Lo scenario francese dopo la rielezione del presidente Macron si presenta complicato fra timori, speranze, colpi di scena, sia per il neoeletto sia per i suoi oppositori.
Fino alla vigilia del secondo turno delle presidenziali, Marine Le Pen è stata l’avversaria più temibile per il candidato Macron, arrivata al ballottaggio con un ricco bacino di voti, con un ampio consenso nell’opinione pubblica al suo partito (RN) che, ripulito dei tratti troppo estremisti, con un’operazione di normalizzazione si è imposto nel dibattito politico rendendo manifesto un forte clivage nella società francese.
Macron quindi ha puntato molto, nell’ultima parte della sua campagna, sulla denuncia del pericolo populista e sovranista, concentrandola nell’antinomia progresso e democrazia / populismo e ha definito il secondo turno “un référendum pour ou contre l’Europe, pour ou contre l’écologie” con chiaro riferimento all’estrema destra antieuropea, ponendo come condicio sine qua non il rafforzamento dell’Europa per garantire le nostre democrazie. Ora però si trova a dover fronteggiare un altro avversario, Jean Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale, che ha mancato per un pelo e il ballottaggio divenendo arbitro in certo modo nella partita presidenziale poiché una parte dei suoi voti, soprattutto quelli dei quartieri popolari, come Seine-Saint Denis a Parigi, e altri, si è riversata su Macron e non piccola parte su Le Pen. Il neoeletto presidente sembra quindi destinato ad affrontare sempre nuovi ostacoli e sfide come il Giasone del mito con i suoi Argonauti, partito alla conquista del vello d’oro per potere riavere il trono usurpatogli e fino all’ultimo obbligato a prove e avventure incredibili; o come Teseo, che deve sconfiggere il Minotauro per uscire dalle insidie del labirinto.
Infatti alla fine del suo primo mandato – non certo facile e costellato da proteste diffuse in tutta la Francia –, la recente campagna elettorale di Macron, conclusasi con la sua vittoria, non è stata certo da meno quanto a difficoltà. Egli ha dovuto costruire un’immagine di sé credibile, usurata com’era dai suoi cinque anni di presidenza; spazzare via la verticalizzazione della politica che l’aveva caratterizzata, segnare una discontinuità, ritessere una tela che gli attirasse i consensi degli elettori delusi, degli eletti locali, della Francia rurale e suburbana; e soprattutto ha dovuto parare i colpi dei suoi avversari politici come lui candidati all’elezione presidenziale: prima la candidata Valerie Precresse dei Républicains, destra tradizionale che sembrava, all’inizio, potesse attirare l’attenzione di una parte dell’elettorato macroniano; poi la sfida combattiva easpra di Marine Le Pen, leader dell’estrema destra populista che, con un partito”normalizzato” e addolcito almeno all’apparenza, si è presentata ai francesi come la paladina dei più svantaggiati, delle fasce sociali dimenticate, di una Francia purificata e delle sue tradizioni, catturando un disagio sociale diffuso in molte fasce sociali, quelle popolari prima “classe gardée” della sinistra.
Adesso, dopo la vittoria, Macron si trova di fronte a un nuovo ostacolo. Melenchon, leader della France Insumise, e terzo classificato al primo turno delle presidenziali, ha veramente occupato il centro della scena e ha da poco realizzato, a dispetto dello scetticismo di molti, l’unione delle gauches in vista delle imminenti legislative. Una cosa inattesa, dopo anni di divisioni e polemiche nel campo travagliato della sinistra, che ha messo insieme il PS, la France Insoumise, gli ecologisti e il PCF. I socialisti hanno aderito con larga maggioranza di voti nel Consiglio nazionale del partito: 167 voti a favore, 101 contro, 24 astenuti. Ma questo ha rivelato un partito, già fragile, ora diviso a metà e molti dei quadri più in vista lo hanno abbandonato ritenendo che questo calpesti la tradizione socialista, cedendo al radicalismo velleitario di Melenchon. Fra questi, Bernard Cazeneuve e Jean-Marc Ayrault, ex ministri del governo Hollande che si dicono «profondément déçus par le texte qui vient d’être rendu public». È inevitabile che il pensiero vada alla union delle gauches che si realizzò nel lontano 1981 a sostegno della candidatura di Mitterrand, incoronandolo presidente dei francesi. Allora però quell’accordo sanciva il primato del PS in fase di espansione e con un progetto attorno a una personalità come quella di Mitterrand; oggi, al contrario, i socialisti sembrano affetti da paralisi e afasia politica, come è avvenuto nelle recenti elezioni presidenziali e rischiano di essere fagocitati in questa alleanza, una corda di salvataggio sull’orlo di un burrone, ma che certamente riserva molte incognite e sancisce la posizione egemonica di Melenchon.
