Non solo storia – Calendario Civile \ #2giugno 1946
Gli articoli della Costituzione sull’uguaglianza, la famiglia, il lavoro; la battaglia per l’accesso alla magistratura, poi la legge per la maternità (1950) e tutto quel che è seguito negli anni: sono solo alcune delle conquiste ottenute grazie all’ingresso di 21 donne nell’Assemblea Costituente, elette il 2 giugno 1946. Allora, per la prima volta, le donne andarono a votare dopo il passaggio primaverile delle amministrative (si riversarono alle urne in massa: l’89% delle aventi diritto), contribuendo a cambiare il Paese nella transizione epocale alla Repubblica, sancita dal referendum in quella stessa giornata.
Le italiane e gli italiani elessero nove comuniste, nove democristiane, due socialiste, un’esponente del Fronte dell’Uomo qualunque. In quattordici su ventuno erano laureate, la maggior parte di loro lavorava, diverse erano impegnate nel mondo della scuola, la provenienza geografica era varia e rappresentativa di tutta l’Italia, le generazioni spaziavano dalla fine dell’800 alle nate sotto il fascismo. Molte avevano vissuto la clandestinità durante il regime (come Teresa Noce e Rita Montagnana) e partecipato alla Resistenza (Teresa Mattei, Nilde Iotti, Angela Gotelli, Laura Bianchini e altre). Alcune non avevano studiato perché non potevano permetterselo: emblematico il caso della marchigiana Adele Bei, terza di 11 figli, che a 12 anni lasciò la scuola per fare la bracciante e contribuire al bilancio familiare. La sua è una vita costellata di sacrifici e scelte impavide: viene arrestata nel 1933, passa sette anni in carcere, poi è confinata a Ventotene, eppure una volta libera non esita – dopo l’8 settembre 1943 – a entrare nella Resistenza romana, di cui sarà una delle protagoniste. Verrà per lei la stagione della Consulta, prima, della Costituente poi e del Parlamento negli anni successivi, dove si spenderà – sempre nelle file del partito comunista – per i diritti nel mondo del lavoro femminile.
Un ambito, quest’ultimo, che è al centro dell’attività delle 21 elette, come si vede dai profili esplorati in Le Madri della Costituzione (pagg. 224, euro 12,90 in edicola con Il Sole 24 Ore, poi in libreria). La parità uomo-donna è prioritaria per le Costituenti il cui obiettivo è emancipare la popolazione femminile dalla subalternità cui era condannata durante il regime fascista.
Le elette, cinque delle quali furono designate nella Commissione dei 75 che aveva il compito di elaborare la Costituzione, si spendono dunque per fissare il principio di uguaglianza nell’articolo 3 della Carta (“tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione…”), rafforzato e specificato dagli articoli 29 (“il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi”) e 37 (“la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”). Sono risultati fondamentali perché a partire da lì sarà possibile la riforma del diritto di famiglia cui si arriverà nel 1975, promossa da Nilde Iotti e raggiunta grazie al lavoro collettivo con altre parlamentari, tra le quali la collega di partito Giglia Tedesco e la democristiana Maria Eletta Martini. D’altronde già alla Costituente, in diverse occasioni, le ventuno deputate superarono i propri colori politici in nome del bene comune, in qualche caso senza il successo sperato a causa delle resistenze conservatrici (e retrive) dei colleghi: come accadde con l’accesso alla Magistratura. L’emendamento proposto da Teresa Mattei e Maria Maddalena Rossi, al termine di un intenso dibattito, che avrebbe aperto le porte alle donne magistrate, fu bocciato dal voto segreto. A volte anche le sconfitte sono un punto di partenza: nel 1963 sarà approvata la legge n. 66 che sblocca la situazione.
Sul cammino delle donne negli anni ’70 e ’80 in tema di diritti e affermazione di una società più moderna e avanzata che prevedesse lo scioglimento del matrimonio, l’interruzione di gravidanza, l’abolizione del delitto d’onore, le norme contro la violenza sessuale si è soffermato il collettivo Controparola, fondato da Dacia Maraini nel 1992, e costituito da giornaliste e scrittrici. Nei volumi Donne della Repubblica (2016) e Donne nel 68 (2018), pubblicati dal Mulino, le autrici raccontano queste conquiste attraverso figure chiave le cui vicende hanno spianato la strada ai provvedimenti legislativi. È il caso della siciliana Franca Viola che, appoggiata dal padre, si rifiutò nel 1965 di sposare colui che l’aveva violentata, impedendogli così di estinguere il reato: una vicenda che porterà – con i tempi italiani – ad abolire nel 1981 il matrimonio riparatore. Chi non ricorda, poi, Emma Bonino e le sue battaglie per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di una legge che regolasse l’interruzione di gravidanza? Sono passate alla storia. Importantissimo anche il lavoro dell’avvocata delle donne Tina Lagostena Bassi: la sua azione legale tesa a dimostrare che, di fronte alla violenza sessuale, è inaccettabile la colpevolizzazione della vittima ha fatto sviluppare una diversa consapevolezza su come affrontare i processi (indimenticabile, a questo proposito, il documentario Processo per stupro andato in onda per la prima volta nell’aprile 1979 e visto da tre milioni di persone).
Eppure si arriverà a una legge secondo cui la violenza sessuale è un reato contro la persona, e non contro la moralità pubblica e il buon costume, soltanto nel 1996, dopo lungaggini e insabbiamenti nel corso di cinque legislature, e grazie alla volontà politicamente trasversale delle parlamentari italiane.
L’ennesima conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto fosse cruciale e dirimente quel che diceva Tina Anselmi: per cambiare le cose bisogna esserci, le donne devono partecipare alla vita politica e agire nei luoghi in cui si prendono le decisioni (senza mai dare per scontati gli obiettivi raggiunti). Del resto la democristiana di Castelfranco Veneto, prima ministra di un Governo in Italia – era il 1976 – lo aveva dimostrato in prima persona: appena arrivata al dicastero del Lavoro, aveva varato la legge che dava concretezza al principio voluto dalle Costituenti sulla parità di accesso e retribuzione del lavoro femminile e maschile (legge n. 903 del 1977). Ovviamente parliamo del settore pubblico: la situazione, nell’ambito privato, è ancora sconfortante (e non solo in Italia). È bene allora mettersi in moto, su questo e altri fronti, traendo forza anche dall’esempio delle ventuno protagoniste del ’46.