PHD Researcher all'Università degli Studi di Milano.

Nel mondo ogni 15 secondi un lavoratore muore sul lavoro a causa di un infortunio o di malattia professionale. Ogni 15 secondi, 153 lavoratori hanno un infortunio sul lavoro. Si stima che ogni giorno, 6.300 persone muoiono a causa di incidenti sul lavoro o malattie professionali per un totale di oltre 2,3 milioni di morti all’anno. Quella che si svolge contro i lavoratori è una guerra mondiale nella quale anche l’Italia è purtroppo protagonista con 1.221 lavoratori morti nello scorso anno.

Oltre al costo umano di queste tragedie quotidiane, l’onere economico causato dalle scarse pratiche di messa in sicurezza dei luoghi di lavoro è stimato essere ogni anno pari al 4 per cento del prodotto interno lordo mondiale. Il dramma è tanto esteso che, a poca distanza dalla festa dei lavoratori del Primo Maggio, si è sentita la necessità di istituire, per una sempre maggiore sensibilizzazione, la Giornata Mondiale per la Salute e la Sicurezza sul lavoro che ricorre il 28 aprile.

Il fenomeno degli infortuni e delle morti sul lavoro manifesta ancora la sua forza in tutti i Paesi sviluppati dove agli elevati livelli di benessere e qualità della vita raggiunti dai cittadini continua a contrapporsi il reiterarsi del fenomeno delle morti bianche. Un fenomeno che è figlio di un paradosso lampante: se da un lato i costi per rendere sicuro il luogo di lavoro sono stati vissuti per molti decenni come un freno alla crescita economica, dall’altro lato le morti e gli infortuni sul lavoro di certo hanno prodotto (e producono) costi che incidono sui bilanci dei sistemi nazionali sanitari e di previdenza.

I dati resi noti dall’Inail per l’Italia sono di una nettezza cruenta: tra le tre e le quattro vittime al giorno in media, con picchi quotidiani di sette-otto tragedie e decine di casi letali che sfuggono a conteggi e statistiche. Si continua a morire sul lavoro (e di lavoro) nelle fabbriche, nei campi, nei cantieri edili, in mare, sui mezzi di trasporto. Dietro ciascun numero si nasconde una persona ed una famiglia affranta: Luigi Viviani (48 anni, boscaiolo), Salvatore Vetere (51 anni, manutentore), Giorgia Sergio (26 anni, addetta alle pulizie), Bujar Hysa (63 anni, facchino), Jaballah Sabri (22 anni, operaio tessile), Sergio Colpani (53 anni, mulettista). L’elenco comprende solo alcuni dei nomi balzati agli onori delle cronache negli ultimi mese e, purtroppo, potrebbe continuare a lungo.

Negli ultimi giorni, ad esempio, ha avuto una grande eco la notizia del processo per la morte di Luana D’Orazio, la giovane operaia che lo scorso 3 maggio 2021 ha perso la vita in un incidente nell’azienda tessile in cui lavorava a Montemurlo (Prato), agli eredi della quale l’Inail ha indennizzato 166.000 euro. Quanto può valere una vita? E quanto un lavoro svolto in sicurezza?

A partire dagli anni Novanta si è affermata una letteratura scientifica che correla la sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro ad una più elevata capacità produttiva, ad un maggior benessere dei dipendenti e ad una maggiore attrattività dell’azienda nel mercato del lavoro. Oltre a tale approccio di carattere culturale, una delle maggiori problematiche riguardanti la piaga delle morti e degli infortuni sul lavoro – in Italia e non – è anche quella relativa alla misurazione del fenomeno.

L’Inail computa le denunce di morte delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti coperti dalla propria assicurazione, dei soggetti assimilati (ad esempio i parasubordinati) e del personale del “Conto Stato” (cioè di amministrazioni centrali, scuole e università statali). Restano fuori gli abusivi e i sommersi (in nero o clandestini) e gli operatori di categorie che non ricadono sotto l’ombrello dell’Istituto (forze di polizia e forze armate, vigili del fuoco, liberi professionisti indipendenti, consulenti del lavoro e periti industriali, commercianti titolari di imprese individuali, giornalisti, dirigenti e impiegati del settore agricolo, sportivi dilettanti, parte del personale di volo).

