Generi diversi
La parità tra donne e uomini è uno dei valori fondanti dell’Unione europea. Risale al 1957 quando il principio della parità di retribuzione entrò a far parte del Trattato di Roma.
Con il rinnovo delle istituzioni dell’UE a seguito delle elezioni europee del 2019, la questione dell’uguaglianza di genere è tornata nell’agenda politica con il forte sostegno della prima presidente donna della Commissione, Ursula von der Leyen, e la designazione di un apposito Commissario per l’uguaglianza, Helena Dalli. Nelle sue linee guida politiche per l’Unione europea, Von der Leyen ha indicato che «l’uguaglianza per tutti e l’uguaglianza in tutti i suoi sensi» era una delle principali priorità della sua Commissione.
Il 5 marzo 2020, la Commissione europea ha pubblicato A Union of Equality: Gender Equality Strategy 2020-2025, come una delle iniziative e strategie dell’UE in materia di uguaglianza, diversità e inclusione che la Commissione adotterà e attuerà nell’ambito della realizzazione sulle sue ambizioni principali “A stronger Europe in the world” e “A new push for European democracy”.
La strategia per l’uguaglianza di genere 2020-2025 proposta dalla Commissione europea mira a «raggiungere un’Europa di parità di genere in cui la violenza di genere, la discriminazione di genere e la disuguaglianza strutturale tra donne e uomini siano un ricordo del passato. Un’Europa in cui donne e uomini, ragazze e ragazzi, in tutta la loro diversità, siano uguali».
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite dell’aprile 2020, la crisi sanitaria globale ha colpito in modo particolare le donne, che generalmente guadagnano meno degli uomini e svolgono lavori più precari: nel complesso, l’occupazione femminile è del 19% più a rischio rispetto a quella maschile. Ciò, si accompagna ad un aumento generale del lavoro non retribuito, dovuto alla chiusura delle scuole e all’aumento delle esigenze di assistenza degli anziani. Ai problemi di natura economica, si aggiungono anche quelli di natura sociale, con una crescita esponenziale dell’incidenza di violenza di genere.
In Francia
La Francia non fa eccezione. Durante il primo lockdown, c’è stato un aumento del 36% delle segnalazioni e degli interventi registrati dalle forze dell’ordine in relazione alla violenza domestica. Secondo un rapporto dell’Istituto nazionale francese di statistica e studi economici, le madri avevano il doppio delle probabilità rispetto ai padri di abbandonare il lavoro per prendersi cura dei propri figli.
La crisi ha quindi esacerbato una situazione già fragile per le donne in Francia: su 5 milioni di posti di lavoro part-time, 3,8 milioni (o il 76%) sono occupati da donne; il 29,3% delle donne lavora part-time, rispetto all’8,4% degli uomini. Questa distribuzione ineguale tra donne e uomini nel mercato del lavoro ha un effetto duraturo sulle disparità salariali: gli uomini guadagnano il 28,5% in più delle donne e anche a parità di posizione e competenze il divario salariale è del 9%. Il Global Gender Gap Report 2021 classifica la Francia al 16° posto nel mondo e al 10° su 22 paesi dell’Europa occidentale e del Nord America (l’Italia si trova al 63° posto nel mondo). Questo risultato è in parte spiegato dallo scarso punteggio della Francia in termini di partecipazione e opportunità economiche – per cui è classificata al 58° posto a livello mondiale –, che è una delle quattro dimensioni chiave che vanno a formare il Gender Gap Global Index[1] (insieme a livello di istruzione, salute e responsabilizzazione politica). Il rapporto mostra la persistenza di un tetto di vetro (glass ceiling), come dimostra la limitata presenza di donne in ruoli apicali.
In Francia, infatti, le donne ricoprono solo il 34,6% delle posizioni senior e manageriali, una percentuale inferiore a quella degli Stati Uniti (42%) o del Regno Unito (36,8%), ma comunque superiore alla Germania (29%). Ciò è ancora più sorprendente, considerando anche che la Francia è al primo posto in termini di livello di istruzione per le donne, quando gli Stati Uniti sono al 36° posto, il Regno Unito al 40° e la Germania al 55°.
Il governo francese ha detto che proporrà un’altra legge per cambiare questa situazione, imponendo alle aziende oltre 1.000 dipendenti di avere almeno il 10% di donne nel management aziendale, un tasso che raggiungerà il 30% entro i prossimi cinque anni, il 40% entro otto anni.
Nonostante queste criticità occorre ricordare che la Francia è impegnata da anni nella lotta alla discriminazione di genere nei luoghi di lavoro. In particolare, una legge del 2018 istituisce l’introduzione dell’indice di uguaglianza sul posto di lavoro, ultimo di una serie di tentativi legali da parte di diversi governi francesi per ridurre la disuguaglianza di genere nelle imprese. Ogni anno, le aziende francesi con 50 o più dipendenti devono calcolare e pubblicare il proprio punteggio per monitorare i progressi complessivi verso il raggiungimento della parità di genere. Le 40 mila aziende che partecipano all’indice ottengono un punteggio da 0 a 100, in base a cinque criteri: il loro divario retributivo di genere; la differenza negli aumenti salariali annuali; le differenze di promozione; l’aumento di stipendio al rientro dalla maternità; la presenza di donne in posizioni apicali. Ogni azienda che ottiene un punteggio inferiore a 75 ha tre anni per attuare “misure correttive”, altrimenti viene sanzionata.
