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Contributo editoriale dall’area di ricerca
Globalizzazione e sostenibilità

The greatest threat to our planet is the belief
that someone else will save it
”.
Robert Swan

 

La necessità di una maggiore sostenibilità delle produzioni e dei consumi agroalimentari globali, con conseguente innovazione dei processi lungo le filiere, è un tema cruciale nelle agende di policy globali. Per questo motivo, la prospettiva con cui Fondazione Feltrinelli ha scelto di inquadrare i lavori del primo Food Economy Summit ha voluto segnare la convergenza tra forma e contenuti, mantenendo nel dialogo simultaneo tra globale e locale, e nell’alternanza di attori istituzionali, accademici, privati, quella dimensione matriciale che è alla base di soluzioni sostenibili, partecipate, inclusive. Dopo i saluti istituzionali è con le parole di Hunter Lovins (Natural Capitalism Solutions) che l’evento apre ad una riflessione sull’urgenza di reagire alla crisi climatica e ad una valutazione approfondita del modello dell’agricoltura rigenerativa come approccio ecosistemico da cui derivare risposte concrete e attuabili.

 

La necessità fisiologica e globalmente percepita di trasformare le filiere agroalimentari conduce quindi ad una considerazione approfondita dei temi della corresponsabilità e dell’interdipendenza. Se, infatti, non si può più immaginare di negare la gravità della crisi ambientale globale, è pur necessario accettare che la risposta dovrà essere sistemica, partecipata, condivisa, in altre parole complessaNicola Colonna (Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali – ENEA) affianca ai temi di scenario offerti da Lovins la prospettiva delle Istituzioni, sottolineando come la filiera agroalimentare sia cruciale per riuscire a declinare impatti ambientali, sociali e di mercato, all’interno di un trend di governance globale che deve convergere verso modelli innovativi e responsabili. Gli fa eco Stefano Liberti, che sottolinea come

«A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, il cibo è andato prendendo sempre più i connotati di merce globale, la cui produzione, commercializzazione e distribuzione appaiono controllate da pochi grandi attori. La dinamica della commodity – un prodotto de-territorializzato, uguale in tutto il mondo – ha investito in modo vigoroso il settore alimentare, con un aumento esponenziale del commercio di derrate attraverso il pianeta, facilitato anche dal proliferare di accordi di libero commercio. Se il cibo ha sempre viaggiato nella storia, gli sviluppi recenti presentano una dinamica diversa e per certi versi inedita perché tendono a far prevalere un modello agro-industriale in cui necessariamente sopravvive solo chi è capace di fare economie di scala globali e produrre là dove i costi sono più contenuti». (Leggi il testo completo)

 

Sul tema della concentrazione industriale nel mercato dell’agroalimentare è utile richiamare il contributo di Raj Patel (University of Texas at Austin) che sottolinea come non sia al mercato, né tantomeno all’attore pubblico, cui si deve guardare per riequilibrare le asimmetrie di potere nella filiera agroalimentare, quanto ai movimenti contadini e al valore del lavoro femminile come motore per innescare processi di redistribuzione più equi e una maggiore rappresentatività degli esclusi.

Interessante collegamento, questo, con quanto proposto dalla antropologa sociale A. R. Vasavi, che già in precedenza aveva posto l’attenzione sul rischio che l’intensificarsi dello sfruttamento delle risorse – incluse quelle umane – all’interno del settore agroalimentare potesse condurre all’annientamento delle culture agricole e alla negazione dei diritti dei contadini, ridotti allo stato di rifugiati agricoli, spossessati dei loro territori e della loro cultura, finanche della loro cittadinanza. Da loro, fa eco Patel, occorre dunque ripartire.

 

 

Chiusa la prima sessione, dedicata alla necessità di riconoscere l’urgenza dell’agire immediato e partecipato, sono stati i tavoli tematici guidati dagli spunti ricevuti nella mattinata a dettagliare in sei diversi temi di lavoro la necessaria prospettiva di analisi verticale e settoriale:

  • “Modalità di Produzione innovative e sostenibili”: il tema trattato è stata l’innovazione applicata ai processi produttivi nel settore dell’Industria del Food, dall’industria 4.0 alle più concrete innovazioni che permettono ai produttori del Food di migliorare la qualità dei prodotti e la loro posizione di mercato.
    Coordinatore Francesco Rampa, Head of Programme Sustainable Food System – European Centre for Development and Policy Making
  • “Modalità di Consumo innovative e sostenibili”: il tema del tavolo è stato quello di riflettere sui modelli di consumo del Food, con particolare riferimento ai sistemi organizzativi che li supportano e al ruolo dei consumatori nell’adottarne, o meno, di più sostenibili ed innovativi.
    Coordinatrice Simona Castaldi, Barilla Centre for Food and Nutrition
  • “Economia dell’Innovazione Tecnologica nell’Industria Agroalimentare”: il tema è stato quello degli impatti economici dell’innovazione tecnologica verde, ossia della parte hard della Green Economy, con riferimento alle politiche macroeconomiche nazionali ed internazionali.
    Coordinatore Massimiliano Mazzanti, Economista Ambientale, Università degli Studi di Ferrara.
  • “Innovazione Sociale e nuove filiere”: in questo tavolo il tema in discussione sarà quello dei modelli sociali innovativi che sostengono produzioni e consumi sostenibili di cibo e bevande, con riferimento alle nuove relazioni territoriali nate da reti collaborative dal basso.
    Coordinatrice, Rosella Blumetti, Associazione BuonMercato
  • “La buona filiera”: in questo tavolo sono stati analizzati gli aspetti ambientali e sociali legati ai diritti umani lungo le filiere del food, con rilevanza nazionale nei territori interessati dalle ricadute (positive o negative) tra produttori, buyer e consumatori.
    Coordinatrice Federica Leonarduzzi, Chief Monitoring and Evaluation officer – CTM Altromercato.
  • “Globalizzazione Sostenibile”: la dimensione politica internazionale è stato il tema di questo tavolo, che ragionerà di come le istituzioni multilaterali possono favorire l’adozione di meccanismi trasparenti e incentivi concreti che spingano produttori e imprese a scegliere la via della Green Economy.
    Coordinatore Andrea Carapellese, Investment Promotion Expert UNIDO – ITPO

 

La presentazione in plenaria, a conclusione della sessione, ha permesso di condividere con il vasto pubblico le di policy di breve, medio e lungo periodo che sono state delineate a conclusione dei lavori nei diversi tavoli, consultabili nei report qui allegati.

Hanno chiuso il primo giorno di riflessioni, Alessandro Banterle (Università degli Studi di Milano) affiancato da Andrea Baldoni (Mediocredito Italiano – Intesa Sanpaolo), chiamati a commentare le policy emerse dai gruppi di lavoro dal punto di vista della ricerca universitaria e del settore privato creditizio, anch’esso driver di cambiamento all’interno di uno scenario in cui, dal finanziamento alla misurazione d’impatto, ogni fase operativa deve essere riprogettata perché si orienti verso la sostenibilità socio-ambientale dell’agroalimentare.

