Mens sana in urbe sana. Qualità di vita dei cittadini e qualità della città
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Questo articolo approfondisce i temi del workshop Science for All – MENS SANA IN URBE SANA Qualità di vita dei cittadini e qualità della città” terzo e ultimo appuntamento di un ciclo di tre workshop promosso nell’ambito del progetto Science for All, con l’obiettivo di restituire raccomandazioni di intervento prioritarie affinché le conoscenze scientifiche non restino confinate ai luoghi della ricerca, ma che si trasformino operativamente in strumenti al servizio della scienza e del benessere delle persone.
La relazione fra urbanizzazione e salute
Il tessuto urbano è in continua espansione. Dal 2008, per la prima nella storia dell’umanità, la popolazione mondiale che vive nelle città, rispetto a quella rurale, ha superato il 50%. E questa percentuale è in crescita, secondo le stime indicate dalle Nazioni Unite: nel 2030, infatti, 6 persone su 10 vivranno nei grandi agglomerati urbani; nel 2050 saranno 7. Si tratta di un fenomeno socio-demografico che riguarda anche l’Italia, nelle cui 14 Città Metropolitane oggi risiede il 37% della popolazione nazionale ricompresa in quasi 1.300 comuni di differente dimensione demografica e caratterizzati da alta capacità innovativa e flussi di spostamento. Al contrario, i seimila comuni con meno di 5.000 abitanti amministrano il 54% del territorio nazionale, ma risultano meno dinamici in termini demografici.
Oggi è chiaro a tutti che la salute è una, è globale, è indivisibile. La pandemia ha avuto conseguenze su tutti i livelli di governo, evidenziando ed esasperando, a tratti, limiti e criticità, già noti e irrisolti, nella gestione delle competenze e nel sistema organizzativo. Tuttavia, specialmente presso i Comuni, che sono il terminale più prossimo ai cittadini, si registra la consapevolezza secondo cui pianificare e organizzare i servizi delle nostre città come health city significa plasmare in maniera sinergia le azioni di mandato, con l’obiettivo a tendere di garantire più salute. La tutela della salute assume sempre più una valenza interdisciplinare che si interseca fortemente con i problemi delle città, del territorio, dell’economia.
La tutela della salute oggi implica politica dei trasporti e mobilità dolce, di organizzazione del tessuto urbano, di utilizzazione delle piazze, delle vie e dei parchi per lo sport e l’aggregazione, dell’ambiente e, non da ultimo, della pianificazione di un welfare locale che, pur ascritto a un quadro di riferimento nazionale, dovrò essere fatto di reti e di servizi di prossimità territoriale, adattandosi a singole specificità e bisogni emergenti. È su questi presupporti e con questo obiettivo che nasce, nel 2016, Health City Institute, un think tank, multidisciplinare e intersettoriale, che si dedica allo studio dei temi relativi ai determinanti della salute nei contesti urbani in risposta alla crescente domanda di salute rilevata nelle città.
La sua ambizione è offrire alle Istituzioni e alle Amministrazioni locali un luogo di confronto in grado di trasformare il dibattito pubblico in proposte concrete di public policy, consentendo così alle città di promuovere la “salute in tutte le politiche”, come dettato dall’OMS, per stili di vita sani, che rendano i cittadini meno vulnerabili rispetto alle malattie non trasmissibili e alle fragilità socio-sanitarie, frequentemente dovute a scarsa informazione, comunicazione, pianificazione e cura degli spazi e dell’ambiente entro cui si svolgono le loro vite.
Il Documento fondativo di HCI è il Manifesto “Salute nelle città: bene comune”, una roadmap in 10 punti per la città che diventa essa stessa un bene collettivo, o comune, in quanto luogo ove i cittadini residenti condividono non solo spazi urbani comuni dedicati a parchi, strade e servizi, ma anche cultura, relazioni sociali e, appunto, salute.
Il Manifesto ha come primo sottoscrittore il Presidente ANCI ed è oggi adottato da moltissimi Comuni distribuiti sul territorio nazionale costituendo la principale rete di città nazionale sul tema dell’urban health. L’Italia oggi può essere in prima linea nello studio delle dinamiche urbane correlate alla salute se Istituzioni, Sindaci delle città, Università e Centri di Ricerca, Aziende Sanitarie ed Esperti sapranno interagire attraverso nuovi modelli gestionali e organizzativi e forme virtuose, e non virtuali, evitando la logica dei silos e coordinando la propria azione. Bisogna creare una roadmap su urbanizzazione e salute.
