La parabola della Repubblica sociale italiana incarna una delle tappe più conflittuali e controverse della storia non solo italiana, ma anche milanese. Innanzitutto perché la Repubblica di Salò non fu solo un tragico esempio di piena collaborazione tra i fascisti e le forze tedesche di occupazione, ma anche uno dei luoghi di maggiore contrapposizione politica, militare, culturale e sociale tra i partigiani – ivi compresi i civili – e ciò che restava dell’Asse italo-tedesco.
La lacerazione provocata dal trauma della guerra civile e dell’occupazione influenza (e preclude) ancora oggi l’elaborazione di una memoria nazionale comune, ma ciò non significa che la storia e i ricordi debbano continuare a percorrere strade parallele. In questo senso esplorare una città all’epoca occupata consente di comprendere meglio il rapporto tra occupante e occupato, tra militari e civili, tra vittime e carnefici nello spazio urbano della metropoli. Milano fu teatro di arresti, internamenti, deportazioni e violenti bombardamenti. Come se non bastasse, la città mise in scena l’inizio e la fine – almeno metaforica – dell’intera storia politica di Mussolini in camicia nera. Dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento (23 marzo 1919) all’esposizione del suo cadavere in piazzale Loreto, passando attraverso il suo ultimo arrivo a Milano (17 aprile 1945) dopo il crollo della linea Gotica, in cerca di una disperata salvezza. Milano fu, in altre parole, il ventre da cui il fascismo venne alla luce, ma anche il cuore della liberazione dal nazi-fascismo e della fine della Seconda guerra mondiale in Italia. Ma fu anche luogo di piccole storie quotidiane che contribuirono a restituire umanità a un elemento – la guerra – che di umano in sé non può vantare nulla.
Il chiaroscuro tra l’umanità di molti milanesi (e molte milanesi) e la disumanità della guerra emerge, ad esempio, dal ricordo di avventure come quella di Pino Lella, un giovanissimo milanese il quale – risucchiato dal vortice della Seconda guerra mondiale – divenne l’autista personale del generale tedesco Hans Leyers, all’epoca responsabile degli armamenti e della produzione bellica del Terzo Reich nella Rsi. La sua attività di spionaggio, messa al servizio degli Alleati, consentì di condurre all’arresto di uno dei più potenti uomini del nazismo nel Nord Italia, ma anche alla nascita ancora abbastanza recente di un romanzo di successo negli Stati Uniti. La storia di Pino Lella, infatti, venne raccontata nel 2017 da Mark Sullivan nel suo Beneath a Scarlet Sky (nell’edizione italiana, L’ultimo eroe sopravvissuto).
Esistono altre storie di scioperi, rivolte, sabotaggi, così come i ricordi dei parenti di chi scrive.
Nelle fasi più critiche dell’occupazione, ad esempio, sui balconi comparvero piccoli orti e piante per ricavarne un minimo di sostentamento. Nel quartiere del Bottonuto i bambini si fermavano a guardare i giocolieri, mentre gli adulti si indaffaravano nella preparazione della farina di ceci.
Ognuno di questi luoghi costituisce oggi una tappa, una stazione, da percorrere lungo i binari della storia. All’angolo tra via Silvio Pellico e via Santa Margherita, ad esempio, esisteva l’hotel Regina. Chi non può ricordare cosa accadde a Milano tra il 1943 e il 1945, pertanto, ignora che quell’edificio costituiva il quartier generale delle terribili SS naziste. Invece a palazzo Carmagnola, a quel tempo sede del Comando e dell’ufficio politico della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”, vennero interrogati e torturati i prigionieri. Allo stesso modo non fu breve l’agonia di coloro che, nel carcere di San Vittore o negli spazi di villa Fossati (ribattezzata per questo “triste”), si rifiutarono di denunciare i loro compagni e le loro compagne resistenti. Nel contempo, però, non mancarono i contributi di coloro i quali – rischiando la propria vita – misero a disposizione le proprie competenze e le proprie abitazioni per contrastare le forze di occupazione alleate dei fascisti. Fu il caso, ad esempio, degli avvocati Veratti e Della Giusta.
