Innovare per diventare moderni
Non è scontato che i contemporanei percepiscano con chiarezza la portata di un evento, ma nel caso dell’Esposizione italiana che ebbe luogo a Milano nel 1881 si può facilmente intravedere, rileggendo i testi coevi (le cronache illustrate di Treves e Sonzogno e L’Italia industriale del 1881, pubblicato da Hoepli, che raccoglie i testi delle conferenze, tutte fonti conservate dalla biblioteca di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli), la sensazione che si fosse giunti a un punto di svolta. Si ritrova infatti sia nelle cronache del tempo che descrivono con dovizia di particolari i padiglioni allestiti presso i Giardini pubblici, sia negli interventi programmatici dei promotori un generale sentire che indica l’opportunità, quasi imperativa, di trasformare l’evento in un’occasione per tracciare un primo bilancio a vent’anni dall’Unità d’Italia prima di ripartire in direzione del progresso e della modernità.
Sarebbe fin troppo semplice, per non dire semplicistico, suggerire una piatta comparazione tra 1881 e 2015, tra un’Esposizione che, promossa dalla Camera di Commercio di Milano, faticosamente si dichiarava nazionale e una che nasce internazionale e globale; tuttavia entrambe sembrano da un lato riproporre il mito di Milano efficiente e operosa (il mito della «capitale morale» si è invece affievolito con gli anni…), dall’altro tentare una narrazione che riconosce nella kermesse espositiva il capolinea di una fase storica e il pretesto per presentare al Paese una dichiarazione d’intenti che immagina un modello di futuro. Nel 1881 il futuro, in un paese largamente agricolo, veniva identificato a Milano con lo sviluppo industriale, la meccanizzazione, il primato dell’economia sulla politica e degli imprenditori sui politicanti; nel 2015 sembra invece che il nuovo impulso dato negli ultimi anni alla «città che sale», il terziario avanzato e l’economia immateriale abbiano anche simbolicamente indicato un nuovo paradigma «milanese» di futuro.
Nel dibattito che precede e accompagna le due Esposizioni un ruolo determinante hanno le discipline tecnico-scientifiche, e per averne conferma basta scorrere i nomi dei relatori de L’Italia industriale del 1881, quasi tutti docenti del Politecnico di Milano, nato meno di vent’anni prima: dal co-fondatore Giuseppe Colombo a Cesare Saldini, da Luigi Gabba a Archimede Sacchi. I loro interventi, tutti protesi a mostrare lo sviluppo dei settori di loro competenza (ma senza inopportuni trionfalismi), sono a testimoniare, oltre alla fede nelle scienze esatte, la necessità di diffondere la conoscenza anche presso le classi meno abbienti e meno scolarizzate. Non solo, ma, si direbbe oggi, di «fare sistema»: l’economista Luigi Luzzatti scrive infatti alla vigilia dell’Esposizione che «sarebbe tempo che i produttori si persuadessero che l’isolamento li uccide e la solidarietà soltanto li avviva collegandoli in gruppi omogenei sull’esempio di tutti gli altri paesi civili».
Il dibattito, il confronto sulle idee, l’elaborazione di documenti condivisi e la divulgazione sono nel 1881 segnali di grande modernità. In ideale continuità con quella lontana manifestazione, e su una dimensione di scala planetaria che nell’Ottocento neppure potevano concepire, Laboratorio Expo ha raccolto il testimone auspicando con la Carta di Milano un mondo possibile sui temi di Expo Milano 2015.
Vittore Armanni
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli