Antropologa e ricercatrice

Anche a Roma il 3 e 4 ottobre si svolgeranno le elezioni per rinnovare il Consiglio comunale e l’Assemblea capitolina, eleggendo il nuovo sindaco e i nuovi presidenti dei 15 Municipi. Saranno delle elezioni particolarmente importanti e cruciali, poiché i nuovi amministratori saranno posti di fronte sia a problemi annosi, che hanno a che fare con la tradizionale complessità della città eterna, sia alle contraddizioni più recentemente emerse con la crisi pandemica.

 

LA CITTÀ DELLE DISEGUAGLIANZE

Una delle principali partite su cui si gioca il futuro della città (non soltanto in termini elettorali) riguarda le consistenti disuguaglianze socioeconomiche presenti, in particolare nelle zone più a ridosso del Grande Raccordo Anulare. Già i dati INPS sulla distribuzione di Reddito e Pensione di Cittadinanza relativi al periodo aprile-ottobre 2019 mostravano come le prime dieci aree romane per incidenza di domande accolte fossero le più periferiche e maggiormente caratterizzate dalla presenza di consistenti nuclei di case popolari o borgate ex abusive, a dimostrazione della storica e consolidata tradizione di vere e proprie “enclave della disuguaglianza” (Mappa Roma). Quella del reddito e della sua diseguale distribuzione tra centro e periferie, aggravatasi a seguito della pandemia anche per via dell’emersione di nuove povertà (Caritas Roma 2020), rappresenta senza dubbio una delle maggiori sfide dei prossimi anni, per la quale alcune forze politiche stanno ragionando e proponendo l’ipotesi di un reddito di base municipale (Fanpage) sull’esempio di Barcellona e altre città.

 

CASA, DOLCE(AMARA) CASA

Roma soffre poi almeno dal secondo dopoguerra di una cronica e pervasiva emergenza abitativa. Nonostante il Covid e un blocco fissato a livello nazionale, soltanto nel 2020 sono stati almeno 4.841 i provvedimenti di sfratto eseguiti (Roma Today). Il più delle volte il problema della scarsa risposta alla domanda abitativa si è infatti tradotto in una complessa e poco efficace programmazione e gestione del patrimonio edilizio esistente, a cominciare da quello pubblico (Osservatorio Casa Roma), che ha costretto diversi nuclei in disagio abitativo a rivolgersi al mercato privato – al punto tale che nel maggio 2020, in piena pandemia, il comune di Roma ha ricevuto quasi 50 mila domande per il contributo all’affitto di cui un terzo provenivano da chi abitava in affitto privato (Internazionale). Per questa e altre ragioni, in una città che storicamente e socialmente parlando non è mai stata industriale né a prevalenza operaia, il tema dell’abitare è anche quello in cui si registrano oggi le maggiori mobilitazioni e conflitti sociali, così come le sperimentazioni e progettualità innovative più interessanti – principalmente legate a esperienze informali, come quelle delle occupazioni a scopo abitativo dei movimenti di lotta per la casa.

La questione abitativa rappresenta dunque una delle questioni che più ha condizionato lo sviluppo e l’organizzazione della città, ponendo ancora oggi problemi di recupero della città abusiva (Internazionale). Tuttavia, a incidere sono anche i diversi nuovi fenomeni nati negli ultimi anni come la precarizzazione del lavoro, l’aumento della povertà relativa e assoluta (Caritas Roma 2018, 2019, 2020) e la composizione degli attuali nuclei familiari, che vede un incremento di single (41,2%), coppie senza figli (18%) e una conseguente riduzione delle coppie con figli (30,3%) e che richiederebbe una riflessione sui tagli abitativi attuali dello stock di patrimonio  pubblico che tenga conto anche dell’invecchiamento della popolazione e dei nuovi stili di vita (Roma Ricerca Roma).

 

INFORMALE = CRIMINALE?

Per le passate (e future) amministrazioni romane è però quella della cosiddetta informalità a rappresentare una delle questioni più controverse e complesse. Costantemente stretta nella narrazione binaria tra criminalizzazione/decoro (Corriere della Sera) e pratiche di welfare dal basso (Menabò Eticaeconomia), nella Capitale parlare di informale significa effettivamente parlare di due ordini di fenomeni molto differenti tra di loro. Da una parte quello delle aree abusive sorte ai margini della città nel corso dei decenni, inizialmente nate per dare risposta al problema casa e poi divenute un vero e proprio sistema di costruzione della città anche a causa dei condoni edilizi dell’ultimo trentennio. Al tempo stesso, parlare di città informale significa però anche parlare della cosiddetta città degli invisibili (Mappa Roma), ovvero quella degli interstizi, dei senzatetto, dei migranti, dei richiedenti asilo e rifugiati.