Per aumentare la consapevolezza riguardo le sfide per la salute associate all’urbanizzazione e per affrontare le stesse attraverso una corretta pianificazione intersettoriale, in linea con le raccomandazioni dell’OMS Una roadmap che prenda in esame la maggiore esposizione a fattori ambientali dei cittadini all’interno dei contesti urbani (inquinamento dell’aria, qualità dell’acqua, stato dei servizi di igiene, smaltimento delle acque reflue, ciclo dei rifiuti, etc.) e ne valuti l’impatto come fattori di rischio per la salute. Una roadmap che individui in ogni specifica realtà cittadina le azioni da promuovere per diminuire disparità e disuguaglianze, consentendo a ogni cittadino di godere di una vita in salute.
I Sindaci dovranno guardare alla sempre maggiore urbanizzazione in termini nuovi, comprendendo che il carico di disabilità che le malattie croniche comportano, come naturale fardello, inciderà sullo sviluppo e sulla sostenibilità delle loro città. S’imporrà un nuovo modello di welfare urbano, che va compreso, analizzato e studiato nei dettagli e in tutti i suoi possibili risvolti di benessere e qualità della vita; un welfare che, pur ascritto a un quadro di riferimento nazionale, dovrà essere valutato e implementato nei contesti locali, adattandosi a singole specificità e bisogni emergenti.
Il network internazionale Cities Changing Diabetes, coordinato per l’Italia da Health City Institute, pone l’accento sul ruolo proattivo e consapevole che sindaci e città possono svolgere per affrontare responsabilmente il tema dello sviluppo futuro del Pianeta. Un’alleanza di più di 100 soggetti – tra cui leader di città e personalità governative, mondo accademico, associazioni di pazienti, aziende sanitarie, associazioni di cittadinanza e grandi imprese – collabora secondo un approccio interdisciplinare e attraverso nuove forme di partnership pubblico-privato per disegnare la mappa del diabete nelle città (mapping), per condividere soluzioni (sharing) e per promuovere azioni tese a modificare il trend ascendente del diabete urbano (acting).
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Workshop
La città incantata. Quali città vorremmo nel futuro?
Un approccio integrato per affrontare il tema della salute nelle città implica studiare anche le smart cities, cioè indagare come vivremo le città del futuro. Il loro funzionamento non dovrà basarsi sulla velocità e sulla competizione, ma sulla cooperazione tra persone e servizi e sull’instaurare una circolarità con l’ambiente. L’auspicio è che le città del futuro non siano solo un modello urbano, ma uno spazio di generazione di benessere sociale e individuale, dove per esempio, si sviluppino un’alimentazione e un’agricoltura di prossimità, di qualità e accompagnate da una conoscenza dei processi di generazione del cibo. Una città che racchiude molti spazi verdi e dove le sorgenti d’acqua siano riqualificate; dove si operi un riavvicinamento della sanità di prevenzione ai luoghi del quotidiano: i contesti lavorativi, quelli ricreativi e formativi. Una città in cui gli spazi vengano progettati non tanto su una spinta centripeta di cementificazione, ma guardino alla prossimità dei servizi e alla possibilità di movimento non motorizzato dei suoi cittadini.
Nello slancio verso le città del futuro, occorre fare un esercizio di scenario distopico, per capire quali sono le tendenze che lo sforzo collettivo deve contrastare. In questo sforzo le valutazioni dello stato di salute delle città, tenendo conto anche degli effetti dei cambiamenti climatici sugli spazi urbani, sono certamente importanti. Tuttavia le valutazioni ambientali strategiche non dovranno esaurire l’azione di ricerca su ciò che va implementato per migliorare la salute nelle città. Servono sperimentazioni concrete perché non sempre partire dai Piani di Valutazione è la strategia giusta: non tutte le soluzioni vanno bene per tutti i territori e potrebbe essere più efficace procedere con progetti sperimentali e concreti, anche attingendo ad esperienze passate.
