Prima che la crisi del Covid-19 proiettasse la città in una nuova dimensione piena di incognite sul futuro, Milano correva: incremento demografico, irresistibile attrazione di capitali stranieri, boom immobiliare, riqualificazione diffusa di pezzi di città, crescita del numero di studenti nelle università, esposizione mediatica senza precedenti. Proiettata nel firmamento delle città globali, Milano era diventata il campo da gioco delle nuove economie, come quelle di piattaforma, palinsesto degli esercizi di stile dell’architettura globale, vetrina alla continua rincorsa degli eventi più in voga.

Una locomotiva sì, ma di un Paese che stava perdendo i vagoni. Sullo sfondo dell’inarrestabile corsa, gli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico, la pervasività del precariato lavorativo, l’esplosione dei costi abitativi, la crescita di una popolazione di invisibili e non rappresentati, i fermenti delle periferie.

Milano, nelle sue ambivalenze, è uno specchio in cui leggere le trasformazioni urbane del nostro tempo. Una trama di opportunità e di esclusioni, un ordito fitto di contraddizioni che tuttavia ha in sé i semi per un ripensamento collettivo e partecipato verso una città davvero degna di essere vissuta.

Lo sguardo che Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ha dedicato a Milano è quello che da tempo rivolge alle tante metropoli contemporanee, intese come contesti imprescindibili in cui prendere in carico le sfide sociali, ambientali, culturali e di convivenza democratica cui siamo chiamati. Lo abbiamo fatto con il volume Città, sostantivo plurale, un testo che mostrava come le città potessero essere i luoghi privilegiati in cui riarticolare il nesso tra radicamento territoriale e dinamiche planetarie, tra ambienti di vita e legami ecosistemici.

La questione è appunto quella della ricomposizione di città solcate da fratture (leggi la call Broken Cities): ridurre i divari e ricucire gli strappi, perché se le città sono spesso luoghi diseguali e frammentati, esistono forme di resistenza, pratiche quotidiane e tenaci di rammendo, nella consapevolezza – come scrivevamo nel volume Atlante delle città – che le città sono il frutto dell’interdipendenza tra luoghi, corpi, esperienze.

È questa interdipendenza a rendere decisiva la domanda “chi decide la città e chi fa la città”, perché – citando David Harvey – “Il diritto alla città non si esaurisce nella libertà individuale di accedere alle risorse urbane ma significa rivendicare una forma di potere decisionale sui processi di urbanizzazione e sul modo in cui le nostre città sono costruite e ricostruite, agendo in modo diretto”.

Il fenomeno dei citymakers indagato nella pubblicazione Citymaking. Chi fa la città? dice appunto del profilo sempre più plurale dei luoghi che abitiamo. D’altra parte, quando oggi si parla di citymakers si allude di fatto ai tanti soggetti che affrontano le sfide urbane, attraverso l’iniziativa dal basso e la costruzione di progetti di trasformazione che coinvolgono quartieri e comunità locali.

E lo sguardo dal basso è quello che abbiamo voluto adottare per raccontare Milano oltre le retoriche: una città che, se osservata dai margini, mostra i suoi tratti più controversi, illuminando soggetti spesso invisibili, generazioni che non trovano voce nel dibattito pubblico, cittadini e cittadine che quotidianamente si confrontano con i rimossi della città.

Uno sguardo rivolto alle periferie, ai bordi inquieti, a quei contorni che esprimono disagio ma anche capacità di resistenza, voglia di riscatto, spinta eccentrica e centrifuga alla ricerca di alternativa.

Prima di arrivare al progetto La Fragilità e l’orgoglio, un percorso d’indagine sulle fragilità territoriali che ha coinvolto ragazze e ragazzi che abitano tra la Zona 5 e Rozzano, il campo di sperimentazione è stato, già nel 2018, L’Adolescenza delle città. Un percorso di ricerca/azione, organizzato nell’ambito del programma triennale di rigenerazione urbana “La città intorno” promosso da Fondazione Cariplo, che ha avuto come luogo di indagine privilegiato i quartieri periferici di Milano e per protagonisti gli adolescenti, i cittadini di domani, attivatori di immaginari e di nuovi sguardi su noi stessi e la città.

 

 

Le parole di ragazze e ragazzi sono state poi al centro di Future Rap, un’occasione di scambio e confronto nata nell’ambito di Scuola di cittadinanza europea, per parlare di lavoro, ambiente e felicità e capire quali sono le loro urgenze, le loro priorità, le loro paure.

Come si legge nel volume Scuola Sconfinata. Proposta per una rivoluzione educativa – che nasce da un percorso di ricerca e ascolto promosso dal movimento E tu da che parte stai? – ascoltare le nuove generazioni vuol dire “fare loro spazio, renderle parte, partecipi di territori, città, società, sistemi educativi e scuole. Per essere insieme cittadini e cittadine attive, globali”.

Nuove e nuovi cittadini capaci di ispirare una domanda di buona politica. Una comunità di pari che riaccende in tutti noi l’aspirazione al cambiamento.

Per questo oggi presentiamo Milano Unplugged, le inchieste di una generazione, un viaggio acustico nei territori in formato podcast, a partire dalle voci di ragazze e ragazzi che portano a emersione nervi scoperti, bisogni, visioni di futuro. Per il primo appuntamento siamo partiti da Milano, la città che nei prossimi mesi, avvicinandosi alle elezioni amministrative, sarà al centro del dibattito pubblico e che inoltre ospiterà Youth4Climate in vista dell’evento speciale “Youth4Climate: Driving Ambition” e della Pre-Cop26, che si svolgeranno a Milano nell’autunno 2021.

Oggi abbiamo l’opportunità di contribuire a un nuova agenda urbana: con il ciclo di Città visibili, in collaborazione col Politecnico di Milano, abbiamo fatto un viaggio intorno al mondo per trarne “Tre lezioni per Milano”. Come ha scritto Massimo Bricocoli, Direttore del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano, le città devono essere, più di ogni altra cosa, uno spazio di soddisfazione dei bisogni primari, di produzione di benessere condiviso, di vivibilità per i suoi abitanti. I racconti di Vienna, San Paolo, Atene, Mumbai, Dhaka e Bogotà sono stati un’occasione per portarci a casa suggestioni per una città che garantisca l’accesso alla casa, oltre le dinamiche di finanziarizzazione; che sia attenta ai più fragili e capace di offrire luoghi e servizi di cura; che sappia far fronte alla crisi economica e occupazionale, attraverso forme di integrazione e redistribuzione della ricchezza.

Oggi Milano, scossa dai mesi di pandemia, ha la chance di ripensarsi per essere più aperta, accogliente, più verde, a misura dei suoi abitanti, anche quelli più vulnerabili. Ma nessun ripensamento è possibile se non ci si mette in ascolto: se non si percorrono vie, piazze, cortili e lembi dimenticati della città alla ricerca di quelle tante storie che determinano vissuti collettivi, immaginari generazionali, sogni condivisi di trasformazione.

Per questo a inizio settembre uscirà il volume L’ultima Milano, cronache dai margini di una città, un’inchiesta costruita attraverso le testimonianze di coloro che in prima persona si confrontano con limiti e fatiche della città. Come scrivono gli autori, Jacopo Lareno e Alice Ranzini, “ci sembra importante ripartire dai margini, per ragionare con una prospettiva rinnovata su un’agenda urbana inclusiva e redistributiva, che ponga questioni radicali al governo della città e alle sue politiche utilizzando le città “in potenza” radicate nei margini come spazio di (auto)critica, di apprendimento e di sperimentazione”.

 


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