In Europa e in Italia, come nel resto del mondo, la transizione energetica è diventata un argomento al centro del dibattito pubblico, prioritaria sia per l’Agenda per il clima e l’energia dell’UE, sia per gli Stati membri.

Un tema che sta avendo una rilevanza fondamentale nel dibattito pubblico, quest’ultimo particolarmente amareggiato per quanto riguarda la scelta dei modelli che rappresenteranno il futuro del sistema energetico europeo. Tra i recenti sviluppi di contesto dobbiamo considerare le tensioni sulla definizione tassonomica delle fonti di energia utili a sostenere il processo di transizione così come il quadro di lavoro definito a partire dall’ultimo Green Deal europeo.

Ma anche e soprattutto le dichiarazioni di intenti della Commissione per rispondere allo shock energetico che stiamo vivendo in seguito al drammatico conflitto derivante dalla barbarica invasione russa dell’Ucraina: nuove forme di approvvigionamento di gas, l’incremento di investimenti nelle rinnovabili, l’efficienza nei consumi e nelle soluzioni locali ai problemi energetici.

 

 

Proprio nella dichiarazione di Von der Leyen emerge quello che sarà il segno della futura tensione che interesserà il rapporto tra la dimensione globale e locale della transizione energetica. Ossia il futuro rapporto tra grandi produzioni centralizzate e concentrate, necessarie ad assolvere la funzione di sostenere i settori industriali strategici alla crescita del Paese con quelle della generazione distribuita, dell’efficienza locale e l’altrettanto difficile rapporto con la diffusione di impianti e tecnologie rinnovabili a larga scala.

La crisi pandemica ed economica da Covid-19 prima e gli attuali scenari di crisi energetica internazionale derivanti dal conflitto russo-ucraino stanno intensificando queste tensioni, tra gli indirizzi delle politiche di rilancio economico e le implicazioni nella ridiscussione di un sistema industriale (e delle infrastrutture energetiche) resiliente rispetto agli shock delle filiere di approvvigionamento globali rivelatesi troppo dipendenti da fragili equilibri internazionali. Gli stessi hanno generato un aumento dei prezzi delle risorse energetiche principali con un conseguente contraccolpo su materie primerisorse alimentari.

Queste considerazioni vanno contestualizzate in un’accezione ampia del concetto di sostenibilità, consci che i fattori ambientali, sociali e di governance stanno assumendo un ruolo di sempre maggiore importanza sia per i decisori pubblici, sia per le imprese e gli investitori.

La questione sullo sfondo è che le precedenti stagioni delle politiche energetiche, pur indirizzate a obiettivi green, hanno spesso promosso iniziative e progetti orientati all’estrazione di valore economico da parte di grandi operatori nazionali e internazionali nei confronti delle realtà locali: con modelli di produzione energetica de-territorializzati e distanti dalle vocazioni dei territori, in molti casi concorrenti alla generazione di movimenti di opposizione da parte delle comunità locali.

Per questo motivo molte delle aspettative sulla risoluzione di questa tensione tra dimensione globale e locale dell’energia vanno ricercate nel Meccanismo Europeo per una Transizione Giusta (traduzione di just transition), un piccolo passo per affrontare “le ripercussioni socioeconomiche della transizione, che si concentra sulle regioni, sulle industrie e sui lavoratori”. Il sostegno (55 MLD) sarà disponibile per tutti gli Stati membri e si focalizzerà sulle regioni a più alta intensità di emissioni di CO2 e su quelle con il più elevato numero di occupati nel settore dei combustibili fossili.

Dal punto di vista della ricerca, il lavoro che Università e centri stanno facendo è elaborare strumenti analitici per identificare e valutare le pratiche di “transizione energetica” che auspicano il superamento dei tradizionali approcci legati esclusivamente a dinamiche economico-finanziarie, concentrandosi sulla dimensione di impatto sociale delle iniziative e degli effetti che queste hanno nei luoghi in cui operano. Cercando così di colmare il divario di conoscenza nel connettere questi aspetti, ed esplorando e sistematizzando l’ampio spettro di approcci place-based utili alla realizzazione di una “giusta” transizione energetica.

L’obiettivo è quello di trovare pratiche di transizione che possano diventare il veicolo di politiche territoriali capaci di potenziarne l’impatto, sostenendo processi di coesione e inclusione sociale (per esempio, la povertà energetica) dove la dimensione energetica è capace di incoraggiare approcci di eco-welfare e sviluppo economico locale.

Le tre dimensioni principali sono quelle che la finanza d’impatto chiama ESG (Environment, Social, Governance) ossia la definizione di un quadro di effetti ambientali, sociali e di governance che le iniziative di transizione giusta possono avere (per esempio, comunità energetiche, impianti rinnovabili a proprietà collettiva, schemi di autoconsumo, progetti community-based di efficientamento energetico e contrasto alla povertà energetica).