Il secondo giorno del convegno è stata caratterizza per una prospettiva scesa sul terreno delle pratiche. La masterclass di apertura del Prof. Veca ha contestualizzato i contenuti del dibattito rivolgendosi agli studenti del Master in Sustainable Jobs, promosso da Fondazione Feltrinelli, anch’essi ospiti e animatori del convegno. Oggetto dell’intervento del Professore è stata la multidimensionalità della sostenibilità, i diversi ambiti che ne sono sempre stati toccati storicamente, fin dall’avvio delle riflessioni sul rapporto tra uomo e natura vis à vis la nascita delle prime istanze politiche sul tema, in grado di collegare le agende politiche globali ai relativi impatti locali. Il tema dell’impatto territoriale del ripensamento delle filiere agroalimentari è stato successivamente dibattuto nella sessione intitolata “Lo spazio del cibo” in cui Stefania Amato (C40), Rossana Torri (OpenAgri, Comune di Milano), Roberto Sensi (ActionAid) e Chiara Pirovano (Comune di Milano) hanno discusso di come la città rappresenti il primo e più potente laboratorio di sperimentazione di produzioni e consumi sostenibili. Le esperienze milanesi e di altri territori menzionati sono state arricchite dalla testimonianza di Maruska Markovic (Comune di Lubiana), che ha presentato la policy urbana sul cibo sostenibile e sulla filiera agroalimentare della città slovena.

Nel pomeriggio, il focus è tornato in Italia presentando esperienze concrete provenienti da diverse regioni: Puglia, Trentino Alto Adige, Sicilia, Veneto, Calabria. Le buone pratiche presentate sono state tematizzate all’interno di tre esperienze economiche di cambiamento: la filiera che cambia (Biorfarm, Coldiretti), il prodotto che cambia (BMS Micronutrients, Frumat, Karadrà) e il consumo che cambia (Sicilia Avocado, Indovina chi viene a cena e LOL-LeftOverLovers). Da tutte le esperienze, ciò che è emerso è stato un forte investimento in innovazione, frutto di una diversa gestione dei materiali primari e secondari, macchinari di produzione avanzati, intermediazione via dispositivi digitali (i); un’attenzione al recupero valoriale del cibo, da consumarsi per unire culture diverse e da prodursi recuperando spazi e mestieri abbandonati (ii); e infine la presenza di ecosistemi di progettazione ibridi, che uniscono attori privati, pubblici e del terzo settore, come emerso dall’intervista del referente del progetto “LeftOver Lovers”.

 

 

Questi ed altri aspetti sono stati commentati e poi utilizzati per aprire verso nuovi affondi in materia di responsabilità sociale legata ai modelli di business innovativi e sostenibili nell’agroalimentare, come ha sottolineato (nell’intervista in basso) l’Onorevole Mauro Del Barba (Assobenefit). Alessandro Gavinelli (Commissione Europea) ha sottolineato quanto la sostenibilità sia un tassello fondamentale da affiancare a quello della sicurezza alimentare intesa sia come benessere animale, che come salubrità dei cibi e dei prodotti alimentari commercializzati nel mercato europeo, auspicando una convergenza dei due valori – sicurezza alimentare e sostenibilità – da lasciare in eredità alla prossima Commissione insediata. La rilevanza della prospettiva internazionale, già indicata dalle parole del prof. Paolo De Castro (Vice Presidente della Commissione per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale – 8^ legislatura UE) come cruciale per la convergenza dei diritti di accessibilità al mercato da parte di piccoli produttori, viene esemplificata nell’attenzione crescente data dalle policy europee ai territori e alla trasparenza della filiera, verificata e normata in maniera puntuale e verificabile. Tiziana Primori, di FICO Eataly World, ha invece evidenziato come la rete di piccoli produttori possa salvare questi dai processi di accorpamento di mercato e come essi rappresentino il biglietto da visita di un sistema produttivo nell’agroalimentare fa la differenza presentandosi unito.

 

 

Ha concluso il panel Alessandro Galli, ricercatore del Global Footprint Network, che ha presentato dati e analisi prospettiche basate sull’andamento dei consumi mondiali riferiti alla capacità di rigenerazione naturale (impronta ecologica) per i quali consumiamo – globalmente – più risorse di quelle a disposizione, terminando ogni anno – sempre prima – nello stato di cosiddetto overshoot day. Dai dati alle prassi, dal territoriale al locale, di nuovo l’attenzione degli ospiti è stata rivolta alla necessità di agire, assumendosi la propria responsabilità.

Dopo aver approfondito l’innovazione legata a nuove architetture sociali che leghino tutti gli attori della filiera, e non solo i più rappresentativi politicamente o economicamente, attorno all’obiettivo comune di un mercato più accessibile – quindi più aperto – più giusto e a minor impatto ambientale, è di Molly Anderson (IPES) la conclusione del Food Economy Summit: nella sua keynote lecture evidenzia come non vi sia più tempo per illustrare innovazioni decontestualizzate; per banalizzare il valore etico del cibo nella mera convivialità della sua fruizione; per cristallizzarsi sulle formalità gestionali delle soluzioni richieste. Occorre innescare il cambiamento a partire da contenuti scientifici innovativi, uno su tutti il modello dell’agroecologia, per i quali poi innestare un continuo dialogo a tre tra imprese, istituzioni e ricerca, triade d’azione per un cambiamento che inizi adesso, producendo una sintesi d’azione tra aspirazione e sostanza.

 

Di seguito, i report dei tavoli di lavoro:

 

Partecipanti:

  • Andrea Carapellese (Coordinatore) UNIDO-ITPO
  • Paola Fontana – Comune di Trento
  • Stefano Corsi – Università degli Studi di Milano
  • Alberto Giansanti – Università degli Studi di Milano – Bicocca
  • Elena Del Medico – Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi
  • Stefania Quaini – Fondazione Eni Enrico Mattei
  • Maria Sassi – Università di Pavia
  • Chiara Pirovano – Food Policy Comune di Milano
  • Francesca Dell’Aquila – già Assessore alle politiche culturali e di sostenibilità del Comune di Monza
  • Paolo Corvo – Università degli Studi di Scienze Gastronomiche
  • Concetta D’Emma – Unconventional Hotels

 

Premessa

Casi di pratiche sostenibili non mancano nel settore agroalimentare. Ciò che difficilmente si riscontra è l’estendibilità di questi a livello regionale, nazionale e globale. Tuttavia, generare una massa critica di comportamenti produttivi e di consumo più virtuosi è necessario per poter dire di aver adottato un modello davvero globale di crescita sostenibile.

Il ruolo delle organizzazioni internazionali, ad oggi, rimane poco incisivo e la crisi economica, che interessa una parte di mondo, non facilità la presenza di investimenti sostenibili nel breve e medio periodo. Come creare le condizioni perché si attui uno scaling globale di meccanismi di produzione e consumo sostenibili è il punto cruciale che le prossime policy socio-ambientali dovranno affrontare per orientare tutti gli attori verso scelte più responsabili, in tutto il mondo.

Il tavolo è stato chiamato a confrontarsi su questo tema con l’obiettivo di isolare possibili risposte, declinando tre possibili azioni concrete organizzate secondo uno sviluppo temporale di breve, medio, e lungo termine.

 

Questione chiave

Come si può estendere a livello globale un modello di produzione e consumo agroalimentare sostenibile?

