Come si costruisce una città che può considerarsi degna di essere vissuta è una domanda che dovrebbe riguardare tutti. Chi ha responsabilità di governo e decisionali, chi ha competenze operative che hanno ricadute sulla configurazione, la regolazione e l’organizzazione delle città, chi le città le studia e produce conoscenze a beneficio di chi le governa e di chi vi opera. È anche una responsabilità di chi nelle città vive, studia, lavora, perché le condizioni di vivibilità si costruiscono e ricostruiscono ogni giorno, nella riproduzione delle interazioni quotidiane e nella loro innovazione, nel nostro vivere insieme, per le strade, nelle piazze, nei cortili, sui mezzi pubblici. Sappiamo, però, che le condizioni di vita dipendono da processi e fenomeni di larga scala, che sono certo filtrati localmente, ma che non possono essere interamente controllati a questo livello.
Macro-fenomeni e processi di lungo periodo che hanno impatti più forti sui profili più fragili, per i quali gli effetti rischiano di riverberarsi sull’intera cerchia sociale, o di lasciare cicatrici che perdureranno a lungo. Pensiamo alle donne, il cui maggior rischio di esclusione dal mercato del lavoro rappresenta la perdita di un importante fattore di protezione dall’impoverimento per se stesse ma anche per le loro famiglie. Pensiamo ai bambini e alle bambine, la cui condizione di povertà in età infantile si traduce spesso in mancanza di pari opportunità in termini di istruzione, formazione e acquisizione di risorse e competenze, non solo strettamente educative e cognitive, ma anche sociali, relazionali e di autostima, così importanti per sviluppare quelle capabilities (Sen 1993) che consentono di fare uso delle risorse che si incontreranno nel corso della propria vita, e quella capacità di aspirare (Appadurai 2004) che consente di immaginare un futuro e un percorso per sé come per la collettività di cui si è parte. Pensiamo ai migranti, e soprattutto ai migranti forzati, che approdano nelle nostre città in condizioni spesso estreme, in transito verso altre destinazioni o in cerca di un nuovo radicamento.
L’incontro del ciclo “Città visibili” che ha visto protagoniste le città di Atene e Mumbai in una riflessione intorno ai termini Abbandono/Fiducia ha confermato, attraverso le parole di Maria Stratigaki e di Sheela Patel, che le questioni relative alle diseguaglianze sono globali, accomunando città ai capi opposti del mondo. Al tempo stesso sono questioni locali, in quanto assumono declinazioni specifiche secondo le configurazioni dei diversi contesti, la loro dimensione, densità, composizione socio-economica ed etnica, grado di accessibilità alle risorse per rispondere ai bisogni fondamentali.
La pandemia da covid-19 ha investito tutto il mondo, acuendo condizioni di bisogno ed esacerbando faglie di diseguaglianza già esistenti. Le esigenze di distanziamento fisico e di riduzione dei contatti sociali, culminati nei periodi di lockdown, hanno paralizzato le città, impattando in modo particolarmente aspro sulle condizioni di vita proprio dei profili più fragili. I lavoratori del settore informale, molto numerosi nell’enorme area metropolitana di Mumbai, ma presenti anche nelle città del Sud Europa, che non possono procurarsi i mezzi di sussistenza in condizioni di isolamento fisico. Le donne, ampiamente occupate nei settori economici più colpiti dalle chiusure, il turismo, la ristorazione, il commercio, e dunque maggiormente a rischio di perdere il proprio lavoro. Le donne, inoltre, storicamente – e, potremmo dire, universalmente – caricate della doppia presenza (Balbo 1978) legata alle responsabilità lavorative e famigliari che, con la chiusura delle scuole, dei servizi all’infanzia, dei centri diurni per disabili e per anziani, ha assunto tratti inediti, non imponendo più “solamente” la faticosa compressione dei tempi, ma implicando letteralmente la sovrapposizione dei due ruoli nello stesso tempo e nello stesso spazio, il (diseguale) contesto domestico. Anche quando inserite in settori e in mansioni che consentono il lavoro da remoto, dunque, le donne sono state maggiormente a rischio di perdere, o di dover sacrificare, la propria occupazione. Ancora, le donne vittime di violenza in ambito familiare hanno vissuto un grave peggioramento delle proprie condizioni di vita. Nei mesi di lockdown è diventato più difficile chiedere aiuto attraverso i canali tradizionali, ma le modalità alternative che molti enti hanno messo in atto, in tanti luoghi nel mondo – come le app per segnalare situazioni di grave insicurezza senza doversi recare nelle sedi delle associazioni né telefonare in presenza dei soggetti abusanti – hanno registrato un importante numero di casi.
Per i migranti, neo-arrivati, in transito, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiati, o impegnati da tempo a costruire un percorso di integrazione, la pandemia ha rappresentato un vincolo molto forte.
