La pressione antropica sull’ambiente urbanizzato rimane un problema attuale e prioritario in tutte le realtà del mondo. A questi impatti si aggiungono gli effetti tangibili dei cambiamenti climatici. Le sfide sono globali e riguardano tutti, poiché i pericoli climatici che investono la biosfera non seguono i confini amministrativi e politici. Quello che cambia tra nord e sud, est e ovest del mondo è la capacità di risposta, la possibilità di investire risorse e governare la transizione verso un nuovo modello di società sostenibile.
In particolare, è nelle grandi città del mondo che le pressioni ambientali, quali l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, raggiungono concentrazioni elevate. Da molti anni esistono le soluzioni tecnologiche per affrontare queste sfide, ma ciò non basta. Per garantire una transizione inclusiva ed equa, è necessario allocare le risorse finanziarie, dotarsi di una governance efficace per la sostenibilità ambientale e nuovi modelli urbani che aiutino a ripensare le forme e le pratiche del vivere urbano. È prima necessario diffondere la cultura della sostenibilità nella società affinché i temi ambientali entrino nella lista delle priorità dell’agenda politica. È altresì importante iniziare a prendersi cura dell’ambiente per riportare al centro il benessere delle persone: se l’ambiente è fragile, anche le persone sono fragili.
Questi sono i temi che emergono dalla conversazione tra Enrique Peñalosa[1] e Fahmida Khatun[2] nel presentare rispettivamente le sfide ambientali di Bogotá e Dhaka oggi e in futuro. I recenti investimenti di Bogotá per incrementare qualità ambientale sono proprio indirizzati a offrire maggiori servizi per le comunità a basso reddito in un contesto ad altissima densità con alloggi molto piccoli e in cattivo stato di conservazione: la costruzione di nuovi parchi urbani per oltre un milione di dollari di investimenti e i 100 chilometri di corridoi ecologici sono una dimostrazione tangibile di quanto lo spazio pubblico sia fondamentale per estendere l’ecosistema delle persone e offrire maggiori opportunità a tutti; e ancora, la promozione della mobilità sostenibile, con le corsie preferenziali per gli autobus e il raddoppio delle piste ciclabili, spiega le alte percentuali di utilizzo del trasporto pubblico locale e l’incremento delle biciclette come mezzo di trasporto per gli spostamenti pendolari. Lo spazio pubblico è quindi estensione della casa in un contesto sociale connotato da stretti legami di comunità e una radicata cultura della danza popolare di strada.
A Dhaka è l’inquinamento dell’aria il fattore ambientale “visibile” a tutti. La sfida ambiziosa è affidata all’urbanistica e riguarda la trasformazione degli usi del suolo, rilocalizzando le industrie fuori dalla città, diminuendo così la pressione ambientale in un contesto già molto denso e antropizzato. Un modello policentrico e ben connesso dal trasporto pubblico locale è il riferimento per ridistribuire le pressioni antropiche nella megalopoli. Sono ancora i servizi primari al centro delle preoccupazioni di chi governa la città: garantire a tutti l’approvvigionamento dei servizi idrici, la casa e il trasporto pubblico, l’educazione e il lavoro, soprattutto per le donne, impiegate per lo più nei settori informali.
Da questo confronto, proviamo quindi a tracciare alcune considerazioni e prospettive in risposta alle sfide ambientali e sociali delle città del XXI secolo, cercando di renderle valide e attuali anche in altri contesti, come per esempio Milano.
Anzitutto si evince l’attenzione sempre corrente e irrinunciabile al soddisfacimento dei bisogni fondamentali del genere umano, ovvero la casa, il lavoro, la mobilità, in contesti in cui l’ambiente è sotto pressione e spesso altamente compromesso. Le città sono sempre in lotta nel contenere l’aumento degli estremi, delle disuguaglianze. Tra questi: gli spazi privati ridottissimi delle case da una parte e la disponibilità di grandi spazi pubblici, spesso degradati, dall’altra; la polarizzazione della distribuzione del reddito; la globalizzazione delle strategie di pianificazione da un lato e le specificità delle culture locali e della riscoperta della vita di comunità dall’altro. Lo spazio pubblico gioca così un ruolo rilevante, sempre: potenzialmente può compensare la carenza dello spazio privato, contribuire a ridurre l’esposizione della popolazione agli inquinanti grazie all’infrastrutturazione per la mobilità sostenibile e le politiche di rinverdimento.
Milano negli ultimi anni ha dato sicuramente una spinta decisa alle politiche di mobilità sostenibile e di “riconquista” dello spazio pubblico. Le politiche di Bogotá dimostrano quanto sia necessario trovare il coraggio di ripensare profondamente lo spazio pubblico a favore della mobilità pubblica, dolce e lenta, per costruire le infrastrutture e finanziare progetti ambiziosi. Solo con una vision forte, sostenuta dalla politica, si può raggiungere la società e ottenere un impatto tangibile sulle pratiche quotidiane.
L’investimento pubblico per lo spazio pubblico è a tutti gli effetti indispensabile e insostituibile se vogliamo proclamare le nostre città sostenibili e inclusive.