C’è molto fermento quindi nel mondo della sinistra e così pure molti sono i timori di Macron e della sua maggioranza di fronte a un cartello che dà già battaglia sui temi più sentiti nel dibattito pubblico (politiche economiche, lavoro, riforma delle pensioni, richieste di partecipazione).
Melanchon cattura il malcontento di molti, si pone fuori dalla logica neoliberale, come egli sottolinea, che ispira la presidenza Macron e dichiara di volere mettere in atto la “désobéissance” all’Europa: “si les règles européennes entrent en contradiction avec notre programme, nous désobéirons aux règles européennes.” Dichiarazione forte, che marca un’identità combattiva, ma che allo stesso tempo è vaga, assolvendo solo alla funzione mobilitante che Melenchon ora si prefigge.
Cosa vuol dire questo? Che questa alleanza delle sinistre non esce dall’Europa, ma si riserva il diritto alla disobbedienza? Non c’è dubbio che questo provocherebbe non poche tensioni con i dirigenti di Bruxelles e creerebbe un precedente che potrebbe essere seguito da altri paesi. Non a caso Emmanuel Macron, intervenendo a Strasburgo, ha incitato il parlamento a promuovere presto la revisione dei trattati europei su alcuni temi cruciali e proposte precise, una delle quali è che le decisioni vengano prese a maggioranza qualificata e non assoluta, cosa che eviterebbe il veto di alcuni paesi rendendo più efficace la funzione della UE per il comune interesse della Francia e degli altri paesi membri. Posizione questa non nuova nella visione del presidente francese che ha fatto di questo uno dei punti cardini del suo impegno sul piano europeo e della costruzione della sua leadership.
La disobbedienza di cui Melenchon è portabandiera rischia di isolare la Francia e di dissipare gli sforzi convergenti, da Sarkozy in poi, per riportare il paese nei binari di una presenza significativa in Europa. Questo è un punto di debolezza e di contraddizione dell’unione delle sinistre soprattutto perché il PS e i Verdi sono stati in passato fra i più attenti sostenitori, sia pure con qualche defezione, della costruzione europea. Inoltre, non va dimenticato che proprio sul tema dell’antieuropeismo e dell’antimondializzazione vi è una convergenza rischiosa fra Melenchon e l’estrema destra di Marine Le Pen, fondata sul riflesso antielitario che caratterizza le due formazioni politiche. Melenchon ha promesso e minacciato “un troisième tour” delle presidenziali la sera stessa della vittoria di Macron, immaginandosi già primo ministro e quindi ipotizzando una “cohabitation” con il presidente Macron. La battuta è tagliente, ma la realtà è più complicata e la prevedibilità ha un raggio limitato; si può dire però che, secondo regola, la vittoria del presidente faccia volare i consensi a lui nelle legislative vicine, come spesso è accaduto negli ultimi anni. Vi è battaglia in campo aperto e il partito del presidente, LREM, butta larghe le reti, facendo appello a sinistra come a destra, ai delusi del PS e ai Républicains perché raggiugano la maggioranza presidenziale: “et droite et gauche”, lo slogan del 2017 ha ancora qualche carta da spendere. La sinistra dal canto suo, io credo, dovrà percorrere un sentiero più lungo e ragionato, che non l’urgenza di un cartello elettorale; dovrà dibattere, ridisegnare strumenti e obiettivi, tornare fra la gente, comprenderne le istanze e i desideri, farsi partito-progetto che ha voce sui temi più importanti. Solo così potrà ridiventare un soggetto di peso nel sistema politico francese e un riferimento forte nella società in mutamento. Questo oggi vale anche per la sinistra nella realtà italiana cui molte cose possono suggerire le vicende dei cugini d’oltralpe.