Non solo storia – Calendario Civile \ #2giugno 1946


Il 2 giugno insieme al 25 aprile rappresenta una delle giornate più importanti per la Repubblica Italiana. È molto più di una data, rappresenta il trionfo della democrazia e della libertà.

Finalmente ben 75 anni fa oltre a vincere la Repubblica, hanno vinto anche le donne, alle quali è stato riconosciuto il diritto di votare e ha sancito l’inizio della partecipazione delle donne nella vita politica e nel tessuto sociale del paese, portandole alle varie lotte per l’emancipazione e la parità di genere.

Tantissimi sono i passi in avanti che sono stati fatti, ma la strada verso una piena parità ed uguaglianza è ancora lontana. La pandemia dettata da Covid-19 ha mostrato tutte le fragilità della nostra società e quali siano le persone più marginalizzate: le donne e gli stranieri.

Di notevole impatto sono stati i dati ISTAT di fine 2020: su 100 mila posti di lavoro persi ben 99 mila erano quelli di donne. È importante analizzare quali siano i fattori a relegare costantemente le donne in una posizione di svantaggio nella nostra società.

Nonostante vi siano delle conquiste importanti ottenute grazie ali sforzi ed al lavoro delle madri costituenti e del movimento femminista, ancora oggi le donne non hanno eguali diritti come gli uomini.

In Italia è presente una forte disparità di genere che si amplia nel momento in cui nel discorso entrano le donne migranti, quelle facenti parti della comunità LGBTQIA+,  le donne BIPOC e di una fede religiosa diversa dal cristianesimo perché oltre a subire il sessismo subiranno altre forme di discriminazione ed oppressione come il razzismo, omobilesbotransfobia, la misoginia e l’islamofobia. Il concetto di intersezionalità nelle politiche di genere è fondamentale per riuscire ad adottare politiche volte a tutelare tutte le donne presenti in Italia e non un numero circonciso.

Negli ultimi anni il non ascolto a livello istituzionale ha portato le donne a ritagliarsi degli spazi tramite collettivi e associazioni per riportare nel dibattito pubblico le loro istanze che generalmente non vengono prese in considerazione, ne sono l’esempio l’associazione Donne Migranti a Bologna, nata per denunciare i turni massacranti che l’azienda Yoox faceva svolgere alle sue operaie. Nel loro appello allo sciopero scrivevano:

”Siamo tante e proveniamo da tutti i paesi del mondo, siamo italiane e siamo migranti… I  turni che Yoox ci sta imponendo unilateralmente con la sua sensibilità non ci lasciano quella che si può chiamare vita. Il primo turno comincia alle 5.30 di mattina, il secondo turno finisce alle 22.30. La grande azienda che si cura dei bambini non ci permette di portare a scuola i nostri, o di metterli a letto la sera, e con i salari che ci paga non possiamo permetterci una babysitter.. A lavoro dobbiamo affrontare le pressioni dei capi, gli atteggiamenti sprezzanti e razzisti di chi crede di poterci comandare perché siamo donne e migranti e per loro siamo solo operaie da sfruttare..”

Queste parole risuonano come macigni e fanno riflettere sulla condizione lavorativa in cui le donne sono costrette a vivere ancora oggi, turni di lavoro al limite della legalità ed essere costantemente nel limbo nella scelta tra la vita familiare e quella lavorativa.

La sfida per il prossimo futuro sarà quello di intercettare i bisogni di tutte le donne, lavoratrici e non, italiane e straniere, per colmare il gap sociale della disparità di genere. Per evitare che gli sforzi fatti in passato per avere determinati diritti, di cui possiamo godere oggi, vengano meno.

Le donne nel 1946 sono riuscite ad ottenere il diritto al voto, sfortunatamente il problema del voto e dello status della cittadinanza non si è concluso nel 1946, ma continua a perseguitare più di un milione di persone che lo Stato si rifiuta di riconoscere, figli e figlie di un paese che li considera stranieri nonostante siano nati e cresciuti nel belpaese.

Il dibattito sull’acquisizione della cittadinanza italiana è oramai aperto da più di 10 anni, i vari partiti politici strumentalizzano la legge 91 del 1992 a scopi elettorali, e a rimetterci sono sempre gli italiani e le italiane fantasma.

È molto triste vedere come lo status di cittadini sia per legge una concessione e non un diritto, rendendo di fatto lo status di cittadinanza una partita per pochi eletti, escludendo tutti coloro che non hanno determinati requisiti.

