Lavoro atipico

Un terzo dei lavoratori oggi è preoccupato per il proprio futuro, e gran parte di questa preoccupazione può essere attribuita alle trasformazioni tecnologiche e all’automazione. Il lavoro autonomo e i contratti a breve termine diventeranno sempre più diffusi, con conseguente minore sicurezza del lavoro e maggiore instabilità finanziaria. Inoltre, la mancanza di un ambiente lavorativo e sociale spesso significa una minore possibilità del lavoratore di contribuire e partecipare al processo decisionale.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a un acceso dibattito pubblico e politico sul futuro del lavoro. Anche se l’occupazione standard – a tempo indeterminato, a tempo pieno e soggetta al diritto del lavoro – è ancora dominante in Europa, la crescita del lavoro atipico è cresciuta e contribuisce a definire un trend di trasformazione del mercato del lavoro europeo più profonda di quanto non traspaia dai semplici dati, un trend che promette di assumere un’importanza crescente e che promette di influenzare sempre di più la qualità del lavoro e dell’occupazione.

Già nel 2013-14 la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) aveva condotto una mappatura delle “nuove forme di occupazione” nell’Unione europea e in Norvegia. Lo studio aveva individuato le nuove tendenze, emergenti o di crescente importanza, che si sono affermate a partire dall’anno 2000 sul mercato del lavoro europeo. Queste tendenze spaziavano dai nuovi rapporti formali tra datori di lavoro e dipendenti, a schemi di lavoro o di organizzazione del lavoro non standard (in particolare legati all’orario e al luogo di lavoro), ai sistemi di networking e cooperazione tra i lavoratori autonomi.

In anni più recenti, la forma di lavoro più spesso identificata come nuova o sempre più importante è stata quella del “lavoro mobile basato sulle ICT (tecnologie della comunicazione e dell’informazione)”. In base a questo schema, un dipendente o un lavoratore autonomo non ha un luogo o un orario di lavoro determinato (differendo quindi dal telelavoro tradizionale), e in effetti lavora “sempre e ovunque”.

Mentre questa tendenza può essere attribuita alla digitalizzazione e al cambiamento della società, la seconda tendenza più significativa degli ultimi anni, l’espansione del lavoro occasionale, è invece spinta dalle esigenze economiche dei datori di lavoro. In questa forma di assunzione, il datore di lavoro può chiamare il lavoratore su richiesta, determinando una situazione instabile e discontinua per il dipendente.

La domanda cruciale che l’ILO si è posto è come possano i sistemi di welfare arginare la precarietà endemica che caratterizza sempre più il mercato del lavoro europeo. Secondo l’ILO, ciò richiede una narrativa progressista che riposizioni il valore e la dignità del lavoro, dei salari e delle condizioni di lavoro al centro dell’agenda politica dei governi e dei decisori politici, a livello europeo, nazionale e locale.

Intervista a Bela Galcocsi

European Trade Union Institute

 

Se la stagnazione del “capitale umano” è accompagnata da una ridotta protezione del reddito, i disoccupati – di cui i giovani disoccupati rappresentano ancora una percentuale molto elevata nell’UE (con picchi superiori al 30 per cento in diversi paesi) – rischiano di diventare più precari e più poveri, senza aver migliorato le proprie possibilità sul mercato del lavoro. Questo è esattamente ciò che è accaduto durante la crisi del 2007-08, e ora deve essere evitato.

A quel tempo, le riforme delle politiche nazionali hanno eroso la capacità del lavoro di mobilitare le risorse, mentre il ridimensionamento delle politiche pubbliche – con tagli alla protezione sociale e agli investimenti nel capitale umano – ha visto il welfare trasformarsi in workfare”. Il lavoro precario si è quindi manifestato non solo nell’aumento del lavoro interinale (spesso involontario) ma anche nell’imposizione di orari di lavoro ridotti e sempre più imprevedibili, salari bassi e condizioni di lavoro meno vantaggiose, tutte cose che i lavoratori, in particolare i giovani, hanno dovuto accettare per avere un impiego. Le nuove politiche del lavoro hanno favorito la povertà lavorativa, spingendo i lavoratori verso occupazioni precarie poco retribuite, come modo per mantenere il diritto a un reddito minimo data la crescente condizionalità delle indennità e dei sussidi.

Sono aumentati il ​​lavoro autonomo, il lavoro informale e il lavoro occasionale. Questi sono comunemente associati alla precarietà in quanto offrono ai lavoratori minori diritti alla protezione occupazionale, riflettendo spesso un minor potere contrattuale e una maggiore dipendenza economica.

Ad esempio, in alcuni casi il “lavoro autonomo” nasconde una condizione di dipendenza da un rapporto con un unico datore, piuttosto che da una serie di clienti. In questi casi la subordinazione nei fatti convive con gli svantaggi di restare esclusi dai sistemi di protezione e maggiormente esposti agli effetti del regime della concorrenza nell’epoca della platform economy.

Un recente studio sulle piattaforme digitali sostiene che è possibile utilizzare le tecnologie su cui si basano i servizi della piattaforma per contribuire al miglioramento delle condizioni di lavoro, allo sviluppo delle economie locali o alla qualità dei servizi locali, in linea con le più ampie politiche pubbliche europee.

Come raggiungere questo obiettivo non è né immediato né semplice. È necessario tuttavia un certo livello di intervento pubblico per sostenere la qualità di beni e servizi e per aumentare la voce dei lavoratori e dei cittadini garantendo buoni salari e condizioni di lavoro.

