Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Rovesciare la piramide?

La rivoluzione digitale ha cambiato in profondità le nostre vite. Anche nel campo dei beni culturali è d’obbligo interrogarsi sulle ricadute della terza rivoluzione non solo e non tanto nel merito dell’applicazione delle nuove tecnologie al trattamento delle fonti archivistiche e bibliografiche, quanto sulla collocazione del patrimonio nel nuovo ecosistema. Passaggio culturale che impone un riesame sia dall’interno (chi siamo e cosa vogliamo fare), sia dall’esterno (come siamo percepiti) in un sistema a rete che ha assunto una dimensione planetaria.

Uno dei principali problemi nella gestione di patrimoni archivistici e bibliotecari riguarda la consistenza deiGeorgepeabodylibrary beni culturali posseduti, con tutte le criticità connesse all’accoglienza dei fondi (per la quale è necessario disporre di spazi incrementabili), al loro trattamento (inventariazione e catalogazione richiedono risorse), all’individuazione delle priorità (è noto come la programmazione possa variare in ragione di nuove esigenze), ai vincoli che i documenti, in particolare quelli novecenteschi, pongono in termini di diritti e copyright.

Tra le conseguenze più evidenti che emergono da questo quadro, risalta l’inevitabile parzialità della conoscenza delle fonti: un fondo d’archivio o una sezione bibliografica che non sono stati catalogati e resi disponibili in rete è come se non esistessero. Lo stesso fenomeno si osserva peraltro nel web allorché un navigatore poco provveduto interpreta la risposta negativa di un motore di ricerca come la conferma decisiva che l’oggetto della ricerca non esiste.

Come trattare allora in modo ottimale le risorse archivistiche e bibliografiche nell’era digitale? Una risposta è stata proposta da un media guru come Jeffrey Schnapp, direttore del metaLAB, laboratorio fortemente innovativo dell’Università di Stanford poi trasferito presso l’Università di Harvard. Schnapp è uno dei più convinti assertori di una rifondazione delle scienze umanistiche in direzione delle digital humanities: esse propongono nuovi modelli di ricerca che prevedono in primo luogo il ricorso al laboratorio multidisciplinare dove si lavora in team con risorse iperspecializzate, la consapevolezza della fluidità dei media digitali rispetto a quelli analogici (aggiornamento, iterazione e interattività) che conduce, in realtà, all’ibridazione tra i due, e infine l’attenzione a supporti e formati diversi dal testo (audio, video, immagini…), che nella gestione tradizionale del patrimonio non stati quasi mai considerati con la dovuta attenzione. Naturalmente anche il paradigma delle digital humanities non può prescindere dalle risorse che provengono dalla progettazione e dagli sponsor.

Le conseguenze di questo approccio indicano un aspetto ancora più interessante: le digital humanities si configurano, in buona sostanza, come un modello democratico e partecipativo, per dirla con Schnapp come «una nuova cultura pubblica» dove vengono sfruttate a fondo le possibilità offerte dalla rete al fine di allargare la diffusione della conoscenza mettendo a disposizione sul cloud fonti e supporti personalizzabili secondo le proprie specifiche esigenze di ricerca. Per la fruizione dei beni culturali il pattern partecipativo è quasi una rivoluzione copernicana e conduce a quel capovolgimento della piramide (il modello tradizionale, ricorda Schnapp, prevede alla base la conservazione dei dati, al livello superiore lo strato di informazioni e di strumenti prodotti dagli archivisti e dai bibliotecari, poi le conoscenze generate dagli studiosi e infine, al vertice, il sapere ricavato dall’intero processo) che colloca alla base un’ampia comunità impegnata a produrre contenuti, dati e informazioni fino a raggiungere, applicato il filtro degli esperti per prevenire la conservazione irrelata e indiscriminata, la destinazione finale: l’archivio come «essere vivente».

Vittore Armanni
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli


Approfondimenti

patrimonio

In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, sabato 19 settembre la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli si apre al pubblico.
Durante la giornata saranno organizzate, a partire dalle 10.30, visite guidate al patrimonio della Fondazione, una piccola mostra bibliografica sul tema “Cibo e Cultura”, e infine, la proiezione di due capitoli del documentario Le custodi della terra, realizzato nell’ambito di Laboratorio Expo. Nel corso della proiezione interverrà Federica Riva, ricercatrice di Laboratorio Expo, che presenterà al pubblico “A casa dopo il raccolto” e “Semi di casa”, due brevi etno-documentari che raccontano
il rapporto delle donne himalayane con la terra come fonte di sussistenza
e autonomia da proteggere.

 

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