Nel contesto europeo, il tema della rinascita dell’estremismo di destra è molto dibattuto a livello accademico, politico e sociale fin dalla metà degli anni Novanta, da quando cioè si è cominciato ad avanzare ipotesi di un cambiamento della natura dei suoi principali rappresentanti partitici, passati – a livello ideologico – da un formato “tradizionale” ad uno “post-industriale” (Ignazi 1994). Questa trasformazione prendeva in considerazione soprattutto il legame dei partiti dell’estrema destra con l’ideologia fascista e distingueva tra i partiti che continuavano a riferirsi idealmente a quell’esperienza storica e quelli che, abbracciando temi “nuovi” (dall’immigrazione con conseguente protezione in chiave etnocentrica dei diritti dei “nativi”, ad una inedita esposizione sul versante economico che non escludeva posizioni liberali) cominciavano a discostarsene. Sulla natura di questo allontanamento, da alcuni attribuita ad una strategia di sopravvivenza in un mutato ambiente socio-politico ed economico, da altri ad una trasformazione da leggersi in chiave di cultura politica, si sono presto innestati altri ordini di considerazioni relativamente alla possibilità di considerare la famiglia politica dei partiti dell’estrema destra analiticamente distinguibile da quella dei partiti populisti di destra (Betz 1993) che hanno cominciato ancor prima dell’inizio del nuovo millennio a raccogliere successi elettorali in molti paesi dell’Europa occidentale.
Il fervente dibattito accademico sulla natura ideologica di partiti che come l’attuale Ressemblement National di MarineLe Pen hanno tentato di discostarsi dall’eredità estremista del Front National del padre Jean Marie Le Pen, leader indiscusso del Front National per più di 30 anni, o sulle trasformazioni ideologico-organizzative di un partito come la Lega Nord, di matrice populista e regionalista alle origini, passato sotto la leadership di Matteo Salvini ad una prospettiva nazionale di segno nativista, benché rilevante dal punto di vista analitico-definitorio, rischia di mettere in ombra alcuni altri importanti elementi di riflessione.
Il primo ha a che fare con il contesto politico-geografico; il secondo con la struttura organizzativa e l’ambito di azione di partiti e movimenti di estrema destra; il terzo con riflessioni di natura metodologica relativamente allo studio di questi attori.
Sul versante delle riflessioni che investono l’utilizzo di una stessa lente di analisi – quella dell’estrema destra – per contesti molto diversi, occorre esordire con una nota di attenzione. Se infatti non c’è dubbio che a livello internazionale alcune tendenziali convergenze siano riscontrabili – tra queste la diffusione a livello strategico comunicativo dell’appello al popolo con richiami identitari escludenti rispetto a forme di alterità non solo etniche ma anche sociali e relative ai “modelli di genere” – la tradizione di esperienze radicali di destra nei paesi dell’Europa occidentale sono di segno differente da quelle dei contesti extraeuropei. L’attuale tendenza ad una comune definizione del successo della destra radicale, pur mettendo in luce elementi di diffusione transnazionale favoriti dagli sviluppi digitali, cela differenze sulle quali sarebbe opportuno indagare almeno da due punti di vista.
In primo luogo, parlare di “famiglie di partito” della destra estrema o, secondo le più recenti tendenze, di partiti populisti della destra (radicale) induce ad abbracciare una visione incentrata sul multipartitismo dei Paesi dell’Europa occidentale. Nei contesti tradizionalmente bipartitici invece, ma non solo, gli sviluppi sul versante della destra radicale investono in maniera indiretta (il che non significa necessariamente con un basso livello di impatto) il sistema dei partiti. Occorre perciò cercare di gettare uno sguardo ampio sul panorama dell’estrema destra, cercando di considerare in maniera analitica l’evoluzione sul piano dei partiti e su quello dei movimenti. Che la distinzione non sia ininfluente lo dimostra la veloce attivazione sociale di gruppi come QAnon che nel contesto pandemico hanno trovato un volano di attivazione che ha permesso alle componenti estremiste di destra (tra le altre presenti nel variegato movimento statunitense) di saldarsi con temi più classici della mobilitazione populista di cui Donald Trumpsi è fatto interprete nel quadriennio presidenziale negli Stati Uniti. La distinzione nello studio tra partiti e movimenti si rileva particolarmente utile anche in chiave europea, dove l’analisi dello sviluppo di movimenti come PEGIDA in Germania o CasaPound in Italia dimostra come le riserve di attivazione di risentimenti sociali e richiami all’omogeneità identitaria siano differenti per partiti politici e movimenti, ma evidenzia anche come tale attivazione sia utile a favorire saldature tra partiti e movimenti in chiave tematica, utili alla sopravvivenza di partiti e movimenti nel lungo periodo.
È inoltre importante prendere in considerazione gli approcci all’analisi del successo di questi partiti e movimenti non solo alla luce delle variabili storico-politiche che caratterizzano le loro dinamiche evolutive in contesti diversi. Accanto agli elementi specifici di crisi economica, politica, culturale che accompagnano la narrazione elettorale e di mobilitazione politica di questi attori politici, un’attenzione particolare va riservata alle modalità di studio di questi fenomeni. Se i successi elettorali delle formazioni che si richiamano al populismo escludente spingono verso una valutazione comparata che ne enfatizza i caratteri di somiglianza, studi specifici di tipo etnografico sono in grado di restituire la complessità del richiamo alla mobilitazione nei confronti di cittadini che abbandonano la ritrosia alla partecipazione politica tipica di chi ormai nutre una profonda sfiducia nei confronti della democrazia rappresentativa. La rinnovata disponibilità all’azione di protesta politica non solo di tipo elettorale è dunque uno degli elementi che occorrerà indagare nel prossimo futuro per comprendere come specifiche strutture di opportunità – quali l’attuale crisi pandemica – vengono agite da partiti e movimenti, e come le parole d’ordine della destra radicale sono in grado di riflettere specifici contesti di crisi e adattarsi alle relative contingenze.