A tale proposito, con l’avvio della crisi pandemica sia il circuito dell’accoglienza ufficiale che quello parallelo all’amministrazione (come per esempio le parrocchie o le associazioni che non lavorano in convenzione con Roma Capitale) si sono trovati in seria difficoltà, in particolare per via delle norme di contingentamento che hanno reso gli spazi a disponibilità ancora più limitata e con una scarsa dotazione di dispositivi di sicurezza (INMP – Indagine nazionale CoVid-19 nelle strutture del sistema di accoglienza per migranti). Tra le realtà che più si sono attivate nell’assistenza a persone vulnerabili ci sono senza dubbio MEDU – Medici per i diritti umani, presenti anche in contesti urbani come la stazione Termini e alcune occupazioni abitative; il centro di accoglienza per senza fissa dimora Binario 95, che durante la pandemia ha intensificato il suo lavoro con una nuova Unità di Strada e altri importanti servizi sociosanitari; la Comunità di Sant’Egidio, che lo scorso 6 luglio ha inaugurato un nuovo centro vaccinale per persone fragili (Sir) e l’associazione Baobab Experience, da anni impegnata nel fornire assistenza e allestire campi informali per transitanti e richiedenti asilo costretti a vivere in strada, che negli anni ha subìto diversi sgomberi senza soluzioni alternative da parte dell’attuale Amministrazione capitolina – l’ultimo dei quali risale soltanto allo scorso 14 luglio, in piena pandemia (Baobab Experience).

In più, con l’avvento dell’emergenza sanitaria si sono create nuove forme di vulnerabilità socioeconomica (Internazionale) che hanno reso necessaria la nascita di ulteriori esperienze di mutualismo dal basso. In materia in particolare di distribuzione alimentare e prodotti di prima necessità, sono nate nuove reti solidali (Solid Roma) o si sono rafforzate quelle già esistenti (Nonna Roma), composte da diverse realtà autorganizzate o del terzo settore disseminate in tutti i municipi romani. Oltre a queste, tra le più attive ci sono sicuramente la Libera Assemblea di Centocelle (La Repubblica), il progetto Portici Aperti nel rione Esquilino (La Repubblica) e la piattaforma Municipio Solidale, un’iniziativa del Municipio VIII volta ad aiutare la cittadinanza dall’inizio dell’emergenza (Il Manifesto).

 

CHE FARE?

La pandemia, tra lockdown e distanziamento sociale, ha inevitabilmente causato (e in alcuni casi accelerato) un cambiamento nell’uso di spazi e luoghi urbani di cui la prossima o il prossimo sindaco dovrà necessariamente tenere conto. Da un punto di vista più sistemico, tuttavia, più che far emergere problematiche inedite, il Covid sembrerebbe più che altro aver accentuato quelle già in atto da diverso tempo. Anche per questo motivo recentemente sono emerse nuovamente “vecchie” proposte politiche che potrebbero soddisfare anche le esigenze attuali, come la costruzione di poli civici (o case della comunità territoriale), come previsto anche dalla Legge Regionale n.11/2016 (art. 33 comma w). Questi andrebbero infatti realizzati in collaborazione tra istituzione locale e mutualismo (volontariato, associazionismo, centri sociali, cooperative sociali) e rappresenterebbero un modo per promuovere partecipazione e sviluppo locale a partire da esperienze di co-progettazione – e svincolando così tali processi dalle dinamiche di bando.

 

Ricucire il tessuto sociale e urbanistico tra il centro e le cosiddette periferie, riducendo oltretutto gli effetti dello spatial mismatch (ovvero della discrepanza tra il luogo in cui risiedono le famiglie a basso reddito e le opportunità di lavoro adeguate) è sicuramente una delle questioni politiche più urgenti – se è vero che le questioni urbanistiche sono sempre anche politiche, dunque strettamente legate a uno o più determinati modi di intendere la società e la gestione degli spazi e delle risorse. Il futuro di Roma si gioca insomma su tante partite diverse, tutte però collegate da un unico filo: la capacità di re-immaginare, prima ancora di progettare, una città il più possibile equa tra tutte le sue parti, che sappia arginare le sue diseguaglianze e scegliere di puntare sulla coesione socio-territoriale.

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