Com’è tristemente noto, oggi, in Italia, 300.000 posti di lavoro sono inoccupati a causa della mancanza delle competenze necessarie. Abbiamo davanti la sfida – il dovere anzi – di ridurre questo scarto tra richieste della produzione e competenze generate nei territori, tenendo insieme innovazione tecnologica e formazione del capitale umano. Si tratta di un processo destinato a durare nel tempo, per favorire e costruire competenze di base di elettronica, di robotica, di trasformazione digitale.
Un secondo dato, questa volta positivo, riguarda invece le risorse stanziate dal PNRR per il rafforzamento delle Politiche Attive per il Lavoro, per l’ampliamento delle competenze e lo sviluppo del sistema di formazione professionale terziaria (Its). La sfida, in questo caso, è quella, al di là delle risorse, d’implementare progetti condivisi, creando infrastrutture e sistemi di governance che consentano nel lungo periodo di avere un mercato del lavoro più moderno e competitivo.
Nel corso del 2020, Fondazione Leonardo Civiltà delle Macchine e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli hanno promosso il ciclo di incontri «Tempi Moderni 2030», riportando l’attenzione sulla centralità della manifattura per il nostro paese: nonostante il processo di parziale deindustrializzazione, che ha causato l’emergere di numerose fragilità territoriali e la disarticolazione delle relazioni sociali, il comparto manifatturiero continua a rappresentare un motore di progresso. «Tempi Moderni 2030» ha dunque cercato di individuare nuovi indirizzi di sviluppo sostenibile, a partire proprio dalla tabula rasa lasciata dalla crisi del Covid-19. Il ciclo di incontri realizzato nel 2020 ha toccato Genova, Napoli e Taranto, tre città che, più di altre, rappresentano questo momento di transizione fra il vecchio e un nuovo modello che già si intravede, ma va ancora completato, reso solido e propulsivo. Il ciclo ha offerto uno sguardo sul presente dal punto di vista delle polarizzazioni di classe, dell’assottigliamento del ceto medio e dei conflitti che oggi investono i territori, tutti fenomeni che contribuiscono a rimodellare le identità collettive e le forme di produzione e lavoro.
Il nuovo ciclo pubblico «Tempi Moderni 2050» ha le sue ragioni fondamentali proprio in questa doppia sfida: intende portare al centro del dibattito il tema dei distretti industriali, analizzando la tradizione manifatturiera e artigianale italiana, ma sottolineando l’importanza delle competenze per creare nuove reti produttive che favoriscano la contaminazione tra ricerca e formazione, da un lato, e la realtà produttiva dei territori, dall’altro. Attraverso la creazione di «distretti delle competenze» è possibile riattualizzare le tradizioni che appartengono alla memoria storica del lavoro – insieme al suo patrimonio materiale e immateriale – rilanciando la crescita sostenibile di territori attraverso percorsi professionali aggiornati per le nuove generazioni, soprattutto sfruttando le potenzialità del digitale. Nel contesto del ciclo, il sistema della formazione secondaria – e in particolare il ruolo degli Istituti Tecnici Superiori – riveste un ruolo di cruciale importanza come ponte di collegamento tra scuola e industria. L’obiettivo di Tempi Moderni 2050 è quello di diffondere tra gli attori politici e sociali la consapevolezza della necessità di un cambiamento di paradigma produttivo, capace di rivitalizzare le tradizioni dei distretti industriali italiani attraverso un nuovo modello di valorizzazione del capitale umano e sociale.
La prima tappa di Tempi Moderni 2050 sarà a Varese. La provincia di Varese, da sempre definita “multidistretto produttivo”, rappresenta una realtà territoriale con un diffuso spirito imprenditoriale che si è concretizzato nei più diversi settori economici. Nel corso del dopoguerra, Varese ha visto lo sviluppo dell’industria tessile e di quella metalmeccanica. Oggi la provincia rappresenta un polo di eccellenza per il settore dell’aerospazio, con un sistema integrato di imprese, università e centri di ricerca dotato di competenze tecnologiche d’avanguardia. Ci interrogheremo su quali siano i vantaggi del modello dei distretti in un settore ad alta tecnologia come l’Aerospazio, e in che modo la grande impresa può integrare e guidare la sviluppo di nuove reti produttive.
La seconda tappa sarà quella di Lecce. Il Distretto Produttivo sulle “nuove energie” della Regione Puglia si avvale della presenza di più di 200 imprese, oltre ad associazioni, sindacati, università, che sono impegnati nella realizzazione di programmi di ricerca e di progetti per innovare e sviluppare le filiere nel settore delle energie rinnovabili. Un esempio del ruolo che i distretti possono giocare come volano della transizione verde.
La domanda che ci faremo sarà: qual è il percorso che – fra cultura della sostenibilità e integrazione fra mondo produttivo e formazione – ha permesso di immaginare un distretto verde?
La tappa conclusiva sarà a Bologna. L’Emilia-Romagna rappresenta una delle patrie storiche del modello dei distretti industriali, in cui le risorse imprenditoriali e i giacimenti di conoscenza del territorio sono state in grado di creare plusvalore tecnologico e organizzativo per il territorio; non a caso, la regione è dotata di un’importante rete di saperi politecnici, con 12 ITS ritagliati sui distretti merceologici e produttivi di eccellenza. La domanda che ci facciamo è: a partire da questa rete di saperi sedimentati, come mantenere la sinergia fra patrimonio produttivo e formazione, e in quale direzione innovarla, così da trattenere sul territorio le risorse umane necessarie a garantirne lo sviluppo?
L’Agenzia per la coesione territoriale ha recentemente pubblicato un avviso per la manifestazione di interesse per la candidatura di idee progettuali da ammettere al finanziamento di interventi di riqualificazione e rifunzionalizzazione di siti per la creazione di ecosistemi dell’innovazione nel Mezzogiorno. Questo rappresenta, come abbiamo visto, seppur con un profilo più nazionale, il cuore di riflessione di Tempi Moderni. In breve, è importante domandarsi quali sono gli attori che possono fare sviluppo nei territori? Quanto contano gli investimenti e quanto conta la capacità degli attori locali di orientare scelte strategiche concertate con le istituzioni? Può lo sviluppo, soprattutto quello orientato alla sostenibilità, passare attraverso politiche partecipative nella gestione dei beni comuni? Quanto la collaborazione tra amministrazioni, soggetti d’impresa, realtà dell’innovazione sociale può favorire la “coscienza di luogo” e la rivitalizzazione delle comunità?
L’ambizione, insomma, è che alla fine del percorso Tempi Moderni 2050 avremo posto le basi per rispondere ad almeno alcune di queste domande.