L’attuale crisi pandemica da Covid-19 ha rispolverato un concetto tradizionalmente connesso alla negazione o alla minimizzazione della gravità di fatti storici epocali universalmente riconosciuti, come l’Olocausto o la persecuzione degli Armeni da parte dei Turchi; più recentemente, al disconoscimento di fatti scientifici acclarati, come il surriscaldamento globale e le annesse trasformazioni climatiche. In realtà, nemmeno in materia più specificatamente epidemiologica sono mancate le tesi negazioniste, volte a negare l’esistenza di virus quali l’HIV e l’Ebola, o a imputarne “l’invenzione” a ditte farmaceutiche o lobby neocolonialiste. Tra le schiere dei “mercanti di dubbi” (il bel titolo scelto dagli storici della scienza N. Oreskes e E. M. Conway), che talvolta si fondono con quelle dei complottisti e dei dietrologi, si trovano anche scienziati affermati e internazionalmente autorevoli. Eclatante è stata, per esempio, la posizione negazionista sul rapporto di causazione tra virus dell’HIV e sindrome dell’AIDS difesa dal biochimico K. Mullis, premio Nobel per la Chimica nel 1993, padre della cosiddetta PCR, la tecnica di laboratorio che viene oggi utilizzata per diagnosticare l’infezione da coronavirus come il SARS-CoV-2.
Sulle varie forme di negazionismo, le scienze sociali hanno già accumulato un ricco patrimonio di studi e ricerche, che ne analizzano caratteristiche, ragioni e funzioni, oltre che le varie coloriture politiche e ideologiche. Almeno a partire dagli anni Ottanta, con l’indagine sull’“institutionally organized denial” di S. Lewandowsky e K. Oberauer (negazionismo istituzionalmente organizzato) a proposito del cambiamento climatico, il negazionismo scientifico è diventato oggetto di studi sistematici. Ma già in precedenza la psicologia aveva esaminato le giravolte cognitive che questo di solito comporta, tra fallacie logiche, scorciatoie epistemiche, più o meno sofisticate tecniche di autoinganno, dalla selezione strategica di evidenze corroboranti entro pletore di fatti contrari, alla loro distorsione o perfino invenzione a scopi di riduzione della dissonanza cognitiva, fino alla più radicale ed inconscia rimozione del problema. Insomma dalla letteratura specialistica sul tema apprendiamo che si può essere negazionisti in vari modi, con intensità diverse e per ragioni differenti; ne traiamo l’analogia con un multiforme disturbo della vista, sempre debilitante, anche quando non si manifesta nelle forme più severe di cecità. Dalla miopia verso il passato a quella verso il futuro, di cui è prototipo il negazionismo climatico ben analizzato, tra gli altri, da Antonio Scalari in un recente articolo per “Valigia Blu” (15 dicembre 2020), si passa alla presbiopia verso le evidenze scientifiche del presente, che come ben si sa, sono certe solo fino a prova contraria.
Traendo le più radicali e scettiche implicazioni da questo principio epistemologico basilare, i negazionisti edificano le proprie posizioni su un grave fraintendimento gnoseologico, ovvero una concezione iperbolica, irrealistica e anti-scientifica della Verità. Nello stesso tempo, le tesi negazioniste sostituiscono un principio di piacere a un principio di realtà, e così assolvono una doppia funzione pragmatica, che le accomuna trasversalmente e le rende care a chi le sostiene: da un lato rasserenano, consolano, e assolvono, producendo narrazioni e giustificazioni collettive che è facile o piacevole sottoscrivere; dall’altra, liberano da certe responsabilità chi governa, esonerando da decisioni difficili e molto spesso impopolari.
Dall’osservazione dell’attuale crisi pandemica apprendiamo invece, ogni giorno avvertendo in noi profonda la paura del contagio e ancora più profondo il desiderio di sopravvivere, che i comportamenti che si ispirano a concezioni negazioniste verso il Covid-19 sono tendenzialmente imprudenti e irresponsabili, perciò per noi tutti e per ciascuno, pericolosi. Descrivere un pericolo così grande, e spiegare come sia possibile che il negazionismo scientifico sia tanto diffuso in società avanzate come le nostre, quali condizioni culturali lo rendano diffuso e lo rafforzino, è un’impresa che anzitutto richiede di accantonare frettolose imputazioni di irrazionalità, o di ostinata ignoranza, a parti rilevanti di popolazione. Stando ai risultati di uno studio pubblicato nel giugno del 2020 dallo European Council for Foreign Affairs, e condotto tramite una indagine in nove paesi e su un campione di 11.000 intervistati, la diffusione del Covid-19 avrebbe infatti rafforzato la sfiducia dei cittadini europei nel rapporto tra scienza e politica, tanto che il 38% del campione condivide pienamente l’affermazione che “i governanti usano gli esperti per giustificare decisioni già prese, piuttosto che per prenderle”. Il grado di fiducia nelle autorità scientifiche, però, varia notevolmente da paese a paese; mentre rimane molto alto nei paesi scandinavi, esso si abbassa drasticamente in Polonia, Francia e Italia, dove i cittadini sarebbero anche più inclini a ritenere che gli esperti siano soggetti a strumentalizzazioni politiche e a censure ideologiche. Da questo studio emerge inoltre che gli orientamenti negazionisti sono positivamente correlati con posizioni politiche conservatrici, di destra o estrema destra, un fatto che non ci sorprende per nulla, dopo avere ascoltato i discorsi negazionisti dell’ex Presidente D. Trump (prima e dopo la sua malattia) e quelli dell’attuale Premier Johnson (prima della malattia). Per quanto non sufficienti, questi elementi sembrano suggerire una certa weberiana “affinità elettiva” tra l’ideologia neoliberale e neoliberista da un lato, e le tentazioni del negazionismo dall’altro; ovvero almeno una significativa convergenza nell’assegnare alla politica limitati spazi di intervento, o addirittura anti-interventisti, non solo in materia economica (si pensi alla prospettiva di una “naturale” immunità di gregge).
Ma non per questo, ovvero riconoscendo che il negazionismo può essere coerente con altri valori o dimensioni di un sistema ideologico, si dovranno ritenere innocue le sue tentazioni o razionali le sue tesi: queste possono essere sì spiegate da ragioni, ma da ragioni che rimangono, fino a prova contraria, false.