 

Discussione

Innanzitutto, è emersa l’impossibilità di immaginare un paradigma unico di sviluppo. Bisogna proporre modelli che prevedano una coesistenza di pratiche diverse ed evitare le posizioni estremistiche. È necessario, dunque, un approccio olistico e multistakeholders che includa e faccia interagire tra loro tutti i diversi attori del territorio e valorizzi le rispettive diversità. Se facciamo riferimento ai territori, facciamo riferimento agli agenti. È sul territorio che si costruisce la sostenibilità. È necessario quindi porre al centro il territorio e dare valore monetario alla produttività della terra.

Tuttavia, far interagire tra loro soggetti diversi, portatori di interessi e di modelli di sviluppo diversi, non è facile. Tra i modelli virtuosi se ne possono citare diversi. Il Fairtrade , per esempio, che permette un trattamento equo e pone la sostenibilità come scelta strategica integrata nei processi aziendali. Si tratta di un modello, questo, che si sta avvicinando ai consumatori ed è stato adottato anche nel settore del vestiario. Altro esempio è la nutrition and environmental sensitive agriculture, un’agricoltura rispettosa dell’ambiente che integra le necessità dell’essere umano con quelle del pianeta.

Quando di parla di sostenibilità, tuttavia, è necessario mantenere un equilibrio tra sostenibilità ambientale, sociale ed economica. È sbagliato focalizzarsi solo su quella ambientale, come spesso avviene.

Venti o trent’anni fa sembrava che la frattura fosse tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati. Ora la vera frattura è tra privato e pubblico e si è allargata a quella tra poveri e ricchi.

 

Proposte

Dopo questo brainstorming che ha valorizzato le esperienze professionali e il background accademico dei partecipanti al tavolo, i partecipanti al tavoli di lavoro si sono concentrati nel razionalizzare e sistematizzare quanto detto a proposito del macro tema “globalizzazione sostenibile” in maniera da fornire spunti che possano orientare scelte – e disegnare scenari pratici di applicazione – sulle seguenti direttrici:

  • 3 orizzonti temporali (breve, medio, lungo)
  • 3 categorie attoriali (pubblico/policy maker, privato/produttore, singolo/consumatore)
  • 3 temi/strumenti (policy, territori, formazione)

 

Breve Periodo – POLICY VINCOLANTI E INCENTIVANTI
  • Valorizzazione di indicatori di sostenibilità che ispirino regolamenti produttivi e orientino le scelte dei consumatori (SDGs compliance) con conseguente adozione di una metrica che quantifichi fattori non economici (valutazione economica delle esternalità negative). Necessità di integrare nuovi valori nella certificazione dei prodotti e dei processi produttivi del mondo privato – opportunità per un nuovo stimolo all’economia;
  • Climate smart agriculture e adattamento a contesti locali (Innovation in Tradition);
  • Sostenibilità come scelta strategica integrata nei processi aziendali (e.g. nuove frontiere modello Fairtrade);
  • Sostenibilità istituzionale – globalizzazione della democrazia e dei diritti;
  • Food policy – come ad esempio il patto delle città impegnate nell’agroalimentare – attori principali sono le città (passaggio da Agenda 21 a Patto dei Sindaci) impegnate in un rafforzamento reciproco delle politiche volontaristiche con quelle giuridiche vincolanti;
  • Economia circolare scalata a tutti i settori produttivi e recupero del territorio (es. Banca della terra).

 

Medio Periodo – RAPPORTO CON I TERRITORI
  • Approccio olistico e multistakeholders – valorizzazione delle diversità e inclusività Pubblico/Privato/singolo – evitare semplificazione, necessario approccio complesso alle interazioni tra attori del territorio – “Sul territorio si costruisce la sostenibilità”;
  • Nutrition sensitive agriculture – integrazione tra le necessità dell’essere umano e quelle del pianeta;
  • Reverse innovation e circolazione idee/conoscenze/tecnologie e valorizzazione dell’innovazione relativa rispetto ai territori – applicazione di business model sostenibili (dal punto di vista economico, ambientale e sociale) in contesti locali;
  • Mappatura dei modelli di agricoltura sostenibile e buone pratiche – identificazione caratteristiche comuni e replicabili;
  • Trasformare difficoltà in opportunità (es. agricoltura biologica in contesti non interessati dalla c.d. Rivoluzione Verde);
  • Modello produttivo ibrido che assicuri simmetria informativa e tracciabilità attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie che semplifichino la vita al consumatore (fruibilità delle nuove tecnologie – Big data, Blockchain, IoT).

 

Lungo Periodo – FORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE
  • Consumo Critico 2.0 – nuovo paradigma della sostenibilità, non solo come scelta etica;
  • Advocacy/marketing di nuovi prodotti sostenibili a livello di costi di produzione e impatto sul pianeta – rispetto e valorizzazione commerciale della biodiversità;
  • Gastrodiplomacy e turismo esperienziale;
  • Creazione competenze giuridico/economiche in capo ai decision-maker improntate all’interdisciplinarietà;
  • Lavorare sulla sensibilizzazione dei più piccoli (e.g. orti scolastici).

 

Conclusioni

La globalizzazione è una tematica che riguarda, per ovvie ragioni, il mondo intero e che interseca questioni diverse. Ad oggi – rimane assodato – la globalizzazione è insostenibile. Per questo motivo, tra gli obiettivi a lungo termine è stato proposto il “consumo critico 2.0”,che pone al centro un nuovo paradigma della sostenibilità, non solo come scelta etica.

Se, infatti, passiamo dalla scala locale alla scala globale, le questioni si complicano, e ancor più complesso diventa il problema di come replicare a livello globale modelli di produzione e consumo che siano davvero sostenibili. Il biologico, per esempio, sebbene costituisca un ottimo modello, non appare praticabile per sfamare una popolazione che tra poco arriverà a superare i 10 miliardi di individui.

Non si può prescindere, poi, dal mondo del privato. È in questo settore che si trovano le maggiori risorse economiche e non più nelle casse degli Stati, a cui è rimasto invece solamente la policy, con la quale, però, si possono costruire modelli di governance, a patto che queste siano vincolanti e incentivanti, e valorizzare indicatori di sostenibilità che a loro volta possano incentivare regolamenti produttivi e orientare le scelte dei consumatori. Possono costituire un’opportunità per un nuovo stimolo all’economia se integrano nuovi valori nella certificazione dei prodotti e dei processi produttivi nel mondo del privato.

Si parla molto, negli ultimi tempi, di certificazione riguardo gli SDGs (Sustainable Development Goals). A questo proposito, è stata avanzata la proposta di inserire gli obiettivi di sviluppo sostenibile in Costituzione. Chi, tra i partecipanti al tavolo, si è mostrato a favore ritiene che ciò diventerebbe un punto di riferimento per tutte le varie legislazioni. I contrari, invece, ritengono che le SDGs siano obiettivi politici e non diritti.

Tra la varie proposte, dunque, appare cruciale la questione della formazione. Diversi sono i modelli proposti. Ad esempio il Fairtrade, che, come già detto, costituisce un modello funzionante. Oppure la Climate Smart Agricolture, un modello messo a punto dalla FAO e che ha diverse declinazioni per adattarsi alle realtà dei vari territori (innovation in tradition). O, ancora, la Gastrodiplomacy .

È stata, inoltre, avanzata la proposta di mappare i modelli di agricoltura sostenibile; una classificazione che si basi su caratteristiche comuni e dunque utilmente replicabili.

