di Vincent Bresson
Giornalista

Al ballottaggio gli sfidanti erano gli stessi del 2017, ma le elezioni del 2022 in Francia saranno ricordate per un altro candidato: Éric Zemmour. Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, due candidati di estrema destra si sono sfidati per un posto al ballottaggio. In occasione del ciclo di incontri Di-segno Nero, indagine originale sulle destre radicali in Europa, pubblichiamo un’inchiesta inedita di Vincent Bresson, adattata in italiano da Lorenzo Bagnoli e Paolo Riva, in collaborazione con IrpiMedia.


«Figlio di puttana», «feccia», «banda di bastardi». Nella Salle Debeyre, un complesso sportivo nella città operaia di Hénin-Beaumont, nel nord della Francia, volano gli insulti. Sono le 20.00, due donne sono molto arrabbiate: hanno appena saputo che Marine Le Pen, la loro candidata, per l’ennesima volta non è arrivata al potere. La più anziana, con i capelli tinti di biondo e il viso rosso di rabbia, grida con rabbia: «È truccato, mi fa schifo». La più giovane, anche lei bionda, fa il dito medio allo schermo che trasmette la notte elettorale, gridando che Emmanuel Macron è il «presidente dei ricchi».

Il video, condiviso da un giornalista locale francese, è diventato virale su Twitter. È stato persino acquistato e mandato in onda dal programma Quotidien, una trasmissione televisiva di infotainment che la rivista di estrema destra Valeurs Actuelles accusa regolarmente di imporre una «tirannia dei benpensanti». La delusione di queste due donne è stata ampiamente derisa. Ma, al di là dello scherno, la scena illustra il fervore che Marine Le Pen può suscitare in un elettorato popolare disorientato, un elettorato su cui la leader del Rassemblement National ha sempre puntato. Non è un caso, infatti, che questa scena sia stata girata a HéninBeaumont, una città che solo un decennio fa per i francesi era poco conosciuta. Marine Le Pen ne ha fatto la sua roccaforte e il simbolo di una Francia periferica che a volte si sente disprezzata da Emmanuel Macron. Il Presidente della Repubblica è già stato protagonista di polemiche per alcune frasi sprezzanti nei confronti dei ceti più popolari.

«Una stazione ferroviaria è un luogo dove si incontrano persone che hanno successo e persone che non sono niente», ha detto nel giugno 2017 quando ha inaugurato il più grande campus per start-up d’Europa, costruito in un ex deposito ferroviario. La frase, molto commentata dai analisti politici di destra e di sinistra, ha alimentato la reputazione di Macron presidente “delle élite” e massima espressione dell’establishment.

Se il padre Jean-Marie Le Pen – presidente del Front National dal 1972 al 2011 – puntava a una Francia più benestante, Marine Le Pen, fin dal suo ingresso sulla scena politica nazionale francese, si è rivolta alle classi lavoratrici. «L’elettorato di Le Pen negli anni ’80 era una Francia cattolica e borghese e parte della sua base militante era composta da studenti delle écoles de commerce, scuole di specializzazione in economia», spiega Benjamin Tainturier, dottorando a Sciences Po, l’Istituto di studi politici di Parigi. Questo spostamento verso la classe popolare sembra essere stato un successo: al primo turno, il 35% dei lavoratori avrebbe votato per Marine Le Pen, riporta un sondaggio dell’Institut français d’opinion publique (Ifop), il principale istituto di sondaggi francesi.

Tainturier, specialista dell’estrema destra e della guerra di propaganda, ritiene che l’elettorato medio-borghese non sia tuttavia rimasto orfano alle presidenziali francesi 2022. È stato infatti il bersaglio principale del nuovo candidato dell’estrema destra, l’ex giornalista Éric Zemmour.

L’ultimo arrivato in questa singolare campagna presidenziale, non ha mai smesso di ricordare agli elettori che crede nel superamento della lotta di classe. Il suo messaggio ha avuto consenso tra gli imprenditori: l’11% ha votato per il suo partito Reconquête (secondo nelle preferenze dopo En Marche di Emmanuel Macron, per cui hanno votato il 52% degli uomini d’affari). La sera della sconfitta di Marine Le Pen al secondo turno, Zemmour si è affrettato a dichiarare: «Non ci può essere vittoria elettorale senza un’alleanza tra tutte le destre, tra le classi lavoratrici e la borghesia patriottica». Resta il fatto che Marine Le Pen, con un discorso più sociale, ha ottenuto più consenso al primo turno.

Fonte: https://www.flickr.com/photos/125816678@N05/34519512695

Radicalità contro forza tranquilla

Nonostante il déjà vu del ballottaggio, con il tanto atteso rinnovo del duello tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, ci sono state diverse sorprese alle elezioni presidenziali francesi del 2022. La sinistra radicale ha sfiorato la finale contro Emmanuel Macron e i due storici partiti di governo della Quinta Repubblica, il Partito Socialista e Les Républicains, sono affondati. Ma c’è stato soprattutto un candidato che si è conquistato le luci della ribalta per gran parte della campagna elettorale. E questo candidato si chiama Éric Zemmour. «Rappresenta un enorme fenomeno mediatico» si stupisce ancora Benjamin Tainturier.

