New York University e Agora Europe

08-08-1991

A trent’anni dallo sbarco dei cittadini albanesi a Bari, l’Europa resta impermeabile al fenomeno umano delle migrazioni. Le politiche di esternalizzazione delle frontiere bloccano le persone in movimento ai confini. Dai lager libici ai centri di detenzione alle Canarie, dai campi in Bosnia al Mediterraneo cimitero, dalle mura alte 6 metri a Ceuta e Melilla ai tunnel di Calais, le persone in movimento vengono respinte fuori, nelle periferie e nelle isole lontane della Fortezza Europa.

Fondazione Feltrinelli si propone si riraccontare gli eventi di quell’8 agosto 1991, per ricordare il viaggio della Vlora, trent’anni dopo, a Bari, e riflettere sui processi di integrazione attuali, insieme ai rappresentanti delle amministrazioni locali e alla società civile, offrendo così un’occasione di dialogo e di incontro fra le prospettive tanto dei migranti quanto dei cittadini. L’evento, “Il lungo viaggio dei diritti. Bari: A trent’anni dallo sbarco dei cittadini albanesi”, organizzato in collaborazione con la Città di Bari e con l’Associazione One Bridge to Idomeni, si svolgerà questa Domenica 8 agosto al Teatro Piccinni. Ad esso parteciperanno Guido Ruotolo, Eva Karafili, i Sindaci di Bari, Tirana e Durazzo, l’Ambasciatore italiano a Tirana e tanti altri. L’iniziativa fornirà anche l’occasione del lancio del nuovo progetto EU-MED (Engaging citizens in Understanding Migration through cross-border Exchange and intercultural Dialogue: Towards dignified EUro-MEDiterranean narratives on migration), promosso dalla Fondazione Feltrinelli insieme ad Agora Europe e ad altri partner europei, che ha recentemente ottenuto il finanziamento Europa per i Cittadini della Commissione Europea. L’evento di inaugurazione del progetto EU-MED “Acqua come frontiera” si svolgerà invece a Palermo, i prossimi 18 e 19 agosto, Giornata Mondiale Umanitaria, e ospiterà i contributi del portavoce dell’Ufficio per il Coordinamento del Mediterraneo dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), della campionessa mondiale di apnea Alessia Zecchini, del velista dell’anno Simone Camba, e dei rappresentanti della società civile e delle ONG che operano soccorso in mare. Ad aprire la serie di agora pubbliche il 18 agosto a Sant’Erasmo saranno il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando e Moni Ovadia, con l’intervento “Acqua di vita, acqua di morte”.

I temi della mobilità umana, del salvataggio in mare e della protezione degli oceani si collegano tutti a questo elemento vitale, in continuo movimento, emblema del viaggio, che tuttavia negli ultimi decenni si associa spesso all’opposto della vita, del movimento, all’estenuante attesa, ai naufragi invisibili.

Acqua significa navigazione, viaggio, orizzonte, ed il senso dell’acqua assume forme diverse, a seconda della prospettiva geografica da cui si guarda quell’orizzonte che è il mare, l’oceano. EU-MED si propone di raccontare l’Europa dall’altra parte, da oltreoceano e oltreconfine. Le undici iniziative che avranno luogo in quattro paesi europei (tre delle quali in Italia, a Palermo, Milano e Brindisi) sono volte a creare occasioni di dialogo, per fungere da ponte e connettere realtà differenti, sulla frontiera in cui il tema del salvataggio in mare si interseca al mondo della navigazione e delle migrazioni, coinvolgendo anche il mondo della ricerca.

La serie EU-MED affronta il tema dell’acqua come frontiera insieme a chi il mare lo vive ogni giorno, e insieme a ricercatori, attivisti, parlamentari ed europarlamentari, in un momento cruciale come quello della discussione e implementazione

  • del Global Compact on Migration promosso dall’OIM, a livello globale;
  • del Nuovo Patto Europeo su Migrazione e Asilo proposto dalla Commissione Europea, a livello europeo;
  • e delle Nuove leggi immigrazione in Italia che sono andate a sostituire i decreti sicurezza e sicurezza bis con importanti conseguenze per il salvataggio in mare.


