L’Europa pensata dalle nuove destre radicali ha due significativi antecedenti, quello del Nuovo ordine europeo, inteso come dominio razziale dei popoli superiori sull’intero Continente, e il concetto di “fortezza Europa”, il consorzio di paesi antidemocratici e avversi al pluralismo. Di matrice nazista, entrambi sono presto divenuti patrimonio, con il secondo dopoguerra, dei neofascismi e del neonazismo. La visione che ci restituiscono dell’Europa medesima è quella di un territorio minacciato sia dai processi immigratori che dalla “decadenza borghese” dei costumi collettivi. In tale senso, prima ancora che un progetto politico, essi esprimono una visione di fondo delle relazioni sociali dove ai processi di emancipazione collettiva vengono contrapposti le false virtù di un neofeudalesimo delle servitù dovute a ciò che chiamano “aristocrazia dello spirito”. La funzione assolta dall’arcipelagonero, oltre a quella di ridefinire i confini della sua identità adattandola ai mutamenti dell’agenda politica, è tuttavia anche quella di concorrere a scrivere parti di essa sui macrotemi che sono chiamati in causa dai processi di globalizzazione: trasformazioni del tessuto economico, riconfigurazione della coesione sociale e ristrutturazione dei legami di collettivi. In tale senso, ancora una volta – così come quasi un secolo fa – testimonia del suo essere agente politico del “panico morale”, quell’angoscia comune che interpreta il mutamento come una minaccia sistematica, un disordine al quale si può porre rimedio esclusivamente attraverso il rifiuto, la chiusura in sé, l’idealizzazione negativa di complotti e la richiesta di uno stravolgimento autoritario degli ordinamenti politici ed istituzionali. Il terreno di azione del radicalismo europeo è quindi quello della cesura che si va determinando, nelle nostre società, tra l’ansia per un presente vissuto come soverchiante ed espropriatore ed un futuro di cui non si coglie alcun segno promettente all’orizzonte.
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