Ma nel futuro non c’è spazio solo per le città in senso stretto, anzi. Alla luce dei fattori socio-economici che già stanno influenzano e aggravano l’urbanizzazione, occorrono degli investimenti politici che cambino il paradigma e che creino nel concreto la possibilità e soprattutto il vantaggio per le persone di rimanere a vivere in contesti periferici e non agglomerarsi nelle città. Se il detto “prevenire è meglio che curare” racchiude un’antica saggezza, lo è anche da un punto di vista economico: è 100 volte meno caro prevenire una pandemia che arginarla una volta sviluppata, anche alla luce dell’incidenza del cambiamento climatico. L’investimento, oltre che tecnico e economico, deve essere culturale.
Maria Grazia Petronio
Un approccio culturale alla promozione della salute nelle città implica anche investire in processi di comunicazione ed educativi in relazione a tutto l’ambiente urbano, più che relegarlo ai dipartimenti di prevenzione medica; sviluppare una formazione che affronti i temi ecologici in tutti i suoi ambiti, più che incardinarli in corsi e programmi a se stanti; infine, diffondere un approccio che mira alla prevenzione dei fattori di rischio, più che agire in uno stato emergenziale.
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Challenging cities
La pandemia ha messo in luce da una parte la fragilità di risposta delle città nella tutela della salute dei cittadini, dall’altra ha cambiato la prospettiva di lettura e il modo di considerare ciò che le città possono e devono offrire. Si pensi, per esempio, all’esperienza di Parigi, la città “dei 15 minuti” che sta tentando di aumentare la quantità e la qualità dei servizi di prossimità per garantire a tutti i cittadini la loro fruizione nel raggio di spostamento di non oltre 15 minuti. Prima della pandemia le nostre economie erano concentrate nei cuori delle città, mentre le periferie scontavano un gap in termini di attrattività e godevano di una presenza meno capillare di servizi. La crisi sanitaria ha, in un certo senso, “mescolato le carte in tavola” e rimesso al centro del dibattito l’urgenza di rilanciare le zone più marginali, mentre i centri urbani sono risultati fragili anche per il diffuso inquinamento, che ha contribuito negativamente alle capacità di risposta immunitaria dei territori, e che ha fatto da cassa di risonanza alla diffusione del virus.Rimettere al centro del dibattito pubblico la salute collettiva risulta necessario anche tenendo in considerazione i trend di urbanizzazione che si prospettano per il prossimo futuro. L’Onu ha stimato che nel 2050 il 50% della popolazione vivrà nei grandi agglomerati urbani ed è molto probabile che l’espandersi degli spazi urbani implicherà l’aggravarsi di molteplici criticità connesse alla salute pubblica.
La forte espansione delle città è solo l’iceberg dei problemi connessi alla salute, che sono trasversali e comuni a tutti i grandi centri. Dal punto di vista dei cittadini, uno dei problemi più sentiti per la vivibilità, oltre ad essere un fattore di rischio per la salute, è il traffico. Il ricorso massiccio all’utilizzo dei mezzi privati ha notevoli conseguenze negative, essendo fonte importante d’inquinamento atmosferico e acustico, oltre che occasione di incidenti. Inoltre, la sedentarietà legata alla motorizzazione degli spostamenti nei contesti urbani incide notevolmente sullo stato di salute degli abitanti, dando vita a comportamenti non appropriati e nocivi. Stiamo assistendo, tra le altre cose, a un progressivo invecchiamento della popolazione nelle città, caratteristica demografica che chiama a gran voce una riconfigurazione dei servizi e una pianificazione mirata.
Anche il tema della sicurezza è un’altra criticità fortemente sentita dalla popolazione ed è strettamente connessa alla percezione della possibilità di movimento, soprattutto in un’ottica di genere. Tutti questi problemi rimandano al tema della disuguaglianza: non tutti i cittadini hanno la stessa possibilità di accesso ai servizi, compresi quelli più strettamente relativi alla salute; non tutti vivono in aree salubri e godibili da un punto di vista estetico; non tutti hanno la capacità economico-lavorativa per vivere una vita degna di essere vissuta nei contesti urbani. La diseguaglianza sembra essere particolarmente declinata alla luce del genere, si pensi alla possibilità di utilizzare i mezzi pubblici in orari serali o la ridottissima fruizione di spazi sportivi comuni da parte delle donne, spesso restie ad entrare in contesti maschili, per evitare di sperimentare forme di violenza. A questo proposito, uno studio condotto nella città di Vienna, ha portato alla luce come i parchi della metropoli siano frequentati nella maggior parte dei casi da uomini e che uno dei motivi dell’assenza delle cittadine è proprio la possibilità di essere destinatarie di molestie.
