America Latina primo amore
Possiamo datare la nascita dell’interesse nei confronti dell’America latina da parte di Giangiacomo Feltrinelli ai suoi primissimi anni di attività culturale, prima ancora di fondare la casa editrice, quando, poco più che ventenne, lavorava insieme a Giuseppe Del Bo, seguendo i principi guida dell’oggettività e dell’organicità, alla costruzione del patrimonio bibliografico della Biblioteca, oggi Fondazione Feltrinelli. È proprio in questo contesto, infatti, nel corso di una riunione del Comitato direttivo della Biblioteca, che in risposta alle sollecitazioni di Luigi Cortesi intorno alla costruzione del catalogo, Feltrinelli avanzò personalmente la richiesta che la sezione Sud-americana rimanesse separata da quella spagnola, convinto che «senz’altro fra anni ci saranno avvenimenti nel Sud-America, per cui una documentazione del Novecento e dei fatti correnti sarà preziosa»: questa è la frase che viene messa a verbale (consulta la fonte) e che anticipa non solo il suo interesse politico per l’America latina ma anche quello culturale, storico e letterario, interesse che non mancherà mai di riservare a questo Paese, attraverso le pubblicazioni della sua casa editrice.
Il terzomondismo, da Bandung a Belgrado
Del resto, la ricerca di un «antifascismo conseguente e coerente», di una «forma di coesistenza fra Paesi di diverse strutture economiche e politiche», della possibilità per le «forze nuove del terzo mondo», che uscivano dalla dominazione coloniale, di trovare un loro assetto e di inserirsi «con forza nel sistema politico mondiale», sono i tre leitmotiv che hanno forgiato l’impronta originaria della casa editrice, così come dichiarato dall’Editore nella Prefazione al primo catalogo storico della Feltrinelli, dove esprimeva inoltre la consapevolezza che il panorama culturale italiano e il grado di civiltà del nostro Paese sarebbero dipesi anche da quello che, negli anni a venire, gli italiani avrebbero avuto la possibilità di leggere «nel campo della letteratura di consumo».
E cosa meglio della letteratura latino-americana poteva arrivare a coniugare felicemente l’impegno politico con le più avanzate innovazioni narrative?
La Spagna antifranchista
In prima analisi, però, conviene considerare insieme l’interesse per l’America latina e quello per la Spagna, che lo precede e lo affianca, come dimostra l’impegno civile di Feltrinelli, che si preoccupa delle sorti della penisola iberica ancora schiacciata sotto il peso della dittatura franchista, e che, come editore, non tarda a proporne gli esiti letterari in Italia. È vero che La baracca di Blasco Ibanez, primo titolo spagnolo pubblicato da Feltrinelli (per le cure di Vittorio Spinazzola nel 1955), era uscito in Spagna nel lontano 1898 e che era ormai stato tradotto in tutto il mondo, ma va ricordato che vi si narrano le vicende di lotte sociali tra i lavoratori dei campi e i grandi proprietari terrieri e, se non bastasse, va anche detto che, in quello stesso 1955, sulla copertina dell’edizione Feltrinelli di Spagna clandestina campeggia, sullo sfondo dei colori della bandiera repubblicana spagnola, la scritta «Abajo el terror franchista» (la grafica è di Albe Steiner). Precoce è anche l’attenzione di Feltrinelli per la poesia iberica, che nel 1960, per la curatela di Dario Puccini, trova una sua prima sistematizzazione editoriale nel Romancero della Resistenza spagnola, ponderosa antologia dei poeti della guerra civile, e che prosegue nel 1962 con Spagna poesia oggi, «un viaggio attraverso il fascismo in Spagna tanto lungo che dura ancora oggi» si leggeva in copertina.
Ispanisti in redazione
Questi sono solo i prodromi di una situazione che porterà, già nel 1979, sulle pagine della “Rassegna Iberistica”, Giuseppe Bellini a riconoscere «in particolare alla Feltrinelli» il merito di aver fatto «largo posto nei suoi programmi alla narrativa ispanoamericana contemporanea, consacrandone il successo».
Lo studioso individuava nel secondo dopoguerra l’epoca più importante per la diffusione della letteratura ispano-americana in Italia, e riconosceva a un manipolo di case editrici, tra le quali appunto spiccava Feltrinelli, il merito di averne introdotto nel nostro Paese autori e opere.
Si pensi a Miguel Angel Asturias: già nel 1958 Feltrinelli affidava a Elena Mancuso la traduzione dell’Uomo della Provvidenza, che usciva nella collana “Narrativa” e anticipava il successo che il grande autore guatemalteco solo in seguito riscuoterà nel nostro Paese prima, tra il 1963 e il 1966, per il tramite dei corsi che tenne nelle università italiane e che destarono vivo interesse di pubblico, e poi, naturalmente, nel 1967, in seguito all’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura, che porterà anche a una nuova edizione del suo romanzo nella collana “Narratori Feltrinelli”. Ed è sempre Elena Mancuso a tradurre, nel 1960, Pedro Paramo di Juan Rulfo, scritto messicano allora completamente sconosciuto in Italia, così come è sempre grazie a Feltrinelli che precocemente (rispetto al boom di cui diremo tra poco) esordiscono in Italia il messicano Carlos Fuentes (Aura, 1964), il cubano Severo Sarduy (La bomba dell’Avana, 1964), l’argentino Ernesto Sabato (Sopra eroi e tombe, 1965), tutti autori fino ad allora sconosciuti nel nostro Paese. Feltrinelli non trascura nemmeno il grande Jorge Luis Borges (L’Aleph, 1959; Altre inquisizioni, 1963) e soprattutto prepara l’esordio italiano di un altro futuro Premio Nobel per la letteratura, il peruviano Mario Vargas Llosa. Il suo primo romanzo, La città e i cani, esce nei “Narratori Feltrinelli” nel 1967 tradotto da Enrico Cicogna, protagonista indiscusso del boom della narrativa latino-americana che, grazie al terreno sapientemente coltivato da Giangiacomo Feltrinelli e dai suoi collaboratori (Valerio Riva, Enrico Filippini), bussa ormai alle porte della casa editrice.