L’Europa è nata come progetto di pace, ma adesso c’è chi, come Etienne Balibar, co-fondatore di Agora Europe, parla di genocidio nei mari, e fino a quando i genocidi accadevano nel Mediterraneo, restavano in un qualche modo ancora visibili, ma adesso si svolgono di nuovo anche nell’Atlantico, ed è chiaro che ciò che avviene nell’Atlantico lo vediamo ancora meno, lo sentiamo meno da vicino, perché è molto più lontano da noi, ed è uno spazio molto più vasto in cui i numeri divengono invisibili. L’immagine del Mediterraneo cimitero riusciva, anche se ancora troppo poco, a sconvolgere gli animi, ma ora che i naufragi avvengono in pieno Atlantico, non c’è nessuno a guardare. Come ci diceva Giovanni Soldini in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua (“In mare prima si salva poi si ragiona”), “in mare nessuno ti vede”.

Tale è la condizione che vivono tutti i naufraghi in mare attualmente, dalle nostre coste fino alle Canarie, così come in Australia, dove le policy “operation sovereign borders”, meglio note come “no way” o “stop the boat”, e che funsero da modello per i decreti sicurezza, obbligano a rimandare le barche indietro, verso le isole che l’Australia ha affittato e dove i richiedenti asilo vengono lasciati in attesa che si processino visti che non arrivano mai.

Manuel Capa della Guardia Costiera spagnola e Sara Prestianni di EuroMed Rights ci hanno recentemente raccontato dell’antica rotta delle Canarie che si è da poco riaperta, mostrandoci sulle mappe le rotte dal Senegal a Gran Canaria, sui kayuko (imbarcazioni senegalesi in legno), con gli alisei che portano al largo, e traversate che durano fino a nove giorni. OIM e UNHCR hanno denunciato che il naufragio con più morti dello scorso anno è avvenuto proprio al largo delle coste del Senegal.

La nuova rotta che si è riaperta alle Canarie, è stata denominata Arguineguin-Irun (da Gran Canaria alla frontiera basca). Chi ce la fa a sopravvivere al viaggio e al naufragio, cerca poi di passare dall’altra parte della frontiera, a Hendaye, la nuova porta dell’Europa. Nel corso dell’ultimo anno sono divenuti ancora più frequenti i respingimenti sulla frontiera basca, in particolare di chi arriva da Marocco e Algeria, passando per Ceuta e Melilla e poi per Gibilterra e Tarifa. Ci sono giovani donne che hanno affrontato due anni di viaggio e che arrivano sole con bambini di uno o due mesi. Una ci diceva: “Abbiamo lasciato il paese dei diritti dell’uomo per venire nel paese dei diritti della donna” (“On a quitté le pays des droits de l’homme pour arriver au pays des droits de la femme”).

Il caso inquietante del confine basco è di estrema attualità poiché dimostra che la stessa dinamica prodotta dalle politiche di esternalizzazione si sta spostando dai confini esterni a quelli interni, e sta ora invadendo l’area Schengen e lo stesso spazio politico europeo. In seguito alla chiusura della frontiera Schengen—paradosso per eccellenza—tra Francia e Spagna e alla successiva sospensione dell’Accordo di Schengen (che dovrebbe essere limitata nel tempo e non arbitraria) a causa dell’emergenza COVID-19, negli scorsi mesi diverse persone hanno tentato di passare il confine nuotando attraverso il fiume Bidassoa per raggiungere la Francia. Uno è stato salvato, uno è morto: Yaya Karamoko, 28 anni, nato a Mankono, in Costa d’Avorio, e annegato nelle acque di confine europee.

C’era chi cantava che il mare, come “il pensiero, come l’oceano, non lo puoi fermare, non lo puoi recintare”.

È dunque importante raccontare tanto ciò che avviene in mare, al momento del salvataggio o del naufragio, quanto quel che succede il giorno dopo, una volta che faticosamente si è approdati. Ed ancora più cruciale, oggi come domani, sarà rispondere agli appelli per la cooperazione e a tutte e tutti i cittadini e migranti che chiedono alle istituzioni nazionali ed europee di governare i fenomeni migratori con politiche adeguate. Sarà infine necessario ricordare la nostra storia e quella di tutti i popoli del Mediterraneo, che, da ben oltre trent’anni, richiede all’Europa di agire, senza aspettare il futuro, e di difendere i principi di solidarietà e responsabilità condivisa, creando nuovi canali legali per le migrazioni.


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