Maria Mazzucato e Paul de Grauwe sono a loro modo due protagonisti del contesto economico contemporaneo, due pensatori di spessore che hanno svolto il decisivo ruolo di maestri del sospetto, di importanti critici degli eccessi e delle rigidità più problematiche del contesto della governance economica internazionale. Sfatando con il loro pensiero diversi tabù e diversi miti su cui l’economia mainstream si è irrigidita.

Ricordando in un contesto europeo e occidentale troppo speso polarizzato attorno a concetti economici eccessivamente semplicistici il ruolo degli attori pubblici e delle forze di matrice statale come volano e punti di riferimento per la crescita, lo sviluppo e l’innovazione Mazzucato e De Grauwe hanno saputo ergersi a punti di riferimento culturali costruendo una critica costruttiva e ragionata al pensiero unico neoliberista.

Il lavoro di Mariana Mazzucato si inserisce nella tradizione evoluzionista inaugurata dall’opera di Nelson e Winter e dal paper sui paradigmi tecnologici di Giovanni Dosi. Una tradizione che ripesca i lavori di Veblen e di Schumpeter, in particolare quelli di quest’ultimo, che vede nella distruzione creatrice l’essenza del moderno capitalismo.

A partire dal suo Lo Stato Imprenditore (tradotto in Italia da Laterza in modo un poco improprio Lo Stato Innovatore) Mazzucato mostra come lo scetticismo nei confronti dello Stato, presente nella teoria economica marginalista, non trova riscontro nella realtà: tesi riprese anche nel suo recente Missione Economia: una guida per cambiare il capitalismo.

Gli economisti mainstream sono notoriamente scettici nei confronti della politica industriale, soprattutto verso gli interventi di tipo orizzontale.

Lo Stato, secondo questa narrazione, sarebbe inefficiente e incapace di scegliere i vincitori. Mazzucato contesta questa visione e il framework secondo cui l’intervento dello Stato sarebbe giustificato dai cosiddetti fallimenti del mercato. Questa idea, che affonda le sue radici nel Primo Teorema dell’Economia del Benessere, vede il mercato come un sistema che tende a un ottimo paretiano in un contesto di prezzi dati, riducendo lo spazio di azione dello Stato. Ma, come ha scritto recentemente Dosi recensendo il volume di Gallegati su Il Manifesto, questo non è il mercato ma il baratto. Il mercato nasce infatti dall’interazione istituzionale, in un contesto evolutivo tra Stato e mercato.

Il compito della Stato, quindi, non è quello di aggiustare i fallimenti del mercato, quanto crearlo, sulla falsariga di quanto diceva Polanyi.

Se andiamo a considerare un caso paradigmatico, quello della Silicon Valley, notiamo come l’interazione tra il governo federale americano, l’Università di Stanford e i privati è stata l’innesco per la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo.

L’innovazione, infatti, è un processo incerto e collettivo. Nella prima fase i fondi privati sono insufficienti e per questo lo Stato interviene con un sistema sia di fondi sia di agenzie decentralizzate, come il DARPA, che attraverso spillover consentono al processo di innovazione di andare avanti. Questo infatti, sia per Mazzucato sia per Nelson e Winter e la tradizione evoluzionista, non è infatti un processo puntuale, ma di memoria, caratterizzato da fenomeni di isteresi.

Mazzucato quindi invita a riconsiderare il ruolo dello Stato nell’economia: già nel paper Does Techonology policies matters scritto da Henry Ergas e spesso citato dall’autrice si conoscono le implicazioni della politica americana come promotrice della crescita e dello sviluppo scientifico nel campo dell’innovazione tecnologica.

De Grauwe nasce invece liberale classico, alfiere della globalizzazione neoliberista e sostenitore della necessità di completare l’interconnessione tra mercati globali e settori economico-finanziari a scapito del potere regolamentatorio degli Stati. In The Uncompleted Globalisation il noto economista belga arrivò addirittura a sostenere che le tesi critiche della globalizzazione subivano l’influsso di un eccesivo pessimismo da parte dei loro proponenti.

In seguito, De Grauwe è divenuto un attento critico della tesi mainstream, un fautore della risposta politica alle crisi economiche che hanno travolto il Vecchio Continente a partire dal 2007-2008. E ha sottolineato la necessità di approfondire il coordinamento tra le politiche monetarie e la risposta della politica fiscale a livello comunitario e nazionale. Sfatando così due tabù: oltre a quello neoliberista del rifiuto dell’intervento dello Stato, anche quello dell’indipendenza assoluta della politica monetaria.

Mazzucato e De Grauwe, in sostanza, aiutano a comprendere l’economia come fattore legato all’ordinata capacità delle collettività di porre freni e regolamentazioni a mercati e forze economiche. Mostrando la capacità degli attori pubblici come produttori di sviluppo, innovazione e ordine. Insomma, di progresso.

Oltre le costrizioni del pensiero unico, mostrando l’eterogeneità delle opinioni a disposizione dei decisori e, soprattutto, la necessità di mettere pragmatismo e programmazione al servizio delle strategie.

Superando l’irrigidimento di un’ideologia, quella neoliberista, che pretende di andare al di sopra di tutte le altre, annullandole e negandone la legittimità.

Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 103117\