La reverse innovation è un approccio molto importante da affiancare all’applicazione di nuove conoscenze e tecnologie per applicare business model sostenibili (dal punto di vista economico, sociale ed ambientale) a contesti locali.

Gli attori principali della food policy, al momento, sono le città (Agenda 21; Patto dei Sindaci), impegnate in un rafforzamento reciproco delle politiche volontaristiche e di quelle giuridiche vincolanti. Anche l’Italia sta facendo la sua parte. La legge Gadda, ad esempio, contro lo spreco del cibo, è innovativa a livello europeo sotto molteplici aspetti ed è diversa e migliore di quella francese.

 

Partecipanti:

  • Massimiliano Mazzanti – Università degli Studi di Ferrara (Coordinatore)
  • Giulia Bartezzaghi – Osservatorio Food Sustainability – Politecnico di Milano (Rapporteur)
  • Edoardo Croci – Osservatorio Green Economy, Università Bocconi
  • Nicola Colonna – ENEA
  • Paolo Bonelli – Co-Scienza Ambientale
  • Marta Fanciulli – Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi
  • Ernestina Casiraghi – Università degli Studi di Milano
  • Alessandro Banterle – Università degli Studi di Milano
  • Lucia Dal Negro – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
  • Daniele Graziuso – Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli
  • Andrea Baldoni – Mediocredito Italiano – Gruppo Intesa Sanpaolo
  • Chiara Corbo – Osservatorio Smart AgriFood – Politecnico di Milano
  • Francesco Maria Rizzi – Osservatorio Smart AgriFood – Politecnico di Milano

 

Premessa

Sebbene siano già presenti sul mercato numerose tecnologie per rendere più sostenibili i processi industriali, emerge un problema correlato alla diffusione delle stesse. Questa è infatti rallentata da barriere che possono essere di natura economica, comportamentale oppure istituzionale: le scarse dimensioni d’impresa o i dubbi sul ritorno dall’investimento, la difficoltà nel percepire i vantaggi dell’adozione tecnologica, sia lato produttore che lato consumatore, oppure ancora la stagnazione economica nel sistema paese e la disuguaglianza dei redditi.

Per contrastare questo fenomeno, una delle parole chiave emerse dal dibattito è “fare rete”: la cooperazione dei soggetti all’interno della filiera – e trasversalmente a più filiere – risulta essenziale per compensare costi e benefici, anche in un’ottica di valorizzazione di ciò che per altri è scarto, e dove la riduzione delle distanze, anche informative, può favorire la formazione di queste collaborazioni. Chiaramente, per favorire tutto ciò, occorre riuscire a identificare e quantificare pienamente questi costi e benefici implicati dall’attività d’impresa.

Accanto a questo, risulta importante la comunicazione sulla possibile riduzione dei costi conseguibile grazie all’innovazione tecnologica, più ancora che l’aumento dei ricavi, data la lentezza del cambiamento culturale che coinvolge direttamente il consumatore.

Per renderne più conveniente l’adozione, poi, la finanza potrebbe giocare un ruolo importante.

Infine, alzando ancora di più lo sguardo, risulta necessario contrastare le disuguaglianze di reddito che rallentano il passaggio dai mercati di nicchia a mercati di più ampia diffusione.

 

Questione chiave

Come innovare la tecnologia dell’industria agroalimentare?

 

Discussione

Le possibili risposte alla problematica identificata dalla questione chiave sono almeno due:

  1. Fare rete fra soggetti appartenenti alla stessa filiera e fare rete fra filiere differenti;
  2. Rendere conveniente l’adottare le innovazioni tecnologiche.

 

Proposte

Dopo questo brainstorming, i partecipanti al tavoli di lavoro si sono concentrati nel razionalizzare e sistematizzare quanto in maniera da fornire spunti che possano orientare scelte – e disegnare scenari pratici di applicazione – sulle seguenti direttrici:

  1. Breve periodo
    • Diffondere le soluzioni tecnico-organizzative già presenti, rendendo consapevoli le imprese dei vantaggi della loro adozione, in particolare in termini di riduzione dei costi
    • La finanza può contribuire rendendo meno costosa l’adozione
    • Rendere socialmente accettabili le riforme fiscali ecologiche
    • Creare un sistema di compensazione chiuso di filiera
  2. Medio periodo
    • Lavorare di filiera, creare relazioni e cooperazione fra gli attori e ridurre le distanze informative
    • Distribuire in maniera equa costi e benefici delle innovazioni lungo la filiera
  3. Lungo periodo
    • Ridurre le disuguaglianze di reddito a livello di sistema paese

 

Conclusioni

Molteplici tecnologie per rendere più sostenibili i processi industriali nel settore agroalimentare sono già presenti. Permangono, però, forti barriere alla loro diffusione: di natura istituzionale, economico-finanziaria e comportamentale.

Un approccio di “economia circolare” applicato alle filiere potrebbe essere una delle soluzioni dove una maggior collaborazione fra gli attori, favorita da una riduzione delle distanze informative, può portare a una compensazione delle esternalità positive e negative.

Accanto a questo, la creazione di una narrativa per le imprese orientata al vantaggio in termini di riduzione dei costi, una maggiore facilità di accesso alle risorse finanziarie e una migliore prospettiva per il futuro sia in termini di potenzialità di mercato sia in termini di riduzione delle disuguaglianze di reddito possono contribuire al raggiungimento di questo risultato.

 

Partecipanti

  • Rosella Blumetti (Coordinatore)
  • Niccolò Panaino (Rapporteur)
  • Enrica Chiappero Martinetti, Università degli Studi di Pavia
  • Cecilia Bergamaschi, CIR Food
  • Chiara Lodi Rizzini, Secondo Welfare
  • Federica Lucarelli, Camera di Commercio di Milano
  • Giorgio Pozzi, Libero professionista
  • Deborah Cantarutti, Cibo buono che fa bene
  • Valentica Cattivelli, Eurac
  • Raffaele Matacena, PhD in Urbeur Urban and Local European Studies, Unimib
  • Francesca Lombardo,
  • Francesca Cigliano, Master in SDJ, Fondazione Feltrinelli
  • Claudia Capasso, Master in SDJ, Fondazione Feltrinelli
  • Lorenzo Vecchi, Master in SDJ, Fondazione Feltrinelli
  • Marina Trentin, Cooperativa Eliante
  • Mattia Nanetti, Wenda
  • Valentina Taglietti, Menoperpiù
  • Claudia Paltrinieri, Foodinsider

 

Premessa

Dalla questione di partenza – come le piccole sperimentazioni delle filiere corte del cibo possano essere replicate – è partita una discussione che ha portato a ulteriori interrogativi riguardanti l’innovazione sociale: in particolare, come rielaborare il macro-tema tenendo in tensione la dimensione micro – in termini non solo di grandezza territoriale e relazioni – con la dimensione macro. Un’attenzione particolare è stata dedicata alle modalità di estensione delle esperienze di innovazione sociale per ipotizzare come – ingrandendosi – non venga a mancare la dimensione dal basso, il grado di spontaneità che ha contribuito a generarla. In altre parole, si tratta di armonizzare la dimensione locale con la dimensione più ampia.

Da una generale mappatura delle differenti realtà che costituiscono l’ossatura del mondo dell’innovazione sociale, ci si è posti il problema di come coniugare le pratiche di innovazione sociale con le modalità attraverso cui diffonderle: senza la diffusione, l’innovazione è destinata a cadere, in quanto potrebbe rimanere “ingabbiata” in una dimensione troppo piccola.