«In proporzione, ha avuto un’esposizione sui mezzi di comunicazione maggiore rispetto al suo punteggio elettorale. Essendo un ex giornalista, ha un enorme seguito sui media. Ma è la conversione di questo capitale mediatico in capitale politico che ha causato diversi problemi».

La pesante sconfitta elettorale di Zemmour, che al primo turno si è fermato al 7%, dovrebbe far dimenticare la dinamica generata da questo nuovo candidato all’interno del contesto politico francese. Ma a fine febbraio l’istituto di sondaggi Ifop accreditava Éric Zemmour al 16% delle intenzioni di voto, alla pari con una certa Marine Le Pen. Il resto è storia: con la guerra in Ucraina, è emersa chiaramente la vicinanza di Zemmour alla Russia e al secondo turno, con l’inflazione, il potere d’acquisto è diventato il principale argomento di un’elezione presidenziale che in precedenza era stata molto incentrata sulle questioni di punta dell’estrema destra. Questo cambio di tematiche è stato fatale per Zemmour: «Il tema principale di queste elezioni non è stato la sicurezza o l’immigrazione, ma il potere d’acquisto», analizza Benjamin Tainturier. Il radicalismo di Éric Zemmour, il suo programma liberale e la sua ossessione per le questioni legate all’immigrazione e alla sicurezza non potevano vincere contro Marine Le Pen, che da anni costruisce l’immagine di una candidata popolare e sensibile ai problemi economici dei francesi.

Per occupare spazio, Éric Zemmour ha scelto di far parlare di sé in tutti i modi: chiedendo a una donna di togliersi il velo davanti alle telecamere del canale CNews (canale televisivo descritto come la Fox Newsfrancese), proponendo di abolire la patente a punti, inserendo nella legge l’obbligo di dare al proprio figlio un nome del calendario francese.

«Éric Zemmour è un grande fenomeno mediatico» afferma Benjamin Tainturier. «Per trasformarsi in un personaggio politico, ha mantenuto la sua risorsa principale: il radicalismo politico».

Di fronte agli sfoghi mediatici di Éric Zemmour, Marine Le Pen ha scelto di apparire più calma. Senza volerlo, l’ex giornalista è persino diventato, suo malgrado, uno scudo protettivo per la candidata del Rassemblement National: «Lo ha lasciato in prima linea a prendersi le botte», ha analizzato Raphaël Llorca, esperto associato alla Fondation Jean-Jaurès e autore del libro Les nouveaux masques de l’extrême droite (Le nuove maschere dell’estrema destre). «Ha agito come un parafulmine. Tutti si sono concentrati su di lui ma non ci sono libri su Le Pen, né biografie, né inchieste sui suoi parenti». Non contento di non essere riuscito a soppiantarla nei consensi, Éric Zemmour ha persino contribuito, inconsapevolmente, a convalidare la strategia della leader del Rassemblement National: arrivare al secondo turno in un faccia a faccia con Emmanuel Macron in cui sarebbe apparsa, contrariamente alla sua battuta d’arresto del 2017, come meno estrema, più rigorosa e più pacata.

Fonte: https://www.flickr.com/photos/european_parliament/24163060574

Éric Zemmour, campione degli identitari

L’estrema destra ha cominciato a mostrare i suoi dubbi su Marine Le Pen dopo il fallimento dell’allora Front National alle elezioni presidenziali del 2017. Mercoledì 3 maggio di quell’anno, il giorno prima dello scorso ballottaggio, Emmanuel Macron e Marine Le Pen si sono affrontati in un dibattito televisivo seguito da oltre 16 milioni di francesi. Tutta la stampa concordò sul fatto che il primo avesse vinto a mani basse. Marine Le Pen sembrava sicura dei suoi consensi: «Guardate, sono qui, sono nelle campagne, nelle città, sui social network!», aveva dichiarato all’improvviso con voce un po’ tremante,  muovendo le braccia davanti a sé, da destra a sinistra. Pochi giorni dopo, però, solo un terzo degli elettori ha votato per la candidata dell’allora Front Nazional (diventato nel 2018 Rassemblement National). La sequenza è diventata un bad buzz: un fenomeno virale, ma in senso negativo. Riprendersi dopo quella sconfitta non era un’impresa semplice.