Pirous Fateh-Moghadam
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Urban Health: la salute dei territori è la salute dei cittadini
Le città però non sono solo un bacino di problemi. Sono anche luoghi di grandi opportunità e di sfide collettive, prima fra tutte quella di assicurare la qualità e la quantità dei servizi legati alla salute. I contesti urbani devono trasformarsi da patogenici a salutogenici, cioè promotori di salute.
Questo è l’approccio dell’Urban Health, un orientamento strategico che integra le azioni di tutela e promozione della salute nella progettazione territoriale, favorendo processi consapevoli e sostenibili di rigenerazione urbana. L’approccio dell’Urban Health mira a definire azioni che possano avere un impatto positivo sulla salute dell’uomo e sulla qualità della vita, sottolineando così la forte dipendenza tra città e benessere fisico, psichico e sociale. Secondo questo approccio, bisogna considerare attraverso uno sguardo integrato le diverse variabili che concorrono alla salute nelle città e concepire risposte in grado di tenere in conto la complessità delle sfide identificate e tralasciare invece quelle risposte che affrontano le criticità in modo settoriale
In questo senso, va benissimo la creazione di spazi verdi ma devono incentivare la partecipazione femminile. Va benissimo l’incremento dei servizi di trasporto pubblico o l’ampliamento di quello privato sostenibile, ma in assenza di possibilità economiche adeguate risultano strategie insufficienti per garantire la fruizione da parte delle fasce più povere. Non bastano splendidi quartieri elitari, ma tutta la città dovrebbe offrire un senso di soddisfazione estetica ai suoi abitanti. Il valore della bellezza dei luoghi risulta emblematico per comprendere come nella riflessione collettiva debbano essere racchiuse anche sollecitazioni che ricadono al di fuori delle aree tematiche più specifiche della salute: dall’estetica del paesaggio, alla riqualificazione delle risorse naturali, fino alla partecipazione della cittadinanza alla definizione delle priorità e delle azioni da intraprendere. In questo quadro, agli attori della ricerca è stata affidata una parte cruciale: identificare risposte adeguate alla risoluzione delle criticità, per contribuire alla resilienza e alla rigenerazione delle città, chiamando a sé molteplici punti di vista.
Il progetto MIND promosso da Arexpo, per esempio, rappresenta un tentativo in cui sperimentare nuovi modi di fare ricerca, di abitare e di stare insieme, a partire dalla riqualificazione del territorio, con l’obiettivo di oltrepassare l’isolamento sociale che le strutture urbanistiche a volte possono favorire. Anche il progetto Cascina si è posto l’obiettivo di riqualificazione e allo stesso tempo di rigenerazione sociale, a Torino. Con le stesse finalità nasce il progetto Manifattura a Rovereto, che ha trasformato l’ex Manifattura Tabacchi in un distretto e centro di innovazione industriale nei settori dell’edilizia ecosostenibile, dell’energia rinnovabile e delle tecnologie per l’ambiente. Infine, nascono nuovi modi di produzione più sensibili all’impatto ambientale, ne è un esempio il primo olio extra vergine carbon neutral , che prevede di compensare le emissioni dovute ai processi produttivi con il trapianto di nuove risorse naturali, in questo caso attraverso la messa a dimora di alcuni alberi a Milano.
Se oggi l’obiettivo è la resilienza urbana, per cui nuove strategie di benessere devono essere messe in pratica, l’architettura non deve tendere alla mera riqualificazione dello spazio ma auspicare alla rigenerazione dell’intero contesto, riattivando anche la dimensione sociale e economica, e misurandone gli impatti: in questo senso l’architecture evidence based design permette di valutare gli effetti degli interventi sviluppati sul benessere cittadino perché, come ricorda Renzo Piano, “la salute non è assenza di malattia ma benessere a tutto tondo: sociale, economico e ambientale”. In questa direzione, la pianificazione urbana deve quindi tener conto del rapporto tra il costruito e i contesti non antropizzati, per preservare l’integrità degli ecosistemi e incrementare quegli spazi generatori di benessere. Una soluzione potrebbe essere quello di formare nuove figure professionali come gli health city manager, che sappiano mettere a sistema conoscenze e discipline diverse: sociali, ambientali, architettoniche ed economiche.
