Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

La guerra in corso in Ucraina ha scatenato, a livello emotivo prima ancora che politico, una grande solidarietà. Forse hanno ragione coloro che sostengono che ci sentiamo sempre più europei e che per questo l’Europa uscirà più forte da questa crisi. Forse.

Perché se il tunnel della guerra nel quale ci troviamo sembra sfociare solo sul baratro di un conflitto armato sempre più lungo, cruento, esteso e pericolosamente percepito come “inevitabile”, lo scenario non è certo rassicurante e i segnali, già sotto i nostri occhi, sono quelli di una lunga crisi sociale ed economica.


Continuano le manifestazioni in tutta Europa per la pace in Ucraina. Grazie ai corridoi umanitari, 5,3 milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina per rifugiarsi nei Paesi dell’Unione Europea


Allora non basta accontentarsi di un sentimento che anzitutto è di umana solidarietà, e anche di sgomento, per l’infuriare di venti di guerra alle porte di case. Dobbiamo anche chiederci quale Europa vogliamo, in quale società vogliamo vivere. Nella disgregazione dei legami sociali che stiamo sperimentando si fanno strada nel nostro continente proposte che cercano di far avanzare modelli illiberali, autoritari, basati sull’idea di comunità chiuse che strizzano però l’occhio a pulsioni contraddittorie (dall’appello ai valori tradizionali fino all’accettazione di un marcato individualismo).

Sarebbe fin troppo comodo vedere in questi fenomeni merci di importazione da paesi considerati “nemici”.
Perché l’Europa non è solo quella della dichiarazione dei diritti dell’uomo e dell’Illuminismo. Non è solo la sorgente di valori e modelli che trent’anni fa sembravano aver convinto tutti o quasi (prima che l’Occidente dimostrasse di poterli usare o ignorare a suo capriccio, o più prosaicamente per interesse: dall’Africa al Medio Oriente, dalla Jugoslavia all’Afghanistan).

L’Europa è stata anche quella piccola penisola che ha dato l’assalto al potere mondiale grazie al traffico degli schiavi e alla superiorità dei suoi cannoni e delle sue vele. E’ stata la sede di imperi coloniali ferocissimi e l’accademia di studi raffinati su come discriminare il genere umano sulla base di origine sociale, razziale, di genere. E’ stata la culla del fascismo, di cui proprio quest’anno – con il centenario della marcia su Roma – ricorre un anniversario tondo.

Potremmo lavarci la coscienza, raccontandoci che si tratta di capitoli chiusi. Ma nelle condizioni in cui ci troviamo, è fin troppo facile che gli aspetti più luminosi della storia europea finiscano per essere la foglia di fico di rigurgiti nazionalisti, suprematisti e degli interessi di bottega di pochi.

Alle ultime elezioni presidenziali francesi l’ipotesi di una vittoria di Marine Le Pen è stata scongiurata ancora una volta. Ma, come ha notato Oliver Roy, Emmanuel Macron è stato rieletto con due milioni di voti in meno rispetto a cinque anni fa, mentre la candidata della destra radicale ne ha guadagnati quasi tre. Se l’opzione di un voto alla destra radicale resta ancora indigeribile per gran parte della società francese, è anche vero che continua a erodere spazio di fronte ai candidati di un establishment mainstream che appaiono sempre più lontani dai bisogni delle classi popolari.

In Francia, tra la destra radicale e il centrismo delle élites, è sorta una candidatura di sinistra capace di intercettare il consenso di giovani e periferie. Nel resto dei paesi europei, specie in Italia, è lecito interrogarsi sulla capacità del campo progressista di rappresentare un’alternativa e contendere il terreno.

Nella sua corsa all’Eliseo, pre-ballottaggio, Marine Le Pen ha raccolto il 23% dei consensi


La partita è dunque aperta. L’offerta della destra non può essere derubricata o ignorata. Va conosciuta, analizzata, capita. Specialmente alla luce dell’inasprirsi della crisi economica e sociale, dell’impatto che avranno inflazione e rincaro dei generi di prima necessità per le classi sociali medie e basse. Un contesto, derivato e amplificato dalla guerra alle porte, che rappresenta l’humus ideale (tra paure, rancori, nazionalismi, aggressività e irreggimentazione) per risvegliare l’anima nera dell’Europa.

Con il ciclo di incontri Di-segno nero proporremo un viaggio in quella galassia politica, che oggi si candida al governo di molti paesi dell’Unione europea.

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Oltre l’affermazione della fedeltà a una comune carta dei valori, i diversi sovranismi sono in grado di silenziare i contrasti tra gli interessi che rappresentano? Quale è la loro idea di Europa? Quali sono le proposte politiche della destra radicale per l’Europa? Quali sono le sue strategie di affermazione? Presso quali settori della società le sue parole d’ordine hanno maggiore presa, e perché? Che risposte credibili possiamo immaginare?

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