un rifugiato. Ecco quella che potrebbe sembra una divisone valoriale deve essere compresa anche come una divisone del lavoro e dei costi globali, dove il benestante nord globale ha delegato per anni gravi impegni al sud globale.
Credevamo che le guerre fossero non solo distanti geograficamente ma anche temporalmente, ricordi del passato. Ma gli ultimi vent’anni hanno visto un aumento dei conflitti armati. Oggi abbiamo il numero dei conflitti armati più alto dal 1946 – più di 55 – e la maggior parte di questi conflitti sono guerre civili internazionalizzate. Guerre tra attori domestici che sono supportati da paesi terzi. Negli ultimi quaranta anni tra i 187 conflitti domestici che si sono registrati, 8 guerre civili su 10 hanno avuto intromissioni esterne in termini di supporto militare, aiuti finanziari o di diretto supporto nel combattimento. I cinque paesi che sono intervenuti di più nell’ultimo decennio sono USA, Russia, Francia, Regno Unito e Cina. Paesi che, come membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu, dovrebbero garantire la pace e la sicurezza internazionale attraverso le procedure del diritto internazionale e la carta dell’Onu.
I discorsi geopolitici che hanno occupato carta stampata e ore di video in Italia sono pericolosi perché si astraggono dal contesto storico, implicano un determinismo apolitico dove l’agenzia politica degli individui è assente e sostengono una logica della potenza e dell’occupazione di spazi vitali fra le nazioni. Disorientamento e scompostezza hanno confuso mediazione per debolezza e ci hanno fatto dimenticare che la maggior parte della storia più recente è definita dalla diplomazia anziché dalle vittorie – o dai fallimenti – militari. Questa postura militare e militarista non sorge nei mesi passati. La spesa militare globale è aumentata costantemente negli ultimi sei anni. I sei paesi che spendono di più in armamenti – Stati Uniti, Cina, India, Regno Unito e Russia – assieme compongono il 62% della spesa globale. Gli Stati Uniti spendono 800 miliardi di dollari, la Russia 67 miliardi. Il bilancio delle 12 operazioni di pace dell’ONU è in totale (solo) 6.3 miliardi dollari. È vero che la guerra fa gli stati e gli stati fanno la guerra – come disse Charles Tilly – ma è lampante che il non parlare di guerra, anziché portarci verso una storia irenica, crea tutti i presupposti per una storia della violenza e della sopraffazione. Non pensare e ragionare sui conflitti – come prevenirli, come gestirli e come risolverli – rimanendo prede del disorientamento e della scompostezza può condurre a politiche rischiose e ad una storia sempre più violenta.