Ma in quel biennio, occorre rimarcarlo, si consumò anche l’agonia politica di Mussolini, culminata nel celebre discorso della (presunta quanto improbabile) “riscossa” del 16 dicembre 1944 al teatro Lirico. In quel frangente, nel disperato tentativo di rovesciare le sorti della guerra – e del fascismo – l’aura di Mussolini, un tempo luccicante tra gagliardetti e mostrine, si spense tra le acque “klingosoriane e semi-tropicali” (così pare le avesse definite Filippo Anfuso, ex ambasciatore della Rsi a Berlino) del lago di Garda. Il repubblicanesimo in salsa fascista, il quale non esitò a trascinare verso di sé alcuni tra i più grandi eroi risorgimentali come Giuseppe Mazzini, prese in realtà le sembianze più terrificanti e vergognose del binario 21 della Stazione centrale, dal quale partirono convogli carichi di ebrei.
Il passo, dal manifesto di Verona (14 novembre 1943) alle prime partenze, fu assai breve. In forza di quel provvedimento, infatti, gli appartenenti alla “razza” (così si definiva) ebraica vennero dichiarati “stranieri” e, come tali, trattati.
A loro carico vennero disposti provvedimenti come l’arresto, l’internamento e il sequestro di tutti i loro beni. Furono i mesi in cui i razzisti e gli antisemiti della prima ora – come Giovanni Preziosi – poterono dare sfogo alla loro vena persecutoria più violenta. San Vittore, già luogo di detenzione e di tortura, divenne anche un centro di transito verso i lager per gli ebrei milanesi e quelli catturati nei dintorni. Non solo, ripercorrendo la drammatica vicenda di Liliana Segre, san Vittore divenne anche il punto di concentramento degli ebrei intercettati sul confine con la Svizzera. Oggi esiste un memoriale a ricordare quell’immane tragedia, ma in città si aggirano ancora i “fantasmi” di ex gerarchi e legionari consegnati all’oblio dall’odonomastica del secondo dopoguerra.
In piazza Novelli (ex piazza Italo Balbo), ad esempio, esiste ancora il palazzo dell’Aeronautica – un tempo sede della “Squadra azzurra” – dove vennero torturati e fucilati alcuni sospettati di attività patriottica. Ai Bastioni di Porta nuova (ex viale Mario Mina) riecheggiano gli oscuri fasti dello squadrismo antemarcia che spinse tanti – come il legionario Mario Mina – a confluire convintamente nel movimento fascista. Rivivere anche solo alcune di queste tappe – magari passeggiando attraverso Milano – non significa solo mantenere viva la memoria, ma anche rendere un omaggio sincero e discreto a tutti i milanesi e le milanesi che combatterono per una società assai più libera e democratica di quella che, sino a quel momento, era stata loro concessa.
L’autore desidera ringraziare Clara Belotti, Emanuele Edallo e Tommaso Rossi per la loro collaborazione.
Bibliografia di riferimento
- Cenati, R., Milano: i luoghi del terrore nazifascista, Anpi, Milano, 2013;
- Colombo, E., Modena, A., Scirocco, G., Il nostro silenzio avrà una voce. Piazzale Loreto: fatti e memoria, Il Mulino, Bologna, 2021;
- Franzinelli, M., RSI: la Repubblica del duce, 1943-1945, Mondadori, Milano, 2008;
- Franzinelli, M., Il prigioniero di Salò: Mussolini e la tragedia italiana del 1943-1945, RCS Mediagroup, Milano, 2020.
- Ganapini, L., La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Garzanti, Milano, 1999;
- Perretta, P.A. (a cura di), Mappa della Memoria. Como 1943-1945, Fascismo e Resistenza. Occupazione tedesca, scioperi, lotte e repressione, Istituto di Storia Contemporanea, 2009;
- Rainero, R.H., Propaganda e ordini alla stampa. Da Badoglio alla Repubblica sociale italiana, Franco Angeli, Milano, 2007;
- Rastelli, A., Bombe sulla città: gli attacchi aerei alleati, le vittime civili a Milano, Mursia, Milano, 2004;
- Sullivan, M.T., L’ultimo eroe sopravvissuto, Newton Compton, Roma 2018.