In compenso nelle statistiche e nelle tutele dell’Istituto dallo scorso anno rientrano i riders (perlomeno quelli in regola). Solo dallo scorso febbraio, la protezione è stata estesa anche ai lavoratori autonomi dello spettacolo (incluso il personale di supporto, ad esempio elettricisti, falegnami, parrucchieri).

Altri aspetti tecnici da considerare sono legati alla comparazione poiché quando si confrontano i dati tra Paesi, i tassi di incidenza sono difficili da interpretare: di fatto, la probabilità di andare incontro ad un infortunio (fatale o non) è correlata all’attività lavorativa che il lavoratore svolge e il peso delle diverse attività economiche varia da un Paese all’altro a seconda della struttura di ciascuna economia.

Inoltre è da sottolineare che un numero più alto di infortuni accertati sul lavoro non indica per forza peggiori condizioni di sicurezza ma può indicare anche una maggiore propensione alla denuncia di taluni accadimenti (e dunque paradossalmente una migliore tutela del lavoratore). Il problema principale resta, però, il lavoro non ufficiale in quanto tra i vari infortunati, ammalati e morti sul lavoro, vi è una parte di lavoratori a nero difficile da stimare. Quest’ultimi, non godendo di determinate tutele, sfuggono a ogni statistica.

I numeri relativi agli ultimi anni descrivono uno scenario preoccupante per l’Italia poiché dal 2018 al 2021 sono state 4.713 le vittime sul lavoro, oltre mille ogni anno. Nello specifico, dei 4.713 decessi, ben 3.598 si sono verificati in occasione di lavoro (il 76% circa del totale). I rimanenti 1.115 sono avvenuti in itinere, cioè nel percorso casa-lavoro (a dimostrazione peraltro che il rischio di morte durante la circolazione stradale è ancora molto rilevante).

L’Osservatorio Indipendente di Bologna sui caduti del lavoro ritiene che un alto numero di morti sul lavoro sfugga alle statistiche sul fenomeno. Tale osservatorio include nei propri dati i lavoratori in nero, le morti non denunciate e una porzione di infortuni letali non accertati dall’INAIL. Secondo l’Osservatorio indipendente bolognese, il 2021 si sarebbe concluso con 1.404 lavoratori morti sul lavoro, di cui 695 sui luoghi di lavoro, 709 in itinere, un dato doppio rispetto a quello medio dell’INAIL.

Di questo passo anche nel 2022 si registreranno più di mille morti sul lavoro. Non è una semplice previsione, è quasi una certezza, considerando che nel primo trimestre del 2022 si sono già verificati 279 incidenti mortali sui luoghi di lavoro. Questi dati sono la dimostrazione lapalissiana che le misure adottate dal governo lo scorso ottobre sono in parte poco efficaci e in parte ancora da implementare: sospensione delle attività non in regola, aumento degli ispettori e una banca dati informatica unica che metterà in sinergia Ispettorato nazionale del lavoro, Inail, regioni e Asl.

Il premier Draghi e il ministro del lavoro Orlando hanno intrapreso una strada fondata su controlli e prevenzione per arginare questa “ferita sociale”, come è stata definita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro (altra data, questa volta tutta italiana, che cade la seconda domenica di ottobre).

Qualcosa sembra muoversi anche a livello regionale con la nascita dei Patti territoriali per la sicurezza e la legalità del lavoro e degli Osservatori: nello specifico, grazie alla predisposizione di un Protocollo d’intesa, si punta a tradurre in impegni concreti la sicurezza sui luoghi di lavoro, sia sul fronte della formazione che dei controlli, specialmente negli ambienti di lavoro dove si registrano le maggiori criticità e varie forme di irregolarità e illegalità.

All’interno del Patto, l’Osservatorio avrà un ruolo molto importante: consentirà di mettere a fattor comune i dati relativi agli infortuni, al fine di indirizzare le azioni di vigilanza e controllo verso i settori che presentano le problematicità più accentuate. L’obiettivo non è solo quello di controllare le aziende ma anche di supportarle.

Il sentiero da seguire è dunque in parte tracciato: il lavoro più grande dovrebbe però essere svolto a monte, non per punire ma per prevenire creando un luogo sicuro dove i cittadini possano operare senza rischi per poter garantire un futuro alla propria famiglia. Un luogo di sicurezza e non di precaria instabilità.

 

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