La questione ha intersecato quella, stratificata a più livelli, della governance, per comprendere come l’amministrazione pubblica, attraverso bandi ed altre forme di investimento, si occupi di supportare progetti di innovazione sociale. Tali progetti dimostrano la loro utilità nel momento in cui risemantizzano il territorio, avvicinando il produttore e il consumatore non solo a un mangiare più sano ma a un’educazione alla sostenibilità.

Prendendo spunto dai numerosi esempi di nuova filiera, i Gruppi di Acquisto Solidale e gli “Alveari” rappresentano dei modelli virtuosi, in grado di strutturare dal punto di vista organizzativo delle catene sostenibili che avvicinino i consumatori al cibo, portandolo anche a formarsi secondo una massa critica su ciò che mangia.

Ciò che manca, in quest’ambito, è la sensibilizzazione riguardo al binomio tra salute e cibo.

Queste pratiche richiamano ad una dimensione territoriale-locale e di sviluppo di comunità, considerando valore concetti come filiera corta, km 0, prezzo equo, salario equo, legalità e sostenibilità ambientale.

 

Questione chiave

Le nuove filiere, declinate come filiere corte di cibo di qualità: come replicare l’innovazione sociale delle piccole sperimentazioni fino a diffonderle in modo strutturato e farle diventare nuovo paradigma economico.

 

Discussione

La discussione, per affrontare la questione chiave, è ruotata intorno a questi due temi:

  1. I modelli di produzione a filiera corta, dal produttore al consumatore (esempio dei Gas, ragionare in termini di nuovi paradigmi economici partendo dai produttori locali in relazione con i consumatori e con le amministrazioni locali/governance). Eating Home
  2. Il tema delle mense – pubbliche, scolastiche, ospedaliere, ecc. – per capire come poter lavorare in termini di buona filiera in quel settore. Non solo le mense pubbliche, ma anche la produzione dei pasti per i piccoli servizi, con una comunicazione adatta al piccolo consumatore. Eating Out

 

Proposte

Queste le proposte emerse dalla discussione per rendere replicabili le buone pratiche locali di filiera corta senza snaturarne la componente di innovazione sociale:

    1. Modelli di produzione a filiera corta:
      1. Breve periodo
        • Facilitare l’accesso alle buone pratiche esistenti, talvolta etichettate come radical chic.
        • Focus sulla governance di multilivello che riguarda attori istituzionali e stakeholder di multilivello, coinvolgimento della “rete delle reti” che dovrebbe facilitare la scelta e l’accesso. Ricognizione degli strumenti che già esistono per fare una mappatura dei progetti inerenti al tavolo della Food Policy di Milano, il discorso si sta focalizzando su economia circolare, su mense e dovrebbe occuparsi anche delle realtà dei gruppi di acquisto solidale. L’idea è quella di istituire un registro delle attività riguardanti l’accesso al cibo di prossimità. Mappare una realtà è utile per valutare il potenziale di replicabilità: si è trattato esempio di BuonMercato di Corsico, dell’APS Semplice Terra di Saronno…
        • In questa fase la comunicazione è inerente alla rete delle reti, per consolidare le relazioni fra i diversi attori.
        • Primo livello istituzionale locale, di città metropolitana o provincia.
      2. Medio periodo
        • Valutare quali siano le esperienze, i progetti mappati e analizzati che, più facilmente rispetto ad altri, maggior successo di replicabilità, nei diversi contesti locali.
        • Allargare la comunicazione all’esterno della rete, per facilitare accesso all’esistente ed attivare disseminazione estesa.
        • Sostegno ad azioni di marketing per le piccole realtà ed azioni di fund-raising.
      3. Lungo periodo
        • Per facilitare la disseminazione culturale, necessarie adeguate politiche economiche, creazione di leggi, incentivare accorgimenti fiscali. Coinvolgere organi delle reti in meccanismi decisionali. Focalizzarsi su strumenti legislativi promuovendo un’altra economia sociale e solidale.
        • Se all’inizio il livello è più locale si finisce con uno sguardo nazionale ed europeo, come iniziative siano meno estemporanee e più inserite in una di sviluppo sostenibile. Forum mondiale delle economie trasformative di Barcellona.
        • Non solo la PAC dovrebbe essere rivolta ai grandi produttori ma anche permettere ai produttori più piccoli di accedere a quei finanziamenti. Vi sono diverse modalità di accesso ai possibili investimenti; in questo caso i produttori più grandi riescono ad accedere con più facilità a risorse economiche.
        • Bandi POR/PSR, dipende dai policymaker il cercare di influenzare chi decide la destinazione dei fondi. Fideiussione bancaria nella nuova legge del terzo settore teoricamente può facilitare l’accesso ma nella pratica non aiutano le realtà medio-piccole nell’accedere ai fondi.

 

  1. Tema delle mense, mense pubbliche e mense scolastiche/ospedaliere ecc. Capire come poter lavorare in termini di buona filiera in quel settore è obiettivo del tavolo. Mense pubbliche ma anche alla produzione dei pasti per i piccoli servizi con una comunicazione adatta al piccolo consumatore.
    1. Breve periodo
      • Mense scolastiche importante focus alla ribalta sui giornali. Mensa pubblica gratuita? Cosa si mangia?
      • Sentenza del pasto da casa come alternativa al pasto della mensa scolastica. La cassazione si esprimerà su questo a settembre. Il problema è che negli ultimi 10 anni sono state chiuse le cucine interne. Tagliando quel rapporto, quei piatti hanno perso di valore. Protocollo NACCP misura potere nutrizionale del cibo da quando viene cotto a quando viene servito; dopo due ore dalla cottura si perde tutto. Le verdure dopo mezz’ora perdono tutto. Importante ricostruire il valore della mensa scolastica su dei nuovi presupposti che partano dalla cucina, dai cuochi; bisogna rendere attrattiva la ristorazione.
      • Lavorare sui capitolati, ripensati con una logica diversa. Sei comune in provincia di Genova che hanno ripensato capitolati ragionando sulla filiera corta. Piacenza ha vincolato prodotti a filiera corta biologica.
      • Fare formazione agli amministratori perché ripensino a valore ristorazione collettiva. Lavorare sui bandi e capitolati. Inserire nei bandi gara il filone di filiera corta. Se il riferimento è la pubblica amministrazione locale, le deleghe sono ambiente ed alimentazione. A livello ministeriale, sanità e ambiente.
      • Legge sullo spreco del 2016: inserire nei capitolati.
      • -Ristorazione piccoli esercizi commerciali (bar e ristoranti)
      • Intervenire attraverso una mappatura, se esistono delle catene o dei marchi che già si riforniscono da produttori esterni (esempio slow food ristorazione). Ragionamento sul pane (es. filiera degli 11 grani antiche del parco agricolo sud milano) e sui beni di prima necessità, cercando di mettere in connessione i produttori con gli esercenti di queste piccole realtà.
  2. Medio periodo
    • Rimettere interne le cucine interne alle scuole, inserire le cucine di quartiere, in virtù di una ricomposizione sociale. Nella cucina di quartiere possono essere organizzati corsi di formazione. Obiettivo 100% cibo filiera corta (100% bio nel lungo periodo). Privilegiare personale proveniente dal mondo delle cooperative sociali.
      • Ristorazione piccoli esercizi commerciali (bar e ristoranti)
      • Creazione di un marchio, creando una rete di esercizi che aderiscono alla rete del mangiar sano a filiera corta. Far diventare forte il marchio in modo tale da ottenere degli sgravi fiscali. Incentivi considerati su tassazione materie prime. Fare una tassazione agevolata.
  3. Lungo periodo
    • Formazione culturale alimentare estesa che non si fermi unicamente a coloro che operano nella ristorazione ma anche intervenendo nelle formazione scolastica.
      • Riformare la normativa a livello locale. Uniformare la legislazione a livello nazionale. Educazione alimentare nelle scuole obbligatoria e alle famiglie, anche declinata come lotta allo spreco alimentare.
      • Ristorazione piccoli esercizi commerciali (bar e ristoranti)
      • Formazione educazione alimentare anche agli esercenti.