Stefano Capolongo
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Tuttavia, per perseguire una trasformazione universale, potrebbe essere più strategico investire l’intero sistema formativo dei temi ecologici, in modo capillare e traversale. La scuola è un ambito privilegiato di promozione della salute, non solo per la creazione di competenze, ma anche in qualità di spazio fisico prioritario da riqualificare: occorre ripensare, cioè, gli spazi esterni delle scuole e pianificare le città in modo da promuovere lo spostamento verso gli istituti scolastici con i mezzi pubblici.
L’investimento affinché le nostre città siano resilienti deve essere innanzitutto politico. Sono necessarie politiche pubbliche, sia di promozione della salute sia più specificatamente urbane, che in alleanza con le parti sociali private operino in maniera integrata nello sviluppo di stili di vita e socialità sane e che investano in modo strutturato nella ricerca. L’approccio non deve insistere tanto sui comportamenti individuali ma su quelli collettivi, focalizzandosi sui programmi di investimento pubblico che hanno una capacità trasformativa profonda e democratica e che permettano alle città di diventare salutogeniche.
Per operare questa trasformazione è strategico il ruolo dei Sindaci, figure amministrative preposte alla salute dei cittadini, in grado di promuovere una governance di rete e la partecipazione attiva di una pluralità di attori con il medesimo obiettivo. Alla luce di quanto emerso la pianificazione della città deve prevedere un approccio partecipato e multidisciplinare. In questo senso, il coinvolgimento delle comunità è fondamentale nella co-progettazione perché i problemi rilevati dai cittadini possono essere diversi da quelli individuati dai tecnici e degli esperti. La comunità infatti vive i territori, ne percepisce i problemi, ha delle specifiche priorità ed è giusto tenerne conto nella diagnosi generale per una rigenerazione urbana capace di mitigare gli effetti della crisi sociale e di quella ambientale/climatica.
Rosalba D’Onofrio
Raccomandazioni:
Una città, una pianificazione, tanti sguardi
Pianificare le città a partire da una lettura complessa dei fattori di rischio e sulla loro compartecipazione, più che tentare di affrontarli in modo settoriale. Bisogna prefigurare, attraverso la pianificazione integrata delle città, un assetto urbano che crei cooperazione tra persone e servizi e che tenda, oltre alla riqualificazione degli spazi, anche alla rigenerazione culturale e sociale dei tessuti urbani.
Per una cultura della salute
Favorire un approccio culturale e non meramente tecnico per la promozione della salute nelle città, a partire da un investimento formativo che ricada in modo trasversale nei percorsi di Studio. Un’educazione alla salute che proponga un approccio integrato, in grado di investire l’intero contesto urbano e che trasformi gli studenti in portatori di un messaggio e di una cultura del benessere fisico e mentale.
Città sane sono città giuste e accessibili
Promuovere le città come luoghi generatori di salute, non solo in virtù dei servizi che offrono, ma per il ruolo proattivo che rivestono nei processi di incubazione di stili di vita sostenibili. Se questo è l’obiettivo, però, deve essere ben integrata la dimensione di giustizia: aumentare la fruizione degli spazi da parte delle donne; garantire l’accesso ai servizi e alle pratiche di mobilità sostenibile anche alle fasce più fragili.
Hanno partecipato
- Paola Angelini, Regione Emilia Romagna
- Stefano Campostrini, Università di Venezia
- Stefano Capolongo, Politecnico di Milano
- Anna Maria Colao, Università di Napoli
- Rosalba D’Onofrio, Università di Camerino
- Pirous Fateh-Moghadam, Provincia di Trento
- Francesco Forastiere, Imperial College
- Daniela Galeone, Ministero della Salute
- Andrea Lenzi, Health City Institute
- Maria Grazia Petronio, ISDE
- Valentina Possenti, Istituto Superiore di Sanità
- Anna Zanfrà, Rete Città Sane-OMS