L’interruzione dei progetti di sostegno, la netta contrazione delle opportunità di inserimento lavorativo, l’azzeramento dei contatti sociali sono tutti fattori di vulnerabilità, ancor più grave, poi, per coloro che sono privi di residenza, di documenti e di soluzioni abitative stabili e che cumulano il difficile accesso ai dispositivi di protezione, alle cure mediche e, più recentemente, alla campagna di vaccinazione.
Infine, ma non da ultimo, bambini/e e ragazzi/e hanno visto fortemente pregiudicate le proprie opportunità di educazione, socializzazione e partecipazione. Le ripetute e prolungate chiusure, dal marzo 2020, delle scuole, dei servizi educativi e di tutti centri aggregativi, ricreativi, culturali, sportivi hanno inasprito le diseguaglianze che li riguardano, le condizioni di povertà educativa, i rischi di abbandono e dispersione scolastica. Le differenze nelle dotazioni informatiche, nella qualità della connessione, nelle competenze digitali, nella capacità degli adulti di riferimento di coadiuvarli nel seguire la didattica a distanza, nella qualità degli spazi domestici (disponibilità di una stanza tranquilla, di un tavolo da lavoro) hanno agito da amplificatori delle diseguaglianze di partenza. Bambini e ragazzi hanno grandi capacità di recupero, ma è necessario approntare strumenti e occasioni adeguati a sostenerle.
In generale, i racconti da città anche molto distanti e diverse, da Mumbai, ad Atene, a Milano, dicono del rischio di un’erosione della fiducia reciproca, ma anche di una straordinaria resilienza e mobilitazione di energie positive e solidali dal basso, che hanno poi scontato la diseguale capacità istituzionale di supportarle e incanalarle, creando i presupposti perché nessuno sia lasciato in condizioni di abbandono.
Segnaliamo qui tre terreni di intervento e di innovazione, emersi come rilevanti anche nelle riflessioni portate da Atene e da Mumbai, su cui concentrare le diverse risorse ed energie che Milano esprime e l’attenzione e la capacità della regia pubblica. Il primo riguarda l’accesso a soluzioni abitative da parte dei migranti, che soffrono spesso in modo più acuto delle distorsioni del sistema abitativo italiano e milanese. In particolare, per coloro che escono dai percorsi di prima e seconda accoglienza, le condizioni del mercato abitativo ordinario appaiono inarrivabili, con il rischio di involuzioni nei processi di integrazione; ampliare l’accessibilità e l’affordability delle soluzioni abitative, come auspicato nel contributo di Giulia Setti, è fondamentale anche per questi profili. Il secondo terreno di intervento e innovazione riguarda il sostegno all’autonomia e al protagonismo delle donne. Pur senza ignorare l’importanza della prevenzione e del contrasto alla violenza di genere, segnaliamo qui l’importanza del miglioramento degli strumenti di conciliazione famiglia-lavoro, di promozione di una maggiore condivisione delle responsabilità famigliari tra uomini e donne, e dell’uso strumenti di sostegno all’(auto)imprenditoria femminile, incluso il micro-credito, che ha dato prova di efficacia in contesti molto distanti e diversi. Terzo terreno di intervento e innovazione, il contrasto della povertà educativa e le pari opportunità per bambini/e e ragazzi/e. Dopo due anni scolastici pesantemente segnati dalle limitazioni agli spostamenti e all’uso degli spazi pubblici, Milano sappia farsi contenitore e contenuto di una moltitudine di azioni e iniziative indirizzate ai più giovani e ai più piccoli, dando tante e diverse possibilità per scoprire e riscoprire i luoghi urbani, entro cornici di attività scolastiche ed extra-scolastiche, educative e ludiche, soprattutto partecipative, a partire dai centri estivi, per continuare nel nuovo anno scolastico e a seguire. Se tante iniziative esistono già, all’attore pubblico spetta il compito di coordinarle e metterle a sistema affinché esse possano concorrere a contrastare le diseguaglianze e non rischino, invece, di reiterarle o aggravarle. Una moltitudine di iniziative entro le quali sviluppare anche una consapevolezza in merito a come si può contribuire a costruire una città che può considerarsi degna di essere vissuta.
Appadurai, A., 2004, ‘The Capacity to Aspire: Culture and the Terms of Recognition’, in Rao, V. and Walton, M., (eds.) Culture and Public Action, Stanford University Press, Palo Alto, California, pp 59-84.
Balbo L., 1978, “La doppia presenza” in Inchiesta, vol. VIII, n. 32
Sen, A., 1993, “Capability and Well-being”, in Nussbaum and Sen (eds.), The Quality of Life, Oxford: Clarendon Press, pp. 30–53
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