 

Conclusioni

Dopo aver declinato le macro questioni inerenti il tema dell’innovazione sociale e delle nuove filiere, proposto delle azioni di supporto atte a soddisfare le possibili risposte fornite alle domande emerse durante il tavolo di lavoro, nel momento di restituzione finale guidato dal coordinatore Rosella Blumetti sono state tirate le fila dei numerosi spunti offerti dai relatori; oltre a riprendere alcuni punti che hanno alimentato tutto il dibattito, tra cui il perimetro entro cui inscrivere le sperimentazioni di innovazione sociale e i modelli di multi level governance appositamente istituiti per sostenere esempi virtuosi come i Gruppi di Acquisto Solidale e gli “Alveari”, sono state riportate le soluzioni proposte, a loro volta ripartite in azioni di breve, medio, lungo periodo.

Se Eating home, soluzione proposta per modelli di produzione a filiera corta, si concentra più sull’esempio dei GAS, mappando queste realtà sul breve periodo, valutandone la replicabilità sul medio e proponendo una disseminazione sul lungo, Eating out si propone come soluzione che guarda al tema del “magiar sano” nelle mense pubbliche o nei piccoli esercizi commerciali di ristorazione.

Quanto è emerso dal lavoro di tavolo ha trovato un punto in comune da cui è necessario partire per strutturare tutti i possibili interventi proposti; ciò che è possibile apprendere dai GAS, dagli “Alverari”, dai modelli di filiera corta, consiste nel fatto che a delle azioni concrete, concentrate su un territorio di riferimento ben specifico, risulta doveroso accompagnare un’educazione alla sostenibilità, che deve permeare non soltanto il micro-cosmo del produttore ma anche, e forse soprattutto, quello del consumatore, arrivando a disseminare buone pratiche di consumo nelle mense pubbliche e scolastiche, nei piccoli esercizi commerciali e nella GDO.

 

Partecipanti

  • Federica Leonarduzzi (Coordinatore)
  • Gianluca Scarano (Rapporteur)
  • Franco Beccari (Legambiente)
  • Damiano Di Simine (Legambiente)
  • Frate Carlo Cavallari (Responsabile Centro Sant’Antonio – Mensa dei Poveri)
  • Giancarlo Rovati (Università Cattolica del Sacro Cuore)
  • Alice Pellegatta (Lidl)
  • Alessandra Rocchi (Università di Macerata)
  • Camilla Archi (Bella Dentro)
  • Miriam Polletta (Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli)
  • Giovanni Venegoni (Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli)
  • Elisa Traverso (Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli)

 

Premessa

Il perseguimento di relazioni che possano definirsi sostenibili lungo tutta la filiera agroalimentare rappresenta un obiettivo su cui da tempo molti attori si confrontano. La ricerca di impatti sostenibili ed economie di scala per tutti gli attori coinvolti sembra essere il criterio guida per ricercare cosa sia o debba essere una “buona filiera”.

Strumenti e pratiche tali da permetterlo non sono, tuttavia, univoche. Una simile discussione richiede la convergenza di attori molto diversi, sia nel potere economico che nelle loro finalità. Dinamiche di mercato distorte e l’intervento della grande distribuzione organizzata rischiano di minare gli interessi dei produttori, dal punto di vista economico, e dei consumatori, dal punto di vista della qualità dei prodotti.

All’interno di questi meccanismi si rischia di ledere diritti umani, diritti del lavoro e diritti della salute. Si presentano evidenti necessità di trasparenza, condivisione delle informazioni, creazione di relazioni fiduciarie. Tutti ingredienti necessari al fine di seguire una traiettoria che possa condurre verso una buona filiera.

In questo contesto si situa anche il ruolo della politica, dove acquistano un ruolo chiave i processi che partono dalla dimensione sovranazionale, e precisamente dalle decisioni intraprese nell’ambito della PAC definita dall’Unione Europea.

La discussione non risulta agevolata nemmeno dalla non univocità nell’interpretazione dei concetti e delle domande chiamate in causa. Che cos’è cattiva agricoltura ? È il produttore che deve decidere il prezzo del prodotto? Le cose buone devono costare di più e i relativi costi si devono scaricare sui consumatori? A chi spetta controllare?

Soluzioni win-win appaiono faticose, ma quanto mai necessarie per permettere una progressiva implementazione dell’idea di buona filiera, dove Stato e funzione pubblica assumono un ruolo chiave e imprescindibile in termini di responsabilità regolatorie.

 

Questione chiave

In che modo il rispetto dei diritti umani e degli equilibri naturali si può porre al centro della filiera agroalimentare?

 

Discussione

La discussione, per affrontare la questione chiave, è ruotata intorno a questi due temi:

  1. Lavorare per creare e sostenere filiere il più possibile corte e circolari che includano anche la fase post-consumo, generando valore dalle eccedenze, che mantengano in vita i territori, le comunità e le economie locali; nell’ambito della GDO sarà sempre più importante lavorare su certificazioni che generino fiducia e credibilità nei consumatori e tracciabilità dei prodotti;
  2. Lavorare per creare e sostenere filiere che contribuiscano a generare lavori dignitosi e retribuiti in modo equo a ogni passaggio della catena, a preservare i paesaggi, la biodiversità e i suoli.

 

Proposte

Queste le proposte emerse dalla discussione:

  1. Breve periodo – Valorizzare sistematicamente le micro-esperienze per raggiungere una dimensione di scala e sistemica;
  2. Medio periodo – Riorientare gli incentivi a livello statale e locale sulla base di indicatori condivisi che facciano includere le esternalità negative nel prezzo finale del prodotto per creare un mercato con coerente e basato su una concorrenza reale;
  3. Lungo periodo – Continuare a lavorare su campagne informative ed educative per formare le generazioni future.

 

Conclusioni

L’obiettivo di ricercare cosa sia o debba essere “la buona filiera” ha richiesto una preliminare discussione orientata al concetto di “sostenibilità”. Il tavolo è sembrato convergere su tre declinazioni di questo concetto: 1) sostenibilità del prodotto, con riferimento principale alle colture biologiche; 2) sostenibilità ambientale, relativa alle caratteristiche di “intensità” e “sfruttamento” dei terreni; 3) sostenibilità sociale, con riferimento al rispetto dei diritti di chiunque è coinvolto nella filiera, dai produttori, ai lavoratori, fino ai consumatori.

La buona filiera deve, innanzitutto, rispettare contestualmente tutti e tre questi ambiti definitori di sostenibilità. Gli elementi che permettono di inquadrare una filiera come “buona” sono: le dimensioni della stessa; la relazione tra questa, il territorio e l’economia locale; l’impatto della fase di consumo; la governance locale.

Sulla base di questi aspetti è possibile definire una “buona filiera” come : il più possibile corta; che sappia mantenere in vita territori ed economie locali; capace di inglobare la fase post-consumo; alimentare e rigenerare le biodiversità dei suoli; beneficiare di amministrazioni locali favorevoli e disposte a contaminarsi reciprocamente con la filiera.

A tal proposito si suggerisce anche l’adozione di indicatori per monitorare raggiungimento e mantenimento di determinati obiettivi.

 

Partecipanti

  • Simona Castaldi (Coordinatrice), Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e Barilla Centre for Food and Nutrition Fundation
  • Elisa De Marchi, Università degli Studi di Milano
  • Chiara Feliziani, Università di Macerata
  • Germano Gogna, COOP Lombardia
  • Giuseppe Grammatico, Cooki
  • Marco Magnocavallo, Tannico
  • Gabriella Iacono, CIR Food
  • Luca Baglivo, Green Manager Lab
  • Francesco Giberti, My Foody
  • Andrea Pozzi, Università di Bergamo
  • Matteo Colle, CAP Holding
  • Marco Annoni, Fondazione Umberto Veronesi
  • Amalia Sacchi, AIDA – Associazione Italiana Di Agroecologia
  • Camilla Zoppolato, AIDA
  • Marco Garoffolo, Cibo Prossimo
  • Paolo Anselmi, GFK Italia
  • Fedora Agosti, Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli
  • Simona Pascariello, Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli

 

Premessa

I consumatori possono avere un ruolo chiave su larga scala nel determinare il grado di sostenibilità sociale e ambientale della filiera alimentare. Il tavolo di lavoro ha identificato come principali limiti alla pratica del consumo sostenibile i seguenti fattori: la conoscenza, diversi tipi di barriere alle scelte sostenibili, la mancanza di informazioni trasparenti sugli impatti del materiale di acquisto.

Il primo passo necessario per raggiungere un consumo sostenibile è quindi informare ed aumentare il livello di consapevolezza degli impatti delle scelte di consumo. Per essere efficace, la formazione deve coinvolgere tutti gli attori del settore: organi politici, produttori, distributori, ditte di ristorazione, mense, associazioni. I target sociali e ambientali devo essere chiaramente identificati nelle azioni di comunicazione al consumatore e le strategie di risoluzione del problema chiaramente delineate in una relazione causa-effetto. Le scelte sostenibili devono essere facilitate. Ad esempio, rendere disponibili forme di packaging biodegradabile, fornire dispenser per l’acquisto sfuso, creare confezioni mono-materiale facili da smaltire, dare chiare indicazioni di smaltimento sul packaging, offrire sempre una selezione di materiale a minor impatto (equo, stagionale, locale, alta varietà di vegetali, etc). Devono inoltre essere identificate soluzioni per aumentare la trasparenza relativa agli impatti degli acquisiti. I distributori, i ristoratori ed i consumatori devono avere la possibilità di analizzare in maniera comparativa le scelte di offerta e acquisto.

A tal fine, solo una soluzione di certificazione ambientale e sociale diffusa su scala europea che riporti standard univoci di procedure condivise e che si accompagni a qualsiasi prodotto immesso sul mercato comune, può arrivare a fornire una informazione trasparente, sulla sostenibilità del prodotto, su scala continentale e globale. Un’etichetta di sostenibilità integrata europea da associare ai prodotti immessi nella filiera europea potrebbe essere un interessante programma di lungo termine in tal senso.

 

Questione principale

Come si possono orientare i consumi alimentari per ridurne gli impatti sociali ed ambientali della produzione alimentare?

 

Discussione

Il gruppo ha identificato due principali campi di azione che possono contribuire fortemente ad orientare il consumo sostenibile:

  1. Facilitazione come base dell’azione sostenibile. Mettere in atto azioni di facilitazione che permettano al consumatore e agli operatori intermedi della filiera di essere informati correttamente, di avere a disposizione opzioni alternative facilmente praticabili per poter esercitare la loro scelta sostenibile (rimozione di barriere ed offerta adeguata); supporto top down da enti governativi nazionali e locali per stimolare tutte le iniziative virtuose di facilitazione del consumatore, che spesso sono sul breve termine costose o richiedono investimenti iniziali; partecipazione concertata di enti, associazioni, produttori e distributori per contribuire ad obiettivi comuni con metodi condivisi.
  2. Tracciabilità e trasparenza: la base del consumo sostenibile è la qualità dei prodotti offerti al consumatore. Prodotti sostenibili devono rispettare ambiente e contributo del lavoratore. Ciò non solo deve essere verificato in tutte le diverse fasi della filiera ma deve essere anche certificato. È necessario quindi che esista un sistema non solo per verificare e certificare la sostenibilità dei prodotti, ma anche che tale sostenibilità sia trasparente per il consumatore o i diversi users della filiera in tutte le sue fasi (tracciabilità). L’informazione fornita al consumatore deve essere strutturata in maniera semplice ed efficace (a proposito del punto 1).

 

Proposte

1. Facilitazione:

  1. Breve periodo – Formazione ed informazione: sviluppare programmi che mirano a formare ed informare addetti ai lavori della filiera e consumatori sui temi della sostenibilità alimentare;
  2. Medio periodo – Coinvolgimento delle istituzione e della politica per creare sinergia tra tutti gli attori coinvolti nella filiera del consumo sostenibile optando per azioni premiali per chi supporta la sostenibilità. Eliminazione di barriere al consumo sostenibile quali etichette non chiare, multi-materiali difficilmente smaltibili, mancanza di opzioni sostenibile nei punti di distribuzione, difficoltà di raccolta del materiale riciclabile, etc.
  3. Lungo periodo – Implementazione di nuove modalità di recupero e riciclo lungo la filiera di consumo, economia circolare ed introduzione dei costi delle esternalità negative sui prodotti e servizi non sostenibili.

 

2. Tracciabilità e trasparenza: creazione di un’etichetta digitale integrata

  1. Breve periodo – Campagne di informazione sulla “lettura del prodotto”, necessità di integrare comunicazione di impresa con elementi di formazione per facilitare tale comunicazione al consumatore
  2. Medio periodo – Creazione di standard di sostenibilità univoci e comuni su scala europea per la certificazione di qualità e sostenibilità dei prodotti alimentari primari e trasformati
  3. Lungo periodo – Creazione di un sistema aperto, trasparente, accessibile, aggiornato su scala europea di informazioni certificate su piattaforma EU che associno ad ogni prodotto in uscita lungo la filiera una sua etichetta di qualità che indichi chiaramente i livelli di sostenibilità raggiunti in diversi campi ambientali e sociali (es. impronta del C, impronta idrica, agricoltura a basso impatto, riduzione delle perdite lungo la filiera, garanzie lavorative, etc). Tale etichetta associata ad un “bar code” può essere scansionata o letta con un telefono da qualsiasi utente finale o intermedio della filiera rendendo facile la scelta e la comparazione di prodotti sia per i consumatori che per distributori e trasformatori interessati agli impatti delle materie prime che usano.

 

Conclusioni

Sebbene l’argomento della sostenibilità ambientale sia fortemente attuale e motivo di un crescente numero di iniziative, in particolar modo nel campo dell’alimentazione, la strada da fare per arrivare a un consumo sostenibile è ancora molta. I consumatori non hanno idee sempre chiare su cosa sia sostenibile, confondendo spesso concetti quale qualità, tipicità, stagionalità con la sostenibilità.

Va quindi creato un sistema di formazione/informazione relativo a cibo, salute ed ambiente a tutti i livelli della società: scuole, addetti ai lavori del settore, giornalisti, policymakers.

Tuttavia, anche chi oggi è consapevole e informato si muove su un terreno a ostacoli che spesso rende vano qualsiasi buon proposito. Bisogna quindi rimuovere tutti gli ostacoli che impediscano una scelta sostenibile, e questo significa puntare sia su azioni pratiche, di tipo logistico – e.g. creare packaging facilmente smaltibile – sia sulla chiara lettura delle etichette di sostenibilità.

In un mondo dove la complessità e la velocità impegnano già tutto il tempo dei cittadini, semplificazione, facilitazione e trasparenza sono le carte vincenti per un engagement dei consumatori su larga scala

 

Partecipanti

  • Francesco Rampa – European Centre for Development and Policy Making (Coordinatore)
  • Linda Ferrari – Università degli Studi di Milano (Rapporteur)
  • Anna Rondolino, Acquerello
  • Chiara Brioschi, Lombardy Energy Cleantech Cluster (LEC2)
  • Alessio Malcevschi, Università di Parma
  • Riccardo Loberti, Fondazione Cariplo – Progetto Ager
  • Carlo Maria Recchia, Coldiretti – Giovani Impresa
  • Enrico Dandolo, Fondazione Gualtiero Marchesi
  • Angela Bassoli, Università degli Studi di Milano
  • Giacomo Magatti, BASE – Bicocca Ambiente Società Economia
  • Fabia Ruggeri, Gruppo San Pellegrino
  • Marco Magni, Distretto Riso e Rane
  • Elena Carmagnani, OrtiAlti
  • Andrea Maurino, Università degli studi di Milano – Bicocca
  • Laura Prosperi, Università degli studi di Milano – Bicocca, master Cibo e Società
  • Roberta Bruno, Karadà
  • Francesca Bongiovanni, Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli
  • Laura Persavalli, Master in Sustainable Development Jobs – Fondazione G. Feltrinelli

 

Premessa

Dall’industria 4.0 all’agricoltura di precisione, al miglioramento varietale, fino al recupero di germoplasmi antichi e specie neglette: la filiera produttiva si rinnova in chiave di sostenibilità, resilienza e competitività.

Le innovazioni legate alla produzione di cibo e bevande sostenibili non mancano. Moltissime imprese, nuove o di tradizione, hanno rinnovato i propri processi per ottenere dei prodotti più sostenibili dal punto di vista principalmente ambientale.

Molte di queste innovazioni, però, restano di piccola scala, non riuscendo a inserirsi nelle pratiche standard di produzione sostenibile. Il processo per arrivare a una produzione sostenibile come pratica diffusa è complesso e riguarda tutti gli attori della filiera, dagli agricoltori ai consumatori, le istituzioni e la comunità.

I partecipanti al tavolo sono però concordi nell’affermare che le piccole realtà virtuose non possono essere associate al termine “nicchia” il quale avrebbe accezioni negative: molto meglio usare il termine “vertice”, per indicare che queste realtà devono essere punti di riferimento per gli altri.

Per rendere i processi sostenibili pratiche diffuse, è necessario lavorare su più fronti. Per essere più sostenibili bisogna essere in grado di congiungere tradizione e innovazione, riprendendo le pratiche del passato più virtuose e implementando nuove tecnologie, come blockchain e pratiche per il controllo diretto e specifico delle colture.

Le imprese devono poi imparare a collaborare maggiormente tra di loro per condividere competenze e sviluppare abilità che sarebbero difficili far crescere all’interno di una piccola realtà; come, ad esempio, campagne informative per essere più forti sul mercato.

Infine, per diventare più sostenibili le imprese agricole hanno bisogno di un maggiore supporto delle istituzioni.

 

Questione principale

Come si possono trasformare le produzioni più innovative e di nicchia in prassi condivise e diffuse?

 

Discussione

Per permettere la diffusione delle pratiche più innovative è fondamentale creare delle “piccole economie circolari di scala”: le singole aziende, anche le più piccole, devono essere in grado di sviluppare economie circolari e devono poter ridurre i costi tramite l’innovazione tecnologica. Per fare ciò, si dovrebbero aiutare le aziende in due direzioni, sviluppabili su più livelli, tramite:

  1. Supporto ai fattori di produzione, inteso come facilitare l’accesso al credito, incentivare una maggiore interazione tra centri di ricerca ed imprese per implementare più facilmente le innovazioni;
  2. Supporto al mercato, incentivando e spingendo i singoli produttori a “fare sistema”, rendendo la burocrazia più snella, e rimodellando il sistema legislativo affinché aiuti maggiormente gli agricoltori più innovativi e i giovani agricoltori.

 

Proposte

Queste le proposte emerse per affrontare i temi posti sopra:

  1. Breve periodo – Sviluppare le imprese in sinergia con le comunità; recuperare le tradizioni per gestire le risorse naturali, affiancando l’utilizzo di tecnologie;
  2. Medio periodo – “Fare sistema” per presentarsi più forti sui mercati. Per fare ciò, risulta necessaria una riforma delle Camere di Commercio. È poi importante rafforzare la tracciabilità dei prodotti dal campo alla tavola e dare voce e maggiore supporto ai nuovi agricoltori;
  3. Lungo periodo – Maggiore facilità di accesso per gli agricoltori ai fondi europei destinati all’Agricoltura e integrazione con fondi statali, come avviene in altri paesi europei; burocrazia più snella.

 

Conclusioni

Il tavolo di lavoro ha dato molteplici spunti di riflessione e i partecipanti hanno contribuito alla discussione portando ad esempio la loro esperienza e le buone pratiche a cui hanno collaborato o a cui tutt’ora collaborano.

Produrre più cibo meglio e con meno risorse è una delle maggiori sfide del nuovo millennio. Una sfida che deve riguardare non solo gli agricoltori, ma l’intera filiera produttiva, compresi i consumatori.

Per essere più sostenibili bisogna quindi lavorare su più fronti, imparando in primo luogo a “fare sistema” e, pur rimanendo individuali, collaborare con le altre realtà per un obiettivo comune.

È poi necessario utilizzare al meglio le tecnologie già disponibili, e lavorare a stretto contatto con i centri di ricerca per migliorarsi costantemente.

Esempi di gestione sostenibile possono poi venire anche dalla tradizione, e quindi è importante confrontarsi con le comunità locali.

Altro ruolo chiave è rivestito dall’informazione, i produttori più virtuosi devono infatti comunicare al meglio le loro peculiarità, e i consumatori possono essere in grado di fare scelte più consapevoli.

Maggiore supporto deve inoltre arrivare dalle istituzioni, per essere più sostenibili ed adottare buone pratiche è emerso che gli agricoltori hanno bisogno di una burocrazia più snella e fondi meglio gestiti.