scrittrice e giornalista del Sunday Times
Estratto da, Christina LambI nostri corpi come campi di battaglia, Strade blu, Mondadori 2021.

Io sono una delle poche donne in un settore ancora prevalentemente maschile, e sono diventata una reporter di guerra per caso. A interessarmi era non tanto il bang-bang del fronte, quanto ciò che accadeva dietro le linee: come le persone continuassero a tirare avanti e a nutrire, educare e proteggere i loro bambini, e a tutelare gli anziani mentre tutt’intorno si scatenava l’inferno.

La madre afghana che mi raccontava come avesse raschiato il muschio dalle rocce per sfamare i propri figli mentre li guidava sulle montagne per sfuggire ai bombardamenti.

Le madri sotto assedio nella città vecchia di Aleppo Est, che si inventavano panini per i loro bambini friggendo farina e foglie raccolte in giro, e li scaldavano bruciando mobili o telai di finestre mentre le strade circostanti venivano bombardate e gli edifici rasi al suolo in un gran polverone grigio.

Aleppo


Le donne rohingya che portavano in salvo i piccoli attraversando fiumi e foreste dopo che i soldati birmani avevano massacrato gli uomini e incendiato le capanne.

Non troverete i nomi di queste donne nei libri di storia o sui monumenti ai caduti eretti nelle nostre stazioni ferroviarie e nei centri cittadini, ma per me sono loro i veri eroi.

Più faccio questo lavoro, più divento inquieta, non soltanto per gli orrori che ho visto, ma perché penso che spesso sentiamo solo metà della storia, forse perché quelli che mettono insieme i resoconti, in genere, sono uomini. Anche oggi, le storie di questi conflitti sono per lo più raccontate da uomini. Uomini che scrivono di altri uomini. E a volte anche da donne che scrivono di uomini.

(…) Ho ascoltato donne con storie inimmaginabili e, mentre cercavo con tutto il cuore di rendere loro giustizia raccontandone le vicende ai lettori del mio giornale, mi sono domandata un’infinità di volte com’è possibile che tutto questo continui ad accadere.

La natura intima dello stupro fa sì che in genere non venga denunciato, soprattutto in zone di conflitto in cui le rappresaglie sono all’ordine del giorno, la stigmatizzazione molto comune e le prove troppo difficili da raccogliere.

A differenza degli omicidi, non ci sono cadaveri e i numeri non si lasciano accertare con facilità.

Eppure, anche quando si sapeva, nei casi in cui le donne coraggiose si facevano avanti e descrivevano i loro calvari, si stentava a intervenire (…).

Per decenni, nel mondo, lo stupro è stato il crimine di guerra più trascurato. È stata necessaria l’istituzione di «campi di stupro» nel cuore dell’Europa perché l’argomento ottenesse l’attenzione internazionale. Come molti altri, è stato negli anni Novanta, durante la guerra in Bosnia, che ho letto per la prima volta di violenze sessuali nell’ambito di un conflitto.

(…)

Poi è arrivato il #MeToo. Per molti di noi il 2017 può essere ricordato come un punto di svolta rispetto al far sentire la propria voce sulla violenza sessuale. La comparsa del movimento in seguito alle accuse mosse da una serie di attrici e assistenti di produzione contro il produttore hollywoodiano Harvey Weinstein ha eliminato il senso di colpa e di vergogna provato da molte donne, incoraggiandole a parlare apertamente.

#MeToo


Come molte altre donne ho seguito il #MeToo con un misto di piacere e orrore. Piacere perché tante donne facevano sentire la propria voce e rifiutavano di accettare ulteriormente molestie che molte di noi cinquantenni un tempo davano per scontate. Orrore all’idea che la violenza sessuale fosse così diffusa: una donna su tre la sperimenta nel corso della vita. Non conosce razza, classe sociale, confine: accade ovunque.

Ma ho anche provato un certo disagio. Che cosa accade alle donne che non hanno risorse sufficienti per permettersi un avvocato o che non hanno accesso ai mezzi di comunicazione?

Cosa accade nei paesi dove lo stupro è utilizzato come un’arma?

Come abbiamo visto nel caso di chi ha coinvolto Harvey Weinstein, anche le donne forti e indipendenti dell’Occidente liberale che parlano apertamente di predatori sessuali lo fanno con estrema difficoltà e timore. Spesso vengono messe alla gogna sui giornali e sono costrette a nascondersi, com’è accaduto a Christine Blasey Ford, l’avvocata che ha affermato di essere stata aggredita sessualmente, quando era una ragazzina, da Brett Kavanaugh, nominato giudice della Corte Suprema.

Basti allora pensare alle donne senza denaro o istruzione in paesi dove chi ha la pistola o il machete esercita il potere.

Per loro non ci sono né una consulenza psicologica né un risarcimento. Anzi, spesso sono loro a essere condannate:

a una vita di traumi e notti insonni, a problemi relazionali – per non parlare dei danni fisici – e magari all’impossibilità di avere figli. Può capitare addirittura di essere ostracizzate dalla propria comunità, atteggiamento che è stato definito un «omicidio lento».

In tutto il mondo i corpi delle donne sono ancora decisamente un campo di battaglia, e centinaia di migliaia di donne recano ferite di guerra invisibili.

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