Come si misura l’Italianità e l’Identità italiana di una persona?

Questa domanda non può avere risposta. Essere italiani va ben oltre alla conoscenza della lingua e della cultura, è un fatto identitario. L’identità va oltre alla nazionalità. Come esseri umani iniziamo a capire chi siamo e a definirci fin da piccoli, per come gli altri ci vedono e per come vediamo noi stessi.

Quando però la tua identità ti viene negata e devi vivere con quella che ti è stata forzatamente assegnata si avranno delle perenni e continue crisi identitarie nelle quali ci si domanderà sempre chi si è realmente. Chiedendosi quali siano le motivazioni che privano il tuo paese ad accettarti e considerarti suo cittadino. L’identità pertanto sarà frammentaria a causa delle difficoltà nella costruzione del proprio io, abbracciando inconsciamente l’idea che gli altri hanno su di te, su chi devi o dovrai essere.

Si parla in continuazione di integrazione, affermando che lo status di cittadini sia un percorso ed un traguardo per tutti i migranti, questo discorso è corretto, se non fosse che vengono considerati migranti anche coloro che sono il frutto del loro percorso migratorio, ovvero i loro figli.

È troppo difficile accettare che ci possano essere persone con tratti somatici diversi da quelli caucasici che possano essere italiane? Questo purtroppo è accettabile solo nel momento in cui si parla di calciatori e atleti che possano innalzare la gloria ed il prestigio a livello internazionale del paese.

Come pensate ci si senta ad essere accettati e riconosciuti solo nel momento in cui si è delle eccellenze nello sport?

La linea preferenziale utilizzata per riconoscere cittadini italiani gli atleti è svilente e deumanizzate perché si riconosce l’altro solo quando si può sfruttare una sua competenza o una qualità che possiede per il prestigio del paese e non perché concretamente si considera italiana.

La normativa 91 del 1992 è obsoleta e non rispecchia più la società nella quale viviamo.

Non è concepibile in uno stato democratico lasciare che i suoi cittadini girino con un permesso di soggiorno e con un’identità di un paese che fondamentalmente non conoscono.

La normativa stabilisce che:

  1. nel caso in cui si tratti di una persona nata e cresciuta in Italia, bisogna dimostrare di avere vissuto ininterrottamente per 18 anni nel territorio italiano e fare richiesta entro un anno. Nel caso in cui la richiesta, per esempio per motivi economici, venga fatta al compimento dei 19 anni, non si può più richiedere la cittadinanza per nascita sul suolo italiano ma si dovrà seguire l’iter previsto dagli stranieri;
  2. nel caso si tratti di una persona venuta in Italia in giovane età l’iter è lo stesso previsto per gli stranieri, quindi 10 anni di residenza e un reddito di € 8.263,61 per tre anni.

La normativa in sé è stata concepita di proposito per ostacolare i giovani nell’ottenimento della cittadinanza. Come si può pretendere un reddito da studenti consistente e regolare pari a 8.263,61 quando il mercato di lavoro è altalenante dal 2008?

Il principio di uguaglianza in questi casi viene meno, non siamo tutti uguali e non lo saremo mai fin tanto che ci sarà un’enorme differenza tra coloro che vengono considerati “veri italiani”, “italiani acquisiti” e italiani non riconosciuti.

È compito della nostra Repubblica modificare questa norma in quanto provoca una forte discriminazione in quanto la non presenza dello status di cittadinanza relega nell’invisibilità e nell’esclusione sistematica intere generazioni di giovani.

L’articolo 3 della nostra costituzione è uno dei nostri principi fondamentali su cui si basa la nostra Repubblica, venir meno ad un principio fondamentale significherebbe venir meno alla stessa forma della nostra nazione.

Il principio di uguaglianza afferma che ipotetici ostacoli che si frappongono ad una effettiva uguaglianza dovranno essere rimossi, per garantire un’uguaglianza reale di tutti i suoi cittadini – migliorando, modificando leggi particolari e specifiche che ostacolano il pieno godimento dei diritti.

Il riconoscimento dei diritti sono un lungo cammino ed una lotta costante, le madri e i padri della costituzione italiana ci hanno lasciato il testimone. Fare in modo che tutti e tutte abbiano pari diritti è un percorso difficile ma necessario per il bene della Repubblica e delle persone che amano questo paese.

È fondamentale attuare una rivoluzione culturale che parta da noi per sradicare le differenziazioni e discriminazioni presenti nel nostro paese.

Viva l’Italia, viva la Repubblica. Buon 2 giugno.

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