Il governo francese pubblica annualmente il rapporto che riassume lo stato delle imprese in termini di parità di genere. I risultati del 2020 sono stati leggermente migliori rispetto all’anno precedente. Il punteggio medio delle società è stato di 85 su 100, in aumento di un punto rispetto al 2019. Le aziende più grandi sono state più virtuose di quelle più piccole. Tra le imprese con più di 1.000 dipendenti, il punteggio medio è passato da 83 nel 2019 a 87 nel 2020. Le imprese con un numero di dipendenti compreso tra 250 e 1.000 hanno visto il loro punteggio medio passare da 82 a 85, mentre quelle con 50-250 dipendenti hanno ottenuto un punteggio medio di 83 nel 2020.
Solo il 2% delle imprese ha ottenuto 100 su 100 e ben 56 imprese, per la maggior parte nel settore manifatturiero, hanno ottenuto un punteggio inferiore a 75 per il terzo anno consecutivo, esponendosi al rischio di sanzioni.
L’indice ha anche evidenziato che la stragrande maggioranza delle aziende si astiene dal concedere alle donne un aumento di stipendio al ritorno dal congedo di maternità. Inoltre, il divario retributivo di genere in Francia è rafforzato dal fatto che le donne hanno maggiore probabilità di lavorare part-time, ben quattro volte di più rispetto agli uomini. Questa probabilità aumenta con il numero di figli: il 40,9 per cento delle donne occupate in una coppia con almeno tre figli lavora part-time, rispetto al 7,8 per cento degli uomini. Un rapporto del 2015, inoltre, ha mostrato che, tra i 2,4 milioni di dipendenti del servizio pubblico, le donne che danno alla luce il loro primo figlio guadagnano in media il 2,6% in meno nei tre anni successivi al parto rispetto alle donne senza figli. Tale divario cresce al 3,5% dopo la nascita di un secondo figlio e al 12,4% per un terzo figlio.
Nel rapporto dell’Eurostat, il divario retributivo di genere della Francia è stimato al 16,5% se si considera lo stipendio medio lordo, ben al di sotto del 28% rilevato se si considerano le 40.000 aziende che partecipano all’indice di uguaglianza del governo. Questo perché l’Eurostat considera nel suo calcolo il settore pubblico, dove a parità di posizione lavorativa, non si hanno differenze di salario. Il dato dell’Eurostat sottostima quindi la reale emergenza in termini di gender gap. Secondo una ricerca della Confederazione europea dei sindacati (ETUC), comunque, anche se il divario retributivo fosse del 16,5%, le donne francesi dovrebbero aspettare più di 1.000 anni per raggiungere la parità di retribuzione.
Questi risultati sono falsati dall’inclusione del settore pubblico, in cui la percentuale di donne è superiore rispetto al privato ed in cui i salari sono stabiliti a livello nazionale. Ed è proprio nel settore pubblico che andiamo a ritrovare uno dei fatti di cronaca che più ha fatto scalpore negli ultimi anni riguardo alla parità di genere.
Nel 2019, il Comune di Parigi è stato multato per ben € 90.000 per non aver rispettato le quote di genere nel 2018, ma, contrariamente a quanto avviene di solito, questa volta perché ha messo troppe donne in “posizioni di comando”. In base all’aggiornamento del 2012 di una legge del 1983, le nuove nomine di alti funzionari in diversi settori devono includere almeno il 40% di uomini e il 40% di donne. Ma nel 2018, secondo un rapporto pubblicato dal Ministero della trasformazione e della funzione pubblica, la città di Parigi ha nominato 16 nuovi direttori e vicedirettori: 11 donne e 5 uomini. Ciò significa che le donne costituivano il 69% della leadership della città. Il rapporto rileva che “questa cifra molto alta contribuisce fortemente ad una maggiore rappresentanza delle donne nei posti di lavoro dirigenziale” nella città, ma “comporta il mancato rispetto dell’obiettivo legale del 40% delle nomine di persone di ogni genere in questi lavori. ” Da qui la multa. Una multa assurda, come ha specificato la sindaca parigina Hidalgo, che sosteneva la necessità di nominare più donne che uomini a nuove posizioni di leadership nel servizio pubblico perché “la Francia è in ritardo” nell’uguaglianza di genere. Questo incidente ha innescato un rinnovato dibattito in Francia sulle quote di genere, che tuttavia secondo alcuni non rappresentano lo strumento migliore per garantire l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro. Infatti, queste potrebbero anche distrarre dal fatto che assumere più donne non rende automaticamente un posto di lavoro più equo. Bisogna prendere in considerazione anche altre variabili, come ad esempio l’equità retributiva, discriminazione, e condizioni di lavoro.
Come contrastare il gender gap?
Guarda l’intervista a Dominique Méda, Université de Paris Dauphine
[1] Per una descrizione delle misure utilizzate nel Global Gender Gap Report, la documentazione completa è disponibile al seguente link: https://www.weforum.org/reports/global-gender-gap-report-2021
Indice dei contenuti \
I quattro report di Mind the Gap