Il boom della narrativa latino-americana
Si tratta di un vero e proprio fenomeno editoriale, più che letterario, che si tende a circoscrivere tra due date storiche, il 1959, anno della rivoluzione cubana, e il 1973, anno del golpe militare in Cile. Ma l’apice, e insieme il punto d’avvio per una maggior diffusione di numerosi scrittori ispano-americani in Italia e per l’esplodere del fenomeno editoriale, che rapidamente si diffonde in tutta l’Europa, si può senz’altro segnare nel 1968, quando esce per Feltrinelli la prima traduzione di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, pubblicato in spagnolo solo l’anno prima. Da quel momento in poi, come ha calcolato Stefano Tedeschi, «in sette anni, si pubblicano in Italia 140 nuovi titoli di autori ispanoamericani» tanto che il pubblico italiano ha a sua disposizione «nel 1973-74 il doppio dei libri rispetto al 1967».
Feltrinelli continua a fare la parte del leone, forte dell’impegno già profuso in passato e della collaborazione attivissima di Enrico Cicogna (affiancato poi internamente da Aldo Tagliaferri) che, oltre alle raccolte di racconti giovanili di Marquez (pubblicate in attesa del nuovo romanzo che arriverà nel 1975, seguito dal Premio Nobel nel 1982), traduce l’uruguaiano Juan Carlos Onetti (1969), il messicano Elizondo Salvador (1970), l’argentino Manuel Puig (1971), i peruviani Manuel Scorza (1972) e Alfredo Bryce Echenique (1974), il colombiano Gustavo Alvarez Gardeazabal (1975).
Feltrinelli, Einaudi, e a seguire altri editori, sono contemporaneamente alla ricerca sia del singolo nuovo autore da lanciare che di una più articolata e organica proposta di catalogo da costruire. Come ha scritto ancora Stefano Tedeschi, si trattava di «fornire al pubblico europeo l’immagine di un intero continente che sembrava risvegliarsi alla creatività letteraria, e di costruire attorno ad essa una durevole proposta culturale». Al di là dei bilanci futuri, possiamo registrare come, già in quegli stessi anni, quando la critica si interrogava sulle ragioni del boom, le risposte oscillavano tra l’indicazione di meriti specificatamente letterari, il riconoscimento di una sorta di tendenza generazionale e, forse su tutte, l’avanzare di considerazioni legate alla situazione politica, in cui veniva esaltato, primariamente, il ruolo della Rivoluzionecubana.
I “Documenti della rivoluzione nell’America latina”
Dalla rivoluzione cubana del 1959 a quella sandinista in Nicaragua vent’anni dopo, l’America Latina visse, come noto, una lunga stagione rivoluzionaria, nell’ambito della quale fu senz’altro la rivoluzione cubana a dare fuoco alle polveri, anche perché, specie nei primi anni, cercò di esportare il proprio modello, stimolandone l’emulazione in molti Paesi. Non è a caso, insomma, che nel 1964 Giangiacomo Feltrinelli compie il suo primo viaggio a Cuba, stabilendo un sodalizio con Fidel Castro. Nel 1967 fonda e dirige l’edizione italiana della rivista «Tricontinental», organo bimestrale dell’organizzazione di solidarietà dei popoli d’Asia, Africa e America Latina (OSPAAAL). E nello stesso anno approfondisce il suo impegno politico con la promozione delle “Edizioni della Libreria”, libri di pronto intervento costruiti intorno a questioni di rilevanza politica e sociale, declinati in diverse serie tematiche, una delle quali intitolata proprio “Documenti della rivoluzione nell’America Latina”. L’operazione che, di nuovo, vede Giangiacomo Feltrinelli impegnato personalmente nella loro realizzazione, produce oltre quaranta libelli, di poche pagine e agile formato, grazie ai quali vengono presentati in Italia documenti spesso inediti, strumenti insostituibili per comprendere, in presa diretta, l’attualità degli eventi in corso nell’America Latina.
Dopo il 9 ottobre 1967, data della morte di Ernesto Che Guevara, Fidel Castro affida proprio a Giangiacomo Feltrinelli il Diario del Che in Bolivia, un prezioso testamento spirituale, un importante documento politico che, insieme alla famosissima effige del rivoluzionario, contribuirà in maniera decisiva alla diffusione e alla promozione della figura e dell’opera di Che Guevara presso il pubblico italiano. Ci sono quattro elementi, legati alla pubblicazione del Diario del Che, che sono sicuramente meno noti della foto di Alberto Korda, ma che risultano molto utili per offrire, in conclusione, proprio una sintesi emblematica di quello che fu il rapporto tra Giangiacomo Feltrinelli e l’America Latina. Primo, la cura editoriale: è Giangiacomo Feltrinelli stesso a tradurre personalmente il Diario del Che. Secondo, l’anticipazione, la scoperta: l’edizione italiana è la prima al mondo. Terzo, la visione culturale internazionale: i diritti di traduzione del Diario vengono ceduti gratuitamente agli altri editori europei. Quarto, ma non ultimo, la passione politica: gli utili della pubblicazione vengono devoluti interamente ai movimenti rivoluzionari dell’America latina.