Saggista e narratore

La stagione politica attuale, in Europa e nel mondo, rappresenta un punto di svolta per l’ecologia politica, per i movimenti ambientalisti impegnati sulle diverse scene sociali e istituzionali. È l’acuirsi della crisi climatica a produrre questo punto di svolta, in un contesto planetario già gravato da una lunga crisi ambientale di cui gli aspetti più gravi sono il guasto, l’inquinamento degli ecosistemi e la perdita di biodiversità (a ritmi accelerati, al punto che si paventa una “sesta estinzione” di molte specie) insieme al perdurare di profondi squilibri socioeconomici e forti tensioni geopolitiche.

La preoccupazione per lo stato e le prospettive del pianeta fa levare voci giovani e nuove come quella di Greta e di milioni di coetanee e coetanei e voci anziane e autorevoli come quella di papa Francesco e molte altre nell’opinione pubblica internazionale. Questo coro, e queste stesse voci più note, sono state, nei decenni precedenti, anticipati, da un lato, da voci di scienziati e studiosi e, dall’altro, da quelle dell’attivismo ambientalista, che hanno portato quasi ovunque alla nascita di formazioni e partiti verdi.

Le idee, le analisi, le proposte di queste formazioni sono state e sono spesso contrastate sia direttamente che in forma più obliqua. L’accusa diretta prevalente è stata ed è quella di rappresentare nient’altro che un freno al “progresso”, allo “sviluppo”, magari in nome di preoccupazioni comprensibili o attraverso denunce anche condivisibili, ma giungendo a conclusioni velleitarie o, peggio, regressive.

 

Più insidiosa è invece la concorrenza che oppone ai Verdi chi intende sfidarli su un terreno che si potrebbe definire di “progressismo ecologista”, quello di chi non nega la necessità della conversione ecologica, ma intende perseguirla secondo modalità e tempi stabiliti da chi è parte fondamentale dell’attuale sistema economico e produttivo, definendo un compromesso in sé auspicabile ma condizionato dalle esigenze di interessi e funzioni e blocchi sociali e politici finora dominanti (e  che intendono continuare, sia pure dopo un buon “greenwashing”). È quest’ultima, per i Verdi, forse l’insidia maggiore, per la capacità gattopardesca dei portatori d’interessi legati al vecchio modello di farsene interpreti malgrado sia evidente la necessità di superarlo. Tra le forze politiche potenziali alleate dei Verdi, in diversi paesi, ve ne sono che condividono appunto tale approccio ed è questa la difficoltà emergente ora, mentre si profilano possibili maggioranze comprensive degli ecologisti nelle città, nelle regioni e nei governi nazionali di diversi paesi.

In realtà, proprio in un numero crescente di paesi e, al loro interno, in molte città e metropoli e in molte regioni, le formazioni ecologiste sono o sono state parte di non poche esperienze di governo. Le prossime elezioni federali in Germania potrebbero condurre, secondo i sondaggi attuali, alla conquista della Cancelleria da parte di Annalena Baerbock, candidata dei Grunen. Le elezioni appena svoltesi in Scozia, peraltro, se hanno visto un grande successo del Partito nazionalista di Nicola Sturgeon, hanno anche visto il successo degli Scottish Green, i cui eletti saranno determinanti per la formazione di una maggioranza di governo (con la Sturgeon).

È in un tale quadro che si pone, quindi, oggi, il nodo del rapporto tra l’ecologia politica e le altre culture in campo, in particolare quelle progressiste (di nuova sinistra o socialdemocratiche, laburiste, cristiano-democratiche). La necessità di tale rapporto non nasce solo dal fatto che, in molti paesi, è da alleanze parlamentari (a volte, ma non sempre, precedute da alleanze elettorali), che può nascere una coalizione di governo. La connessione tra crisi ambientale e climatica e crisi sociale ed economica porta le forze più attente a tali questioni a doversi reciprocamente confrontare per cercare intese e programmi capaci di produrre maggioranze parlamentari ed esecutivi all’altezza della complessità delle situazioni. Ciò presuppone, appunto, una consapevolezza di tale connessione tra crisi ecologica e crisi sociale. Tanto maggiore essa è, nei diversi campi politico-culturali, e maggiore può essere il grado di coesione delle alleanze politiche e, nel caso, di governo.

La pandemia, inoltre, rende drammaticamente evidente la necessità di uno sforzo globale per contrastarla e, sul piano europeo, di elaborare un piano comune, il Recovery Plan, articolato nei diversi paesi. È un piano che esplicitamene richiama l’obiettivo strategico di una rapida e profonda conversione ecologica dell’economia e della società. In realtà, per come si va concretamente definendo, è un piano che, soprattutto nei diversi paesi e a cura dei governi espressi dalle relative maggioranze parlamentari, appare spesso non coerente con tale finalità strategica, molte volte ispirandosi a una mera logica di “ripartenza” dell’economia e di “ristoro” delle perdite socioeconomiche piuttosto che a una vera rigenerazione socioeconomica, energetica e ambientale orientata dalla “rivoluzione verde” pure, a parole, dichiarata indifferibile e urgente.

Questa “rivoluzione”, peraltro, è già in corso in molti ambiti della società e dell’economia, producendo cambiamenti dal basso, per così dire, ma anche dall’interno (dei vari settori economici) e a volte dall’alto – cioè tramite decisioni politiche sia a livello decentrato, dei governi locali, sia centrale, del governo nazionale ed europeo, a livello di Commissione UE. Il Recovery Plan, con la sua insistenza sugli obiettivi di rigenerazione verde, assume questa priorità come principio guida del futuro europeo. Le resistenze a questa linea non mancano, come si è visto, e sono presenti in ogni campo politico, salvo appunto quello ecologista. È dunque a partire da questa linea di demarcazione che può essere affrontato il nodo delle possibili alleanze tra l’ecologismo politico e le altre culture, in particolare quelle progressiste (soprattutto se queste ultime saranno in grado di andare oltre i limiti di “industrialismo” ed “economicismo” che hanno spesso caratterizzato il loro “laburismo” anche prima di abbracciare spesso acriticamente, come è avvenuto a cavallo del secolo scorso e di questo, con la “terza via”, la globalizzazione neoliberista).

La fase che si apre, quindi, vede un possibile nuovo ruolo generale delle formazioni ecologiste. L’onda di consapevolezza verde che attraversa il pianeta può essere politicamente capitalizzata accumulando capacità di rappresentanza e forza di contrattazione e orientamento generale, nei diversi paesi e sulla scena globale. E può – deve – essere giocata sul tavolo delle strategie di governo nei singoli paesi e nelle diverse arene globali (da quella europea, istituzioni comunitarie comprese, a quella delle grandi entità planetarie che tentano di dare un governo al mondo).

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