Più nel dettaglio, le sfide da affrontare rispetto a una migliore definizione degli impatti delle pratiche di transizione energetica saranno le seguenti:

  • la dimensione spaziale/ambientale: individuando la scala e la natura degli impatti ambientali tramite l’identificazione di esiti (outcomes) prodotti a scala micro, meso e macro come variabili influenzate dalle caratteristiche strategiche con cui le iniziative sono state realizzate;
  • identificando la dimensione sociale dei progetti, cioè considerando sia i fabbisogni energetici locali, sia le diverse capacità e dotazioni che soggetti e territori marginalizzati hanno nel realizzare progetti di “transizione giusta”;
  • la dimensione di governance di queste pratiche. Rispetto a questo aspetto, le comunità energetiche rappresentano un quadro di esempi di iniziative particolarmente attente al tema della transizione giusta, in cui è però fondamentale osservare il ruolo giocato dalle politiche (piani, partnership, energy policy) organizzazioni e stakeholders con interessi diversi che conseguentemente indirizzano la mobilitazione di risorse finanziarie e immateriali.

Rispetto al tema delle competenze, molto caro al meccanismo di just transition, sicuramente la distanza da colmare di riqualificazione del capitale umano del comparto industriale energetico è un tema particolarmente critico.

Occorra in primo luogo rafforzare quelle competenze interne alle PA a latere delle misure di sostegno finanziario alle iniziative. Molti dei comuni target dei finanziamenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Componente 1, Misura 1.2) difficilmente potranno far fronte alle necessità richieste in termini competenze progettuali, con il rischio che organizzazioni esterne alle dinamiche locali promuovano “modelli prefabbricati” validi per tutte le realtà (isomorfismo organizzativo), senza un reale coinvolgimento delle comunità locali, senza reali ricadute in termini di esternalità positive e con soluzioni tecnologiche incapaci di produrre valore aggiunto nelle economie territoriali.

In una recente ricerca, promossa da RSE e condotta da Luiss Business School sull’ampio settore delle comunità energetiche rinnovabili e dell’autoconsumo collettivo, è stato osservato come siano le dinamiche manageriali delle iniziative a condizionarne il successo dal punto di vista di una loro efficacia nel costruire un legame organizzativo con il territorio e le comunità di pratiche.

Su questo, da un lato è necessario mutuare conoscenza tra ecosistemi e reti di organizzazioni nazionali e internazionali che già fanno advocacy per il settore delle Comunità energetiche e sui diritti per la “democrazia energetica” e la transizione ecologica legata al settore energetico (per esempio, Friends for the Earth & RESCOOP).

L’interesse a sviluppare condizioni di sostenibilità organizzativo/finanziaria dei progetti che necessariamente devono ingaggiare soggetti investitori (più o meno istituzionali) e allo stesso tempo sviluppare accordi di collaborazione tra diversi attori privati (per esempio ESCO) o con attori pubblici (per esempio PA, agenzie regionali per la casa, consorzi di comuni). A questo fine, le cooperative, le fondazioni e le imprese di capitali a matrice comunitaria (proprietà collettiva) si configurano come modelli validi per sostenere il potenziale di queste innovazioni locali dove le competenze necessarie includono sicuramente il design della governance, delle partnership e l’ingaggio delle comunità locali.

Di questi temi discuteremo a Lecce il 30 marzo 2022 presso il Museo archeologico S. Castromediano (Via Gallipoli 21) per concludere un percorso in tre tappe che ha già interessato Varese e Bologna, tre poli accomunati dalla vocazione a creare centri di competenze territoriali.

Quattro saranno i nodi centrali da sciogliere:

  • In che modo valorizzare la formazione tecnica, in particolare in materia di efficienza e sostenibilità energetica, come strumento centrale per il rilancio delle aziende e l’innovazione della regione Puglia e dell’intero Paese? Che cosa è stato fatto e che cosa ancora si deve fare in direzione di una decarbonizzazione della regione?
  • Quali passi, In una logica di filiera sostenibile, sono stati fatti e quali sono ancora da fare sul tema della produzione dell’idrogeno verde – variante “green” dell’idrogeno, prodotta ad impatto ambientale zero – per creare nuove reti di innovazione e più osmosi tra multinazionali, imprese, università e istituti di ricerca del territorio?
  • Come tenere insieme investimenti in tema di rinnovabili e tutela del paesaggio di Puglia?
  • Quali scenari di riorganizzazione strategica possiamo immaginare rispetto ad iniziative come le “comunità energetiche” e gli schemi di “autoconsumo collettivo”? In che modo queste iniziative possono diventare portatrici di radicale innovazione dei sistemi energetici?

 

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