L’accesso alle risorse ambientali, alla natura, è primario e connaturato alla nostra specie. Le politiche di sostenibilità ci invitano così ad affrontare congiuntamente i fattori ambientali, sociali ed economici, proprio per le strette connessioni tra i diversi ambiti settoriali (energia, mobilità, ambiente, sociale) e le azioni migliorative. Fragilità ambientale è anche fragilità sociale. L’urbanistica può fornire alla politica gli strumenti di supporto per dare evidenza degli impatti sociali generati dalle pressioni ambientali. Dobbiamo, infatti, poter dimostrare i costi sociali del degrado ambientale per accelerare l’azione.
La proposta è di ripartire dall’osservazione delle risorse ambientali e dei flussi in relazione alle pratiche sociali dell’homo urbanus. Un approccio ecologico alla città, in grado di leggere i flussi, materiali e immateriali in entrata e in uscita dal sistema urbano, secondo la metafora del metabolismo urbano, consente di rendere visibile l’invisibile; ci dà le chiavi di lettura per ripensare nuovi modelli per abitare, lavorare e muoverci, in grado di dosare le pressioni antropiche nello spazio e nel tempo. Il tema oggi è proprio il dosaggio spazio-temporale dei flussi e delle risorse nel contesto denso delle città. L’emergenza sanitaria della pandemia ha consentito di testare nuove dinamiche metaboliche, riducendo gli spostamenti e rarefacendo le densità spaziali della popolazione.
Milano ha ancora molta strada da fare per ripensare i suoi ritmi, per dosare i flussi di persone, beni e risorse. Dhaka sta ripensando la distribuzione del lavoro in città; Milano ha già delocalizzato la produzione, spinta dall’emergere della società post-industriale negli ultimi 30 anni e non certo per merito esclusivo della pratica pianificatoria; tuttavia, un nuovo equilibrio tra abitare e lavoro, in termini di distanze e concentrazioni, richiede una riflessione nuova. Le pratiche di telelavoro accelerate dalla contingenza sanitaria del biennio 2020/21 porterà a un ripensamento delle funzioni terziarie, in termini di volumetrie, localizzazioni e configurazioni spaziali. L’immagine della Milano frenetica, tutta velocità ed efficienza, lascia il posto a un nuovo paradigma in linea con le esigenze del cittadino del XXI secolo, sempre più consapevole dell’importanza di poter coniugare il lavoro con la qualità della vita e dell’ambiente e disposto a riconsiderare i valori della lentezza, della salute pubblica e del benessere individuale e collettivo. Il cittadino pretende sicuramente che questa accresciuta qualità ambientale arrivi dal contributo pubblico e agisca in primis sullo spazio pubblico. A ogni operazione di rigenerazione urbana deve corrispondere una migliorata offerta e accessibilità ai servizi.
Tra i recenti slogan per rilanciare nuove strategie e paradigmi urbani, “happy city” and “healthy city” riportano prepotentemente l’attenzione sulla persona e indagano il ruolo dell’ambiente costruito sul benessere individuale e sociale. Ancora, in chiave ecologica, il benessere della persona è strettamente collegato all’ecosistema in cui viviamo, agli spazi e alle risorse a cui abbiamo accesso, al raggio di azione per muoverci e godere della natura. La vivibilità è un must imprescindibile e una forte leva per agire indirettamente sulla qualità ambientale passando prima per la salute delle persone. Per esempio, è compito della politica riconoscere con forza i molteplici co-benefici delle politiche di rinverdimento urbano; tra questi, il benessere psico-fisiologico e gli impatti sociali non sono meno importanti dei benefici ambientali.
Se anche Milano, come Bogotá, ha in programma di investire convintamente nella realizzazione di oltre venti nuovi parchi urbani entro il 2030 e mettere a dimora diverse centinaia di migliaia di alberi[3], è bene che questa spinta sia sempre essere guidata dall’interesse pubblico. Il rischio di green gentrification, ossia dell’aumento della rendita del valore immobiliare attorno alle nuove infrastrutture verdi, deve trovare un giusto equilibrio, soprattutto in contesti a rischio di nuovi fenomeni di esclusione sociale. La concentrazione degli investimenti immobiliari nel capoluogo lombardo non si è fermata neppure durante la pandemia COVID-19. Proprio i recenti progetti di rigenerazione urbana si attestano intorno a nuove infrastrutture verdi, a dimostrazione del legame fortissimo tra verde e mercato immobiliare. Una spinta più forte all’integrazione dei servizi abitativi pubblici e dell’edilizia convenzionata nei grandi progetti di rigenerazione urbana e di rinverdimento sarà quindi una condizione imprescindibile per garantire equità sociale e spaziale in una città sempre più esclusiva.
Solo così sarà possibile ridisegnare il rapporto tra uomo e natura e la città è il luogo progettato per entrambi, in cui uno si prende cura dell’altra.
[1] Già sindaco di Bogotá
[2] Direttrice esecutiva del Center for Policy Dialogue, Dhaka
[3] Il programma di forestazione urbana ForestaMI (https://www.forestami.org) prevede la messa a dimora di 3 milioni di alberi in tutta la Città metropolitana di Milano entro il 2030.
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