A questo proposito, non è possibile prescindere dalle istituzioni di contrattazione collettiva e dai diritti di rappresentanza. Tali disposizioni possono garantire che standard di salute e sicurezza; retribuzioni; condizioni di lavoro dignitose e diritti a maternità; paternità e congedo parentale; congedo per malattia; ferie e pensioni siano adeguate al nuovo contesto, alle nuove figure del mondo del lavoro e alle loro necessità.

Queste iniziative politiche potrebbero essere integrate da altre misure per una riforma dei sistemi di protezione sociale capace di proteggere meglio i lavoratori autonomi.

Queste sfide non sembrano essere esclusive dell’“economia delle piattaforme”. In parte dipendono dall’evoluzione complessiva del mercato del lavoro e della società. L’aumento dell’uso di forme non standard di occupazione e lavoro non dipende solo dalla gig economy: lavoro occasionale, lavoro a chiamata, lavoro interinale, lavoro informale e lavoro autonomo dipendente. Molte delle modalità di lavoro stabilite dalle piattaforme online corrispondono, assomigliano molto o mescolano queste forme di lavoro atipico, a volte con l’unica differenza che fanno uso di uno strumento digitale.

È vero, alcune piattaforme sembrano aver costruito il loro intero modello di business e infrastruttura tecnologica attorno alle criticità connesse alla rappresentanza e tutela dei lavoratori. I policy maker nazionali hanno avuto difficoltà a far fronte a questi sviluppi. L’economia della piattaforma ha deliberatamente evitato il rispetto delle regole e, soprattutto, a causa della narrativa persistente della sua natura “innovativa”, si presenta come qualcosa a cui la regolamentazione non dovrebbe applicarsi, o addirittura dovrebbe adeguarsi.

Nel novembre 2017 i presidenti delle istituzioni dell’UE hanno proclamato il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. Diversi atti legislativi, come le direttive sull’equilibrio tra lavoro e vita privata, sono già stati adottati. Lungi dal dissiparsi, lo slancio verso un’Europa dei diritti sociali continua a crescere. Nel suo discorso al Parlamento europeo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il suo “piano d’azione per dare vita al nostro Pilastro dei Diritti Sociali”, attraverso un salario minimo e un regime di indennità di disoccupazione, nonché una garanzia per i bambini e un investimento nell’istruzione.

The European Pillar of Social Rights Action Plan | © European Union, 2021

Questo potrebbe essere il momento di spingere per un’azione specifica ma olistica per combattere il lavoro di scarsa qualità, regolamentando le piattaforme insieme a una serie di altre forme di occupazione non standard. Il pilastro sociale potrebbe essere utilizzato come percorso per avviare un’ambiziosa (ri)regolamentazione del lavoro a livello dell’UE, migliorando e integrando le misure esistenti sul lavoro atipico per fornire un livello minimo di diritti dei lavoratori realmente efficace e veramente sostenibile dal punto di vista sociale.

Nel contesto della pandemia, nel maggio 2020, l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha evidenziato l’urgenza di risposte politiche adeguate per prevenire i danni a lungo termine della pandemia, in particolare per i giovani, temendo il configurarsi di una “lockdown generation”, dovuta al possibile persistere della pandemia. La mancanza di diritti sociali (inclusa la contrattazione collettiva e la partecipazione) e la scarsa o nessuna protezione sociale (comprese adeguate indennità di disoccupazione e malattia) sono il motivo principale delle condizioni “precarie” per le quali l’ILO chiede risposte immediate.

Quando si tratta più specificamente dell’economia delle piattaforme, è necessario un cambiamento fondamentale nella narrativa. Invece di trattarlo come qualcosa di prezioso, unico e innovativo, – che ha bisogno di essere protetto da regole invadenti – dovrebbe invece essere riconosciuto come caratterizzato da tendenze e pratiche che richiedono una regolamentazione, con standard minimi a livello europeo.

Assumendo che l’economia delle piattaforme stia crescendo per fornire servizi innovativi e migliorare la qualità a vantaggio dei clienti, bisogna prendere in considerazione come il suo effetto collaterale sia quello di non offrire opportunità di lavoro di qualità, gravando sul benessere del singolo lavoratore e sulla sostenibilità del welfare state. Per affrontare queste “esternalità” sarà cruciale il ruolo che l’Unione europea saprà ritagliarsi per governare i cambiamenti economici e sociali.

Come sottolinea Spadavecchia (2021) ricerche specifiche sul ruolo delle istituzioni del mercato del lavoro potrebbero avere implicazioni rilevanti e contribuirebbero a comprendere le conseguenze della nuova tendenza che caratterizza il mercato del lavoro in Europa e Stati Uniti, ovvero l’emergere di nuovi rapporti di lavoro basati sulla riduzione della sicurezza del lavoro e sul passaggio da sistemi sindacali di determinazione dei salari a salari determinati dalle forze di mercato (Vidal, 2011). Sammaciccio (2021) evidenzia che vi è un chiaro movimento dal settore manifatturiero, caratterizzato da lavoro a tempo pieno e un alto livello di sindacalizzazione, verso il settore dei servizi, caratterizzato da lavoro part-time a basse competenze (Cirillo e Guarascio, 2015): qui vorremmo sottolineare come la struttura occupazionale si sta polarizzando anche rispetto ai rapporti di lavoro tra coloro che hanno accesso a contratti lavorativi di tipo standard e coloro sono impiegati tramite contratti atipici (Vallas e Prener, 2012). Questo dualismo è collegato a una diffusione sempre più pervasiva e generalizzata di lavoro precario in tutti i settori dell’economia.