Le risorse sono ciò di cui l’essere umano dispone per soddisfare i propri bisogni. E dunque risorse materiali, ma poi lavoro, che genera risorse, economia che si propone di organizzarle.
Le risorse, tuttavia, sono anche il segno della potenza. Lo scambio economico avviene sempre in maniera impari: qualcuno che detiene risorse le scambia con monete, servizi, beni – a seconda che si muova in un’economia monetaria o in una naturale. Il principio da entrambe le parti contraenti è non perderci. È il primo postulato che fonda l’agire economico: alla base di qualcosa che identifichiamo come risorsa e che vogliamo, sta il fatto che essa ha un valore per noi che non l’abbiamo. Chi la detiene, proprio per la desiderabilità che essa ha, pensa di poterla scambiare con profitto perché non è equamente distribuita.
La scarsità delle risorse è dunque una leva dell’economia ed è stata pensata come il motore generativo della ricchezza.
Non è l’unica immagine legata al termine “risorsa”.
A lungo si è creduto che le risorse fossero quelle presenti, e che il loro utilizzo fosse finalizzato a un benessere migliore. Utilizzo e sfruttamento delle risorse, insieme a progresso, sono state parti essenziali di un processo che veniva identificato con il miglioramento. Un concetto e, soprattutto, una pratica che non prevedevano il contenimento dell’uso, perché la logica che le connetteva era la soddisfazione immediata o prossima. Il miglioramento si delineava come una linea progressivamente ascendente e potenzialmente infinita.
La crisi energetica negli anni ’70 ha simbolicamente rappresentato un momento di resa dei conti. Sistema economico e stili di vita dovevano ripensarsi.
Non si trattava solo di consumare meno, ma anche di riorganizzare la produzione e di valorizzare risorse fino allora neppure considerate tali.
Cambiavano i comportamenti propri del ciclo di vita della società industriale classica: la durata del tempo di lavoro, la durata del ciclo di vita, la necessità che siano mantenuti i benefit acquisiti nella precedente età della inesauribilità delle risorse utilizzate senza precauzione.
Una società sempre più anziana si sostituisce a una che a lungo era stata segnata dal ricambio generazionale veloce con effetti a catena che non hanno inciso solo sulla conservazione delle risorse materiali, ma anche su come utilizzare, e dunque non marginalizzare i giovani, forse oggi la risorsa più a rischio di spreco, di non utilizzo o di sottoutilizzo o, alla rovescia, di sovrasfruttamento al minimo delle garanzie.
Contemporaneamente è cambiata e si è ulteriormente allargata la lista di ciò che identifichiamo con il termine di “risorsa”. Le risorse da allora sono diventate altre variabili che non avevamo preso in considerazione: l’ambiente, il paesaggio, le tecniche, i lavori diventati marginali. Il complesso di ciò che si chiama “patrimonio immateriale”. Un concetto e un’attenzione che si formulano a partire dagli “anni doppiozero” di questo secolo e che riguardano le tradizioni orali, le lingue, le arti performative, le pratiche sociali e rituali, le conoscenze e le pratiche che riguardano la natura e l’universo.
Tutti segni che non esprimono solo ciò cui ora diamo valore. Ma anche sollecitano un diverso modo, forse più complicato, di pensare l’idea e i contenuti di “bene collettivo”. Insomma di riconoscere lo status di risorse a oggetti, e trasformandoli in “beni”. Materiali e immateriali, tangibili e intangibili.
David Bidussa
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli