Proponiamo alcuni estratti dall’introduzione di Marcello Flores, Spartaco Puttini, Sara Troglio al testo ‘900, la stagione dei Diritti. Quando la piazza faceva la storia, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2018.
Le trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali in corso nella nostra società e nel sistema democratico interrogano le basi stesse sulle quali si fonda il patto di cittadinanza.
A partire da questo contesto, si può riflettere su almeno tre piani.
Il primo ci spinge a non dare per scontati i diritti dei quali oggi godiamo e a indagare sulla loro origine. Il loro ottenimento è stato frutto di lotte e sacrifici da parte di uomini e donne che spesso si sono giocati tutto quello che avevano per conquistare condizioni di vita migliori e una maggiore giustizia. La loro storia ci parla di gruppi sociali tenuti ai margini o ignorati, considerati “oggetto” dell’iniziativa altrui e non “soggetti” attivi, legittimamente portatori di istanze, aspettative e rivendicazioni. La loro azione ha prodotto un allargamento dello spazio di cittadinanza. Quali sono le condizioni che hanno determinato le grandi conquiste del Novecento? In quale clima culturale si sono sprigionati i movimenti sociali e rivendicativi? Queste sono alcune delle domande che vogliamo porci, mentre guardiamo al nostro passato recente e alle sue eredità.
Il secondo livello di lettura invita a riflettere sul fatto che il processo di acquisizione dei diritti individuali e collettivi non è stato lineare. Ha dovuto affrontare battute d’arresto e ripiegamenti, comportando un continuo braccio di ferro tra interessi e forze contrapposti.
Infine, si vuole sottolineare come, proprio alla luce di questi insegnamenti del passato, i diritti non possano mai essere considerati definitivi. Richiedono, al contrario, uno sforzo continuo di difesa, ridefinizione e impegno collettivo.
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Con sempre maggiore enfasi, la comunità internazionale ha accettato l’idea che tutti i diritti, come ha affermato la Dichiarazione di Vienna del 1993, sono “inalienabili, universali, indipendenti e indivisibili”, rifiutando una gerarchia al loro interno. Ogni diritto, in sostanza, è necessario alla realizzazione degli altri e la violazione di alcuni comporta generalmente la violazione anche di altri.
Oggi la discussione sui diritti umani sembra focalizzata su alcune questioni, tra loro strettamente legate. La prima riguarda l’“universalità” dei diritti, la possibilità di una visione universale che riesca a coinvolgere culture e tradizioni di pensiero diverse e spesso distanti.
La seconda questione riguarda la distanza che esisterebbe tra il riconoscimento dei diritti civili e politici e quello dei diritti economici e sociali. È vero che si è fatta strada negli ultimi anni una tendenza a riproporre come “veri” diritti umani soprattutto o esclusivamente quelli civili e politici, perché si tratta di diritti “negativi” che si possono facilmente introdurre abolendo le leggi che li contrastano (abolire la censura, introdurre il diritto di voto, garantire l’indipendenza della magistratura). Ed è vero che è molto più difficile rendere concreti i diritti “positivi” economici e sociali, che hanno bisogno di un fattivo e intenzionale intervento dello stato per essere garantiti (salute e istruzione hanno bisogno di ospedali e scuole, di medici e insegnanti, e quindi di risorse importanti per garantirle a tutti).
La maggiore lentezza con cui i diritti sociali ed economici possono venire implementati, e la maggiore rapidità con cui si possono abolire o limitare reintroducendo discriminazioni sui diritti che sembravano superate, in realtà sono accompagnate da un identico processo che coinvolge anche i diritti civili e politici, e in qualche caso in modo ancora più marcato i diritti di solidarietà o quelli di ultima generazione. Sono le decisioni politiche di governi e stati che modificano la loro impostazione a seguito di vittorie elettorali (o di restrizioni autoritarie di varia natura) a costituire il terreno di arretramento dei diritti, dati troppo facilmente per permanenti una volta acquisiti. Quello cui assistiamo in questi ultimi anni mostra come la battaglia per difendere i diritti faticosamente conquistati chiama in causa la vigilanza, l’attivismo e il senso di responsabilità di tutti.