La macchina della produzione a servizio della macchina della distruzione
Strumento di una guerra “totale” che portava con sé la necessità di una condivisione del sacrificio da cui nessuno poteva ritenersi esonerato, la mobilitazione delle forze produttive durante la Grande Guerra divenne parte integrante della più generale mobilitazione nazionale. Ciò fu tanto più vero in Italia, in un paese a detta dei più impreparato anche industrialmente al conflitto.
Eppure, la macchina della mobilitazione industriale si fece trovare sorprendentemente pronta, sfruttando quello che Luigi Einaudi, nel suo La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana (1933), ipotizzava come una sorta di vantaggio da late comer. La consapevolezza del gap da colmare avrebbe cioè spinto le autorità italiane a ciò preposte ad accelerare il processo di militarizzazione della produzione, riuscendo già ad inizio luglio a formalizzare l’impianto legislativo su cui poi avrebbe funzionato l’intera complessa macchina della Mobilitazione Industriale per i tre anni e mezzo successivi.
A guidarla, il generale Alfredo Dallolio. Nominato sottosegretario (poi ministro) per le Armi e Munizioni, Dallolio divenne il condottiero di quell’“esercito delle officine” che si sarebbe rivelato non meno importante dell’esercito combattente per le sorti dell’Italia in guerra. L’esigenza di mettere a punto in tempi rapidi un efficiente sistema di rifornimento industriale per l’esercito finì per far ricadere sul generale poteri pressoché illimitati, tanto da giustificare la definizione, da parte di Einaudi, di “dittatore della produzione bellica”.
È indubbio, tuttavia, che la straordinaria e per certi versi innovativa macchina burocratica che Dallolio riuscì a edificare in pochi mesi riuscì nello scopo di mettere il paese nelle condizioni di affrontare una guerra di logoramento eppure estremamente “moderna”, che avrebbe segnato, anche da un punto di vista tecnologico-produttivo, una cesura incontestabile tra il lungo Ottocento e il “secolo breve”.
Una “fabbrica della modernità” che si innestò e prosperò sulle rovine di un mondo che essa stessa contribuì a distruggere, idealmente e materialmente, con il contributo non secondario della macchina produttiva. All’industria apportatrice di benessere e progresso, celebrata dalle Esposizioni internazionali ottocentesche, la guerra chiese di farsi complice nella costruzione di una perversa e diabolica macchina della morte. Biciclette, automobili, aerei, ritrovati chimici, tutto ciò che sembrava prestarsi al miglioramento dell’umanità intesa nella sua dimensione pubblica e privata, si convertì in strumento di distruzione di quella stessa umanità. L’economia avviata sulla strada di una globalizzazione internazionale tornò a frammentarsi in tante economie nazionali che si chiusero in se stesse fino a estremi esperimenti di autarchia. Fu attraverso queste dinamiche che l’efficiente macchina della produzione si mise a servizio della macchina bellica, sintesi quanto mai efficace delle contraddizioni di una guerra modernizzatrice e distruttrice insieme.
Eleonora Belloni
Ricercatrice de La Grande Trasformazione 1914-1918, un progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
4/11/2015
Consigli di lettura
Per approfondire l’articolo di Eleonora Belloni, leggi l’ebook L’esercito delle officine, di Luigi Einaudi, pubblicato per la collana Utopie.
Risultato e allo stesso tempo mezzo di una guerra “totale” che portava con sé la necessità di una condivisione del sacrificio da cui nessuno poteva ritenersi escluso, la mobilitazione delle forze produttive diveniva parte integrante della più generale mobilitazione nazionale…
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