La frangia più estrema della destra identitaria, da anni afflitta da alcuni dubbi, già prima del 2017 perdeva fiducia in Marine Le Pen, percepita da alcuni addirittura come «di sinistra». La maggior parte dei movimenti radicali rifiuta infatti la strategia di Marine Le Pen della cosiddetta de-demonizzazione, cioè il tentativo – che dura da anni – di epurare le frange più estremiste dal suo partito allo scopo di apparire più moderata e affidabile. Per questo molte voci importanti nell’universo dell’estrema destra francese si sono rivolte al candidato di Reconquête: «A partire dall’agosto 2021, l’influencer di estrema destra Thaïs d’Escufon ha iniziato a parlare di Éric Zemmour», analizza Marion Jacquet-Vaillant, dottoressa in scienze politiche. Il consenso per Zemmour della frangia identitaria, l’estrema destra che si riconosce soprattutto nell’anti-immigrazione e nel rifiuto del meticciato culturale, è cresciuto a poco a poco. Zemmour permette loro la mediatizzazione dei temi preferiti: la teoria della «grande sostituzione» (grand remplacement in francese) e della ri-emigrazione.

Con l’emergere della candidatura di Zemmour, il termine «grande sostituzione» – una teoria complottista che ha fatto molto successo tra le destre identitarie europee secondo la quale la popolazione francese ed europea sarebbe stata sostituita, con l’avallo delle élite, da una popolazione africana – occupa addirittura un posto centrale nella prima parte della campagna presidenziale. Durante le primarie del partito Les Républicains, che una volta fu di Nicolas Sarkozy, i giornalisti hanno chiesto ai candidati la loro posizione su questo tema e Valérie Pécresse, la candidata designata da quelle primarie, ha persino utilizzato questo termine in uno dei suoi comizi.

La sera della sconfitta di Éric Zemmour, Papacito e Baptiste Marchais, due attivisti identitari molto influenti sui social network, hanno postato dei video in cui condividevano la loro delusione, annunciando addirittura che avrebbero lasciato la Francia. Passata la delusione, però, gran parte di questa frangia radicalizzata ha infine sostenuto Marine Le Pen al secondo turno:

«Finché hanno potuto scegliere tra i due candidati, hanno avuto il lusso di scegliere quello più vicino alle loro convinzioni» afferma Marion Jacquet-Vaillant. «Al secondo turno hanno perso l’alternativa, quindi sono tornati alle origini».

Fonte: https://www.flickr.com/photos/number7cloud/33716732423

Una sconfitta, davvero?

Per un po’ di tempo, Zemmour è stato testa a testa nei sondaggi con Valérie Pécresse, Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen per un posto al secondo turno contro Emmanuel Macron. Alla fine è crollato al 7%, il punteggio che ha raggiunto al primo turno. Lo schiaffo elettorale è stato violento e, per alcuni osservatori, ha segnato una totale sconfitta del polemista.

«È comunque una vittoria ideologica» afferma Raphaël Llorca. «Ha banalizzato alcuni elementi del suo discorso e le differenze tra i due sono servite a Marine Le Pen. Quando per esempio non ha distinto tra Islam e islamismo o ha chiesto di vietare il velo. Per contrasto, Le Pen è sembrata più ragionevole».

Oltre a riuscire a portare le sue idee nello spazio mediatico, Éric Zemmour ha imposto la semantica dell’estrema destra, investendo massicciamente nei social network. E, anche se il risultato è stato lontano dalle aspettative Benjamin Tainturier ci ricorda che non è poi così male: «Jean-Marie Le Pen ha impiegato quattro anni per accumulare del capitale politico non appena è apparso sulla scena politica negli anni Ottanta. Invece Éric Zemmour in pochi mesi ha raggiunto il 7%».

Nella battaglia per l’egemonia culturale, Éric Zemmour ha segnato alcuni punti a suo favore. Il suo radicalismo ha ampliato la finestra di Overton, concetto che prende il nome dal suo inventore, il sociologo americano Joseph Overton, secondo il quale la finestra di opportunità per un discorso pubblicamente accettabile è in costante mutamento. L’ex giornalista l’ha spostata così tanto verso l’estrema destra che i commenti di Marine Le Pen sono apparsi molto meno radicali. «Ha introdotto cose che non esistevano nel dibattito pubblico», dice Raphaël Llorca. Oltre ad ampliare lo spettro dell’“accettabilità”, Éric Zemmour ha allargato l’elettorato dell’estrema destra. Lungi dall’indebolire questo campo, questa seconda candidatura lo ha rafforzato, riunendo un elettorato con un profilo diverso, più cattolico e più conservatore. Di conseguenza, al secondo turno, il campo di Le Pen ha ottenuto il miglior punteggio della sua storia, padre e figlia insieme. «Uno dei modi migliori per leggere questo duello interno all’estrema destra è vedere Éric Zemmour come un nudge, cioè un meccanismo per incoraggiare le persone attraverso un suggerimento indiretto», dice Benjamin Tainturier. «Durante l’intera campagna elettorale, Zemmour ha fatto apparire Marine Le Pen come una soluzione più morbida… e lei ha ottenuto il 41% dei voti al secondo turno. È una pazzia!».


Foto di copertina di Lorie Shaull su Flickr.
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