New York University di Firenze

Per buona parte del Novecento, la secolarizzazione è apparsa come un destino inevitabile sia nella letteratura scientifica sia nella conversazione pubblica: si dava più o meno per scontato che la credenza religiosa avrebbe inevitabilmente ceduto terreno di fronte all’avanzare della scienza e del razionalismo, alfieri della modernità. Nel momento in cui la grande narrazione della razionalità moderna era messa radicalmente in discussione, la letteratura sociologica registrava la tendenza verso forme di spiritualità del tutto individuali e slegate da appartenenze comunitarie: believing piuttosto che belonging, come nella ormai famosa definizione di Grace Davie, oppure la ricerca di un Dio “personale” come lo aveva definito Ulrich Beck.

Gli eventi degli ultimi decenni hanno messo in discussione queste tesi, non di rado in circostanze drammatiche. Attori e temi, simboli e vocabolario generalmente legati alla “religione”, invece di sparire dalla sfera pubblica hanno trovato un nuovo protagonismo: purtroppo in molti casi sono stati mobilitati in vista di conflitti violenti. Particolarmente abili nell’appropriarsi di riferimenti alla religione si sono dimostrati partiti e movimenti spesso raggruppati sotto la generica etichetta di populisti, di segno autoritario e nativista: in queste circostanze, la domanda se la religione possa rappresentare un nuovo cleavage appare ben fondata. Questo interrogativo si va a unire ad altre domande e preoccupazioni, fra le quali in primo luogo la possibilità che la presenza di temi e attori “religiosi” sulla scena della politica interna e internazionale si accompagni invariabilmente a un inasprimento dei conflitti e a progetti politici di segno antipluralista e autoritario, e sia incompatibile con un modello di società fondato sui valori dell’autonomia individuale. Il contesto francese degli ultimi mesi è un ottimo terreno di osservazione per molte di queste contraddizioni.

Per dar conto di queste trasformazioni è stata messa in gioco una serie di paradigmi, che vanno dalla crisi – o addirittura fine – della secolarizzazione al “ritorno” della religione: la rivincita di Dio è stata anche presentata come parte di un più vasto processo di “grande regressione”. Soprattutto, si è affermata la categoria di postsecolarizzazione come lente attraverso la quale leggere la condizione presente. A questo termine sono stati associati significati ben diversi, che vanno dal superamento della secolarizzazione inteso come suo fallimento all’idea di secolarizzazione come passaggio necessario avvenuto una volta e per sempre. Il senso del termine “postsecolarizzazione” dipende in misura significativa da che cosa si intenda effettivamente per secolarizzazione: non necessariamente e unicamente la sparizione della credenza religiosa quanto piuttosto la sua trasformazione. Charles Taylor ha mostrato come la fede religiosa assuma sempre di più il carattere una scelta individuale e riflessiva, e pertanto pienamente compatibile proprio con l’aspirazione, tipicamente moderna, all’autonomia individuale. In questa prospettiva, parlare di “ritorno della religione” appare sostanzialmente come una sorta di illusione ottica; e ogni progetto politico volto a reinstaurare una tradizione o identità percepita come minacciata si rivela sostanzialmente come una forma di utopia regressiva.

Al tema del ritorno della religione si accompagna ancora un altro interrogativo, ovvero se l’ipotesi della crisi della secolarizzazione non nasconda in effetti l’incapacità della politica di dare soluzioni alle sfide della contemporaneità, o ancor più, di elaborare orizzonti di senso nei quali ricomprendere esperienze individuali e collettive.

La cosiddetta riscoperta della religione, infatti, si va a inserire in un quadro politico segnato in profondità dalla crisi delle categorie sociali, economiche e politiche della modernità, a partire dal capitalismo centrato sulla produzione e dalla centralità dello stato nazione.

I cleavages tipici del Novecento industriale sono quindi sempre meno adatti ad esprimere la condizione contemporanea, e nuove tassonomie si sono rese necessarie: fra queste il richiamo alla religione può sicuramente rappresentare un criterio identificativo. Tuttavia, non solo è necessario, come fa Ozzano, incrociare questo cleavage con altri criteri che identificano famiglie ideologiche, ma anche capire cosa significhi “religioso”. Non sempre partiti, movimenti o altri soggetti politici sono “religiosi” nel modo in cui dichiarano di esserlo, in quanto non sempre il contenuto dogmatico è determinante nella formulazione del loro progetto politico.

Il particolare successo dell’uso della religione da parte dei partiti populisti costituisce un ottimo esempio. Il legame fra populismo e religione deve essere analizzato da un duplice angolo di osservazione. Da un lato, infatti, il populismo ha forti affinità elettive con alcune prospettive religiose (a cominciare da quella cristiana): si pensi, per non fare che un esempio, all’ossessione per una politica che si mantenga “pura” e avversa a ogni compromesso, oppure alla visione apocalittica della politica come lotta fra bene e male. Tuttavia, l’uso dei riferimenti alla religione da parte dei partiti populisti, funzionale alla loro visione di popolo come comunità omogenea, coesa e intrinsecamente allergica al pluralismo interno, è perfettamente compatibile con una condizione sostanzialmente secolarizzata, nel senso proprio di secolarizzazione come evanescenza del contenuto dogmatico della fede religiosa. Infatti le ideologie nativiste riscoprono la religione come elemento importante dell’identita culturale (Ozzano, Marzouki e Mc Donnell), laddove evidentemente la stessa nozione di “cultura” è concepita come una sorta di monolito, refrattario a qualsiasi trasformazione o pluralismo interno.

La religione viene così “culturalizzata” in molti casi ignorando o travisando la sua stessa essenza dogmatica, e diventa quindi un elemento fondamentale per la formulazione di utopie regressive, radicate nella contrapposizione manichea noi/loro tipica di partiti e movimenti populisti. Al contrario, la credenza religiosa come scelta individuale e autonoma non solo è compatibile con il pluralismo politico, ma anzi lo presuppone. Queste considerazioni possono dare qualche elemento per mettere a fuoco la questione della religione come cleavage, e soprattutto a problematizzare la contrapposizione rigida fra “religioso” e “secolare”.


Foto di Rodolfo Clix da Pexels

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