Le presidenziali francesi si concluderanno il 24 aprile col secondo turno e la sabbia della clessidra sembra assottigliarsi più veloce nel clima febbrile di questa fine campagna, fra incertezze dei due contendenti (il presidente uscente Macron e la leader dell’estrema destra, Marine Le Pen), confusione e rabbia di un elettorato che ha già mostrato, fra l’altro, la sua delusione con il 26% di astensione al primo turno, lo sbriciolamento della sinistra tradizionale che non è arrivata neppure al 5% dei voti. A questo scenario si aggiunge la guerra in Ucraina nella quale non si vedono spiragli di soluzione a breve termine, con la sua scia di devastazione, di profughi, di morti nel cuore dell’Europa.
Il contesto francese, per varie ragioni, è complicato e il dibattito, il confronto su temi cruciali, si è inasprito: il problema degli immigrati, l’età pensionabile, la questione climatica, il potere d’acquisto che interessa vasti strati sociali. La vittoria per il presidente uscente appare quindi più complicata rispetto al 2017 per dinamiche tipiche spesso del ballottaggio e ora tanto più.
Il candidato della FI, Melenchon, leader della sinistra radicale, con il suo 21,95% rappresenta ora il vero arbitro della competizione finale poiché è decisivo su chi si riverseranno i suoi voti e quasi nulla è dato per scontato. Secondo un sondaggio Ipsos Steria, fonte attendibile, circa un terzo del suo elettorato andrà alla candidata dell’estrema destra. Ma siamo sicuri che la rimanente parte andrà tutta a Macron?
Una contiguità antica
Ci si chiede quali le ragioni di ciò: come è possibile che voti della sinistra radicale possano andare all’estrema destra secondo le impietose leggi hegeliane della dialettica? La domanda è legittima ma ha risposte nella storia politica francese degli ultimi trent’anni. Agli inizi degli anni’90 del ’900, infatti, il Front National di Jean Marie Le Pen, di cui è erede la figlia Marine, comincia a registrare un successo inatteso presso consistenti strati popolari, delusi dalle politiche della sinistra (allora in “cohabitation” con la destra di Chirac, sotto la presidenza Mitterrand) cosa questa che lo induce in qualche modo a ripensare alcune sue scelte, ma soprattutto a dotarsi di associazioni e organismi di massa, circoli di varie categorie sociali per rendere stabili questi consensi. Soprattutto quindi l’organizzazione del partito si modifica in linea del resto con una struttura che su commissione di Le Pen era stata pensata da un fuoriuscito del PCF (Parti Communiste), Victor Barthelemy. In quel periodo, inoltre, e anche dopo, alcuni militanti comunisti aderivano al partito di estrema destra tanto da far parlare di gaucho-lepenisme, come venne definito il fenomeno nel dibattito politico.
Oggi potremmo parlare di droito-melanchonisme, a indicare questa commistione di elementi delle due ali estreme che giungono a toccarsi. Vi sono poi ragioni vicine, presenti poiché i due partiti, pur nella diversità, hanno non poche affinità; infatti Melenchon condivide con Le Pen l’antieuropeismo, l’ostilità al dominio delle élites finanziarie e alla “mondialisation” che ha diviso il mondo in vincenti e perdenti. Certo, il populismo di Melenchon si rifà alle analisi di Ernesto Laclau, lo studioso argentino che ha declinato a sinistra l’alfabeto populista, e agli aggiornamenti interessanti della studiosa Chantal Mouffe, sua compagna e sodale nella condivisione di una visione della politica e della società; ma questo poco conta agli occhi degli aderenti e dell’elettorato del partito di Melenchon che hanno provenienze sociali e politiche differenti e la cui voglia di riscatto sociale può quindi prendere vie diverse. Questa è quindi una variabile rilevante per l’acquisizione del favore elettorale da parte di ciascuno dei due pretendenti all’Eliseo anche perché una cospicua quantità di consensi a Melenchon è venuta dai giovani.
La galassia dei giovani
Ma chi sono questi giovani? La pensano tutti allo stesso modo o è il loro un universo variegato? Andranno tutti a Macron i voti della FI che non si riverseranno sulla Le Pen? Qui è difficile fare previsioni soprattutto nei giorni febbrili di questa vigilia di elezioni.
Centinaia di giovani si sono ribellati in questi giorni a Parigi, Nancy, Reims e altre città francesi con manifestazioni e precisi atti politici. Ha cominciato l’università Sorbonne Pantheon, quella storica, quella dell’immaginazione con le ali, dei “pavés” divelti e lanciati contro la polizia, del rabbioso attacco al potere nell’università contro un sapere stantio e fuori di essa contro l’imperialismo, che aveva scosso nel ‘68 il cuore dell’Europa, immaginando possibile una società diversa, disegnando ogni giorno la rivoluzione.
Oggi però contesto e atmosfera sono cambiati; i giovani di Sorbonne, SciencesPo e altre università urlano la loro delusione, stretti in un presente più cupo da cui non intravvedono vie d’uscita; protestano contro un’elezione che dicono essere falsa, a carte truccate poiché Macron e Le Pen sono per loro i due volti dello stesso potere ugualmente opprimente e sordo ai bisogni della società. Tutto questo lo traducono in uno slogan forte: “Ni Macron, ni Le Pen, ni peste ni colera”, ponendo invece in primo piano alcune priorità: ecologia, giustizia sociale, antirazzismo, femminismo. Non parlano di sogni impossibili ma di richieste possibili urlando che “questa elezione ha rubato le aspirazioni sociali, ecologiste, progressiste della gioventù”: i bisogni e le istanze di una democrazia. Questi giovani sempre più numerosi affermano che non voteranno o daranno scheda bianca; fanno cortei, si scontrano con la polizia ma al loro interno ciò che serpeggia è l’incertezza e la confusione; essi non sono sull’altalena dell’utopia come nel ’68, ma cercano il possibile, di salvare più realisticamente i cardini di un sistema di idee e valori. Sono rabbiosi perché inascoltati, orfani di un riferimento politico.
Macron viene da una presidenza segnata da forte protesta sociale, ora ha infittito la sua campagna, ha smesso sobrietà e distacco e attacca la sua rivale su temi cruciali quali il razzismo, l’antieuropeismo, la non credibilità del suo programma economico; ha l’appoggio della destra dei Republicains, prende voti nel feudo cattolico che fu di Fillon, ridisegna un’Europa diversa ma la sinistra gli sfugge e non è riuscito a convincere gran parte degli elettori di sinistra con un gesto chiaro e forte sul piano sociale. “Hic Rhodus hic salta